09 marzo 2018

Il “Presunto/Presente” della GAMeC

 
PARLA LORENZO GIUSTI
Intervista con il neo-direttore del museo bergamasco. Per un nuovo “qui e ora” dell’arte, assolutamente sui generis

di

Del nuovo programma della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Bergamo, presentato la settimana scorsa, vi abbiamo raccontato qui. Torniamo però, seguendo le pagine di Exibart.Onpaper 99 e la precedente intervista a Cristiana Perrella, alla nostra inchiesta sul futuro dei musei, e sulla loro forma di domani presunta o immaginata, secondo i direttori. La parola a Lorenzo Giusti, pensando a GAMeC.
Che museo di arte contemporanea ti immagini per “domani”? Che idea hai a riguardo?
«Non penso che avrà le dimensioni delle nostre tasche, come ha detto qualcuno, immaginando una struttura che – muovendosi tutta sul piano digitale – riuscirà a compattare collezioni e attività svolte nei centimetri cubi di uno smartphone. Non la vedo così tragica, dubito si perderà l’opera fisica e materiale, anzi. Quello che cambierà è la struttura del museo, lo spazio che diventerà ambiente a 360 gradi. Attraversabile, disponibile, inclusivo al di là del suo programma. Vedo un museo, una galleria, un centro per l’arte che non potrà più essere una sequenza di mostre, o l’esposizione di una collezione. Questa nuova era in cui stiamo vivendo porterà ad una ulteriore integrazione delle diverse dimensioni, e le esposizioni potranno essere esperite in direzioni molteplici». 
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Premio Bonaldi IX, Amalia Pica
Durante la conferenza stampa di presentazione del nuovo programma di GAMeC, negli scorsi giorni, hai infatti detto che un museo non può più pensare di campare mettendo in mostra solo la sua collezione permanente…
«Secondo me in questo periodo abbiamo vissuto due crisi diverse e reciproche: quella dei musei con le relative collezioni, tempo fa, e l’altra – più recentemente – di quelle strutture che si sono interpretate come luoghi per eventi (mostre e non solo) spettacolarizzate e consequenziali. Io penso che per il futuro l’alternativa debba essere altra rispetto a questi due poli. Un museo come ambiente da vivere, dove le mostre sono “elemento integrato” e dove l’istituzione deve diventare una piazza, un’agorà per discutere, per aggiornarsi, per confrontarsi».
Provocazione: quindi è giusto far diventare il museo una piazza pubblica dove ognuno si autoproclama artista e porta il proprio lavoro, vedi MACRO? Può essere un nuovo format per chi ha poco denaro nelle casse?
«Non ho ben capito questo progetto del “MACRO Asilo”. L’arte in realtà è sempre contradditoria: parla a tutti attraverso immagini e segni, contrariamente a quello che fanno le lingue, che invece hanno bisogno di chiavi d’accesso per essere conosciute. C’è però l’altra medaglia: l’arte, come le lingue, ha bisogno di mediazione per poter essere conosciuta in profondità, altrimenti si resta al mero dato visivo ed oggettivo, alla superficie. I musei sono gli enti preposti al favorire questa mediazione».
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Danh Vo, The End, 2014
Mi è piaciuto molto il tuo concetto di “Presunto/Presente”, il titolo che avresti voluto dare al programma 2018. Mi ha ricordato “Che cos’è il contemporaneo” di Agamben…
«Certo, c’è anche questa possibile interpretazione. È un titolo che ho pensato ma che poi non ho usato perché i programmi non hanno titolo, ma vi sono racchiuse le idee che l’hanno “mosso”. Essendo GAMeC una galleria d’arte moderna e contemporanea, ovvero muovendosi tra l’oggi e un ieri abbastanza recente, mi è venuto naturale interrogarmi sul concetto di presente guardando alle caratteristiche scientifiche e fisiche più aggiornate: il presente è una proiezione che si muove tra un passato di cui abbiamo perenne nostalgia, e un futuro che non è per niente rassicurante e che ci provoca ansia. L’idea del presente è quasi consolatoria, ma filosofi e fisici l’hanno decostruita, eliminata. Il presente non esiste, è una proiezione».
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Kuehn, Straw Piece, 1964
Quindi la tua GAMeC sarà orientata verso quello che non c’è, o quantomeno cercando di tirare fuori quello che non si vede…
«Proverà a tirare fuori un discorso da questa complessità e non sarà forzatamente orientata a voler raccontare il presente. La contemporaneità è un concetto flessibile».
Cosa ti porti da Nuoro a Bergamo?
«Mi preme prima di tutto ringraziare moltissimo lo staff della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, per la grande accoglienza e la professionalità. E poi dalla Sardegna mi porto un metodo. Al MAN ho lavorato per trilogie: i Maestri svizzeri, la Street Photography, le Avanguardie Storiche russe, indagate al femminile, e ora la mostra appena inaugurata e dedicata alle donne futuriste, che ho lasciato in eredità a Nuoro. Credo che lavorare non su singole mostre ma su tematiche aiuti su due fronti: prima di tutto sviluppa progettualità: dopo il primo passo bisogna organizzare il secondo e il successivo ancora, e poi perché è necessario affezionare il pubblico all’idea che nei musei si sviluppa ragionamento. Lo spettatore che vedrà la prima mostra sarà, quantomeno, invitato a tornare». 
Matteo Bergamini

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