23 aprile 2019

Dalla polenta al site specific

 
In anteprima per Exibart l'artista tedesco Michael Beutler parla della sua “seconda volta” alla Fondazione La Raia. Cosa bolle in pentola? Ve lo raccontiamo qui

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Tra colline ricoperte di vigneti e verde in ogni nuance un gruppetto di cinque persone è intento a lavorare tra pezzi di legno. Ne cerchiamo una in particolare, Michael Beutler, perché corre voce che a due anni di distanza dall’installazione Bales 2014-2017 da buon recidivo stia per tornare nella magica location della Fondazione la Raia, con un nuovo lavoro ma sempre sotto l’attenta curatela di Ilaria Bonacossa. E lui è lì, ha evidentemente tanto da fare, ma comunque si prodiga a mostrarci i primi passi della sua “creatura” ancora molto “in progress”. 
Per adesso segnatevi questo: Oak Barrel Baroque – questo è il nome di battesimo del nascente site specific – sarà un edificio molto particolare, architettonicamente fantasioso ma anche fruibile, solidamente “calpestabile” da chiunque varcherà i confini de La Raia. Per ingarbugliarvi meglio le idee aggiungiamo solo che di mezzo c’è la polenta, ovviamente il vino, e che sotto i nostri occhi Beutler e i suoi stavano iniziando a materializzare un’abside. Tutto quello che c’è da sapere su quest’operazione, e non solo, ce lo siamo fatto raccontare dall’artista, un visionario che non vende sogni ma solide realtà.
Partiamo dal tuo modo di lavorare, che vira verso l’architettura, ma in generale ha una legame molto forte con l’artigianalità. Con te perciò posso – come si suol dire – “stare sul pezzo”, ovvero sui cento anni dalla fondazione del Bauhaus. Ai tempi Walter Gropius disse “Non c’è alcuna differenza essenziale tra l’artista e l’artigiano, l’artista è una elevazione dell’artigiano”. Secondo te è effettivamente così? 
«Secondo me non c’è differenza, e nemmeno elevazioni o evoluzioni, ma è tutto un circolo e l’arte deriva proprio da questo, dal fatto di non dare una divisione alle cose. È la società piuttosto che cerca di dividere in varie parti diversi settori per dare una spiegazione a tutto. Il bello dell’arte è lasciarsi portare dall’ispirazione, e fare quello che ci si sente di fare».
L’importanza del luogo. Due anni fa sei intervenuto tra le colline del Gavi con Bales 2014-2017, che è un lavoro fondamentalmente nato a Monaco e adattato al luogo. Quello che andrai a presentare, Oak Barrel Baroque, invece nasce apposta per La Raia a La Raia. Ansie, preoccupazioni varie, ma soprattutto che differenza c’è, in generale, nel semplice “portare” un lavoro rispetto al crearlo nell’ambiente in cui sarà installato?
«Preferisco lavorare nel posto e creare una cosa adatta al posto per prendere anche ispirazione. Quando lavoro nel mio studio e poi faccio mandare i pezzi dalle altre parti è comunque un bel lavoro, ma lo studio è più un posto per pensare in generale a nuove idee da sviluppare. Quando devo fare un lavoro appositamente per un posto mi piace perché è bello lavorare vivendo le sensazioni del posto per cui stai facendo l’opera. Ad esempio il legno che stiamo utilizzando di queste zone, e lavorare utilizzando anche quanto offerto dall’ambiente circostante è quello che ti fa più sentire a contatto con la tua opera, e ti da più modo di svilupparla mettendoci dentro anche le tue sensazioni».
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Michael Beutler, work in progress, Fondazione La Raia
A questo punto parlami di un po’ di Oak Barrel Baroque. Da dove parte quest’opera? Avevi già un’idea nella tua testa oppure sei stato totalmente ispirato dal luogo?
«L’ispirazione è venuta da qui, conoscendo già il posto. Mi trovo molto bene perché il posto è molto bello e riesco a trovare l’ispirazione che mi ha motivato per questo lavoro. L’idea di questo progetto è partita già due anni fa, quando ho conosciuto La Raia. Ho iniziato a studiarci su, e in quel momento ho capito che avrei voluto conoscerla già da molti anni prima per poterci lavorare ancora meglio. Il traino maggiore per la creazione dell’opera è il fatto di prendere il legno e utilizzarlo, modellarlo a seconda della struttura che voglio realizzare. Ci sto lavorando da due anni anche perché prima d’iniziare l’opera c’è stato un grande studio sul legno, l’ho mandato nel mio studio a Berlino, dove ho fatto un po’ di esperimenti per capire come fosse il materiale prima di lavorarci. Studiandolo ho visto la differenza tra legno e legno, ad