17 novembre 2018

L’intervista/ Alvin Curran

 
ASCOLTARE CARACALLA
“Omnia Flumina Romam Ducunt”, ovvero ognuno ha il proprio fiume da sentire, tra passato e contemporaneo

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Si intitola “Omnia Flumina Romam Ducunt – Tutti i Fiumi Portano a Roma” l’installazione che Alvin Curran, compositore statunitense di base a Roma, che fino al prossimo 13 gennaio, farà “parlare” l’area archeologica con le registrazioni di canti di usignoli, cavalli, leoni e la Lupa di Roma, ma anche rumori d’acqua di fiumi e passi in lingua latina, un pezzo noise dal Ponte di Brooklyn registrato anni fa, e un frammento vocale di Demetrio Stratos. Il tutto per riconsegnare, a ognuno di noi, un’esperienza diversa nella più affascinante area archeologica capitolina: le terme di Caracalla.
Quando sono arrivata qui la prima sera, Alvin, ho avvertito subito la teatralità dei suoni che avevi immesso in questo scenario, suoni che erano portatori di immagini, poi la profondità dei silenzi che ti afferrano nelle pause come un vuoto che risuona a conferma della nostra presenza, del nostro “esserci”.
«Il suono in generale non può narrare da solo una storia particolare. Che noi ascoltiamo Mozarth, Beethoven, il Jazz, il Pop, il Rap o del rumore, quello che è emerso per me, dopo tanti anni di lavoro d’immersione, cercando di costruire con questo materiale che è immateriale, misterioso, illusivo, magico, è che per ogni orecchio, per ogni individuo, il suono significa una cosa diversa. Parla di qualcosa, ma solo a quella persona specifica, non ha una sua unica valenza. Così questi muri millenari raccontano a ognuno una storia diversa».
In quale modo hai pensato di collegarti all’architettura delle Terme di Caracalla?
«Devo partire da lontano. Come sai la mia storia è quella di un giovane compositore che nel ’64 arriva a Roma seguendo la propria vocazione, alla ricerca di nuove esperienze per la propria carriera. Avevo già un piede ben piazzato nel campo sperimentale dell’avanguardia, dunque la tendenza ad abbandonare il classico ruolo del compositore per orchestra e musica da camera che, tuttavia, ho continuato a fare. Il resto di me si è sviluppato in Italia. Vivendo qui, si può anche evitare di farsi coinvolgere dalla Roma antica, ma lei è lì, non ti lascia mai, a poco a poco entra dentro di te e l’esperienza della città, quella attuale come quella antica ti attraversa, sicché il lato che ha ispirato anche artisti del teatro e delle arti visive con continui riferimenti, ti offre alla fine un piano di meditazione che non è affatto immaginabile dove ti potrà portare. L’aspetto occasionale è dipeso dalla collaborazione con Mario Pieroni che aveva già aperto un rapporto specifico con le Terme di Caracalla con la magnifica l’installazione del Terzo Paradiso di Michelangelo Pistoletto. Mario mi ha offerto di pensare a un’installazione. Io sono partito dai suoni della strada, della natura, delle persone, del quotidiano come una naturale forma musicale e questo era, per me, oltre ogni sogno, oltre l’immaginabile».
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Alvin Curran, Omnia Flumina Romam Ducunt
Marius Schneider dice che ogni materia ha sostanzialmente una natura acustica.
«Marius Schneider con il suo magnifico libro Le pietre che cantano, è una fonte d’ispirazione per me, però anche la grande amicizia e collaborazione con John Cage ha fatto sì che a un certo punto pervenissi a una coscienza istintiva: quella che ogni suono è una musica potenziale, così non solo ogni suono, ma ogni sito è un potenziale teatro musicale. Io faccio musica su laghetti, su fiumi, in cima agli alberi, sotto il suolo, nelle caverne – lo sai – ma un luogo come questo ti suggerisce ancora infinite possibilità, sia teatralmente che acusticamente. Queste rovine nella loro estensione e bellezza sono ancora vive, poi sono anche come una scultura modernissima, perciò non potevo rinunciare a quanto si rivelava come la realizzazione di un sogno. Entrare in un sito archeologico presenta difficoltà di movimento e necessita di un assoluto rispetto della sicurezza, ma la direttrice delle Terme di Caracalla, Marina Piranomonte ha un vero interesse a utilizzare l’antico come luogo contemporaneo e ci ha dato carta bianca, preoccupata solo che facessimo attenzione a non cacciare il falco pellegrino che ha fatto il suo nido qui. Così, abbiamo realizzato un’installazione, dove non si vede neanche un altoparlante e che non disturba nessuno, né con emissioni di suoni nello spazio, né con oggetti estranei. E l’abbiamo fatto in poco tempo».