esempio quello proveniente dalla Germania ha delle differenze strutturali rispetto a questo, che proviene da terre dove si coltiva il vino. Quando invece ho pensato come strutturare l’opera avevo tantissime idee tra cui scegliere. Ho provato ad andare per una strada piuttosto che per un’altra, anche a seconda del budget e delle possibilità di costruzione. Inizialmente volevo costruire qualcosa di più grande e simile ad una chiesa, con l’abside e un portico alla Palladio, poi ho capito che era meglio ridimensionare il tutto, ristringere, un po’ ispirandomi alla particolare struttura della torinese “Fetta di polenta” (alias Casa Scaccabarozzi, ndr), edificio di dimensioni concentrate progettato dallo stesso architetto della Mole, Alessandro Antonelli. Sto costruendo una struttura simile a quella di una chiesa in una grande piazza italiana, con la quale gli aspetti caratteristici della città in campagna, fondendo contesti diversi e aspetti dell’Italia che mi piacciono molto».
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Michael Beutler, work in progress, Fondazione La Raia
Con Bales hai trasportato la campagna in città, al Kunstreal di Monaco di Baviera. Con Oak Barrel Baroque fai il contrario, trasporti la città in campagna. Lavorare su queste delocalizzazioni è o non è il tuo pallino?
«Non è un’idea fissa, semplicemente traggo molto ispirazione dai luoghi in cui lavoro, e quando mi muovo cerco sempre di portare ciò che ho acquisito da una parte all’altra. Questo è un esperimento quanto quello di portare la campagna in città, solo che stavolta ho fatto l’inverso perché sono partito da qua, sono solo modi di sperimentare diversamente. In Oak Barrel Baroque, come nel palazzo detto “Fetta di Polenta” o a Parigi, ti affacci dalla finestra e puoi trovare ispirazione dappertutto, e concentrando la vista su un determinato panorama vedi qualcosa da cui puoi trarre ispirazione. Un panorama che cambia totalmente se sei dall’altra parte della struttura, assieme all’ispirazione stessa. Tutto questo anche se sei nello stesso spazio, come accade per Les Folies nel parco de La Villette, strutture geometriche che fanno parte del panorama modificandolo ad ogni sguardo. Un insieme di geometrie semplici che, come in Oak Barrel Baroque, dà vita a una struttura complessa».
Nel fatidico binomio utopia/concretezza tu sei un artista borderline, i sistemi spaziali che produci sono piuttosto fantasiosi, ma fatti con materiali molto pratici, tangibili, come in questo caso il legno recuperato dalle barrique dismesse. Ti senti più un utopista visionario, oppure un artista concreto, coi piedi per terra?
«È una domanda difficile, gli artisti in generale prendono aspetti astratti e li mettono nel concreto, e io mi diverto a sperimentare in questa direzione e viceversa. Mi piace far lavorare insieme i due aspetti, progetto e penso una cosa nella mia mente, poi questa parte empirica del progetto va a fondersi con la realtà, con la concretezza del lavoro. Diciamo che non mi sento né da una parte né dall’altra, ma nell’esatto centro, e forse più che di utopia si tratta di un flusso di pensieri e sensazioni che avverto qui e che si va a concretizzare nel lavoro».
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Michael Beutler, work in progress, Fondazione La Raia
Leggendo il comunicato stampa mi è caduto l’occhio su un punto, ovvero che Oak Barrel Baroque è “un luogo dove sostare e riposare, pensato per le persone e i visitatori che attraversano l’azienda agricola esplorando le opere d’arte che dal 2013 ne caratterizzano il paesaggio”. E di conseguenza mi viene da chiederti: hai cercato in qualche modo di relazionarti con gli artisti arrivati prima di te?    
«In generale non è semplice trarre ispirazione dalle opere di altri artisti, perché comunque ogni artista lavora con le sue idee, e ognuno vede in un’opera la sua idea. Il relazionarsi non è tanto una questione d’ispirazione quanto di confronto tra opere, di paragone, il vedere come lavorano gli altri rispetto a me. Questo è un confronto sano, da cui magari si può prendere ispirazione per nuove idee».
Termino con due domande in successione, la prima molto secca e la seconda praticamente di rito: come si lavora a La Raia? Ti rivedremo ancora da queste parti in futuro?
«Vorrei parlare italiano per esprimere meglio le emozioni (ride). Lavorare qui mi piace, se ci sarà occasione tornerò molto volentieri».
Andrea Rossetti
  

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