Quando avete cominciato a lavorare?
«A dire il vero quasi sessant’anni fa (ride) quando ho preso la strada dell’uso dei suoni d’ambiente e dei suoni naturali. Per me questa di Caracalla non è una fra le tante, ma sicuramente la più importante realizzazione della mia arte di pittore e architetto del suono. In questo spazio generoso d’infinite possibilità è stato possibile avvolgere l’ascoltatore, ingannarlo o intrattenerlo, sia con suoni che escono da sotto i suoi piedi che dai trenta metri di altezza vicino ai nidi degli uccelli, o ancora dai lati delle mura, con la possibilità di spazializzare i suoni e di creare una musica spaziale all’interno dell’architettura preesistente. Per la mia visione artistica, non poteva trovarsi posto migliore in nessun’altra parte del mondo».
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Terme di Caracalla
Il progetto ha un disegno?
«Sì, l’ho tracciato sulla mappa del sito che viene data al visitatore entrando. Lì ho indicato le fonti sonore sotto il suolo calpestabile, in altezza e ai lati, assolutamente in tutte le direzioni».
In sostanza hai intessuto lo spazio vuoto fra le pareti con l’articolazione dei suoni.
«Sì, però il sistema che ho usato lo devo anche ai miei due collaboratori. Antonio Trimani che è responsabile dell’ingegneria audio e Angelo Maria Farro, il sound designer, che ha realizzato il disegno digitale con tre computer, creando le possibilità del movimento del suono nello spazio, che avviene
come un’evoluzione continua, per puro caso. I suoni sono determinati, loro tornano spesso, però in combinazioni differenti. C’è, insomma, un’aleatorietà sotto la struttura stabile. I suoni cambiano continuamente. Spesso arrivi e non senti nessun suono, poi, improvvisamente, i suoni entrano in azione con modulazioni inattese, stimolati dall’incontro casuale fra di loro. È difficile calcolare la probabilità con cui certi suoni si ripetono. La struttura è portata a un massimo di aleatorietà. E bisogna sempre dir grazie a Mr. John (Cage) che ha portato nel mondo della creazione sonora l’idea della casualità. Questo mi è stato di fortissimo stimolo. Mi hai chiesto, all’inizio, come ho scelto i suoni. Ho meditato molto sulle implicazioni artistiche, creative e sociologiche dell’installazione che non si spegne mai, 24 ore su 24, e che sarà visitabile per quattro mesi, fino al 13 di gennaio 2019. I suoni dovevano avere, per me, una certa specificità, ma non troppo. Che so ? il ruggito di un leone, l’ululato di un lupo evocano, ad esempio, la romanità, ma ci sono molti altri suoni che non sono riconoscibili, lunghissimi, distesi, sostenuti, a volte un coro di voci, o degli oscillatori elettronici che attraversano lo spazio con una presenza assolutamente non identificabile. Questo per me era l’unico modo per approdare a una primordialità, ossia a un’entità al di là di ogni tempo e spazio. Il senso di un suono che non si capisce da cosa provenga mentre, senti ? ora c’è l’ululato del lupo che s’individua benissimo, oppure dei gorgoglii sotto i piedi, o il rumore delle valvole pigiate dal trombettista senza che emettano suoni. Cose strane che invento e raccolgo da molti anni che sono diventate una specie di vocabolario personale che utilizzo dai tempi del Giardino magnetico. È questo mood, il senso di indefinito che per me riflette la materiale e immateriale bellezza di questo monumento».
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Terme di Caracalla
Tornando indietro a Musica Elettronica Viva che hai contribuito a fondare, mi pare che quel “viva”, aggiunto a elettronica, fosse molto importante. Guardando a quegli anni cosa provi oggi riguardo all’evoluzione avvenuta da allora?
«Chiedo spesso agli allievi dei seminari che tengo: “La parola avanguardia significa qualcosa per voi? Ha ancora una rilevanza? Loro guardano in alto, non sanno. Questa generazione è nata con il cellulare in mano, vive solo il presente. Io sarei pronto a concedere che l’avanguardia non abbia alcuna rilevanza, perché siamo tutti in una potenziale avanguardia senza saperlo. 
La vera avanguardia, però, era pronta a rischiare tutto. Questa è forse la differenza. Per il resto io posso tornare al 1100 e ascoltare la musica di Ildegard von Bingen perseguitata dalla Chiesa perché troppo in anticipo – sentiva come il fuoco dentro il suono – o ascoltare l’ultimo Beethoven, che è già nel Ventunesimo secolo, in quanto ha capito il suono puro».
Giovanna Dalla Chiesa
 

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