28 agosto 2017

WHAT’S QUEER

 
Incontro con Dario Carratta, giovanissimo artista al suo primo “solo show” alla Richter Fine Art di Roma. Con un giubbotto di pelle
di Matteo Bergamini

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Dario Carratta (Gallipoli, 1988) fino al prossimo 22 settembre è in scena alla Richter Fine Art di Roma, chiudendo idealmente il primo ciclo della stagione espositiva della galleria capitolina. Una mostra volutamente carica, con una vera e propria quadreria alle pareti e una serie di “presenze” che osservano le sue visioni distopiche, personaggi al limite tra la fisicità del reale e l’evanescenza del sogno, riportate su tela. Nulla, però, che possa apparire come classico o idilliaco, ma piuttosto torbido, vicino all’esistenzialismo alla cultura grunge. E con un titolo molto particolare: “Sniff my leather jacket”. I perché ce li racconta lo stesso Carratta.
Osservando la “quadreria” che hai esposto da Richter a Roma, mi colpiscono alcuni pezzi che sembrano usciti dalla storia letteraria e anche personale di Pasolini, o le sculture di Edward Kienholz. Quali sono i tuoi riferimenti?
«I riferimenti nel mio lavoro sono molteplici e spaziano dal cinema, alla filosofia, alla musica: come artista guardo molto alla pittura contemporanea specialmente figurativa e alla sua evoluzione comparata ai grandi maestri del passato. Naturalmente poi gli artisti che studio sono quelli che mi provocano una sorta di fascinazione. Amo coloro che non usano soltanto la pittura, ma in grado di creare un immaginario attraverso il quale ci vengono fornite delle chiavi di lettura per analizzare noi stessi e la società in cui viviamo».
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Dario Carratta Sniff my leather jacket, Sam 2017
Il titolo che hai scelto, “Sniff my leather jacket” lascia poco spazio all’immaginazione: è volutamente provocatorio verso chi può rifiutare simili pratiche erotiche e, metaforicamente, chiudersi a quell’arte che invece racconta di scavando nell’intimo (non solo parlando di sesso e affini) della società e della storia?
«Il titolo della mostra può avere diverse connotazioni: è sicuramente legato a un immaginario collettivo che sottolinea il feticismo, inteso anche come un qualcosa di erotico, ma che può avere a che fare con i nostri sensi, come l’odore di una giacca di pelle o qualsiasi altro oggetto inanimato che può far riaffiorare in noi ricordi e sensazioni che restano sedimentate nel nostro inconscio e nella nostra storia personale».
Che cos’è il torbido secondo te? Che cosa ti affascina di questo aggettivo e di questa condizione?
«Il torbido secondo me è qualcosa che vogliamo negare a noi stessi, alla nostra morale, nonostante sappiamo faccia parte del nostro essere. Credo che questo meccanismo inneschi in tutti noi una sorta di fascino morboso verso tutte quelle “cose” che restano a metà, che non vengono svelate in pieno. Come osservare una persona che indossa una maschera: naturalmente avremo la curiosità di capire chi si cela dietro di essa. Il fascino che esercita su di me questa condizione è dato dall’impossibilità di poterla mettere a fuoco e quindi, di conseguenza, mi dà input per poter creare nuove ipotesi».
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Dario Carratta Sniff my leather jacket
Qual è la connessione che sussiste tra Pinocchio e il voyeurismo che metti nelle tue “scene”?
«Il voyeurismo e la figura di questo Pinocchio hanno connessioni inconsce e misteriose anche per me. Analizzando infatti i personaggi che popolano i miei lavori, i loro nasi assumono una forma allungata che nell’immaginario collettivo rimanda immediatamente a Pinocchio, ma in realtà è stata un’esigenza molto spontanea, e caratterizzandoli, alcune volte, queste appendici assumono quasi sembianze di forme falliche, come fosse un’ostentazione e una sorta di liberazione».
Ad accompagnare la mostra c’è un taccuino, che di per se è una scrittura privata che offri al pubblico. Che cosa significa “esporsi”?
«Penso sia un’azione che rende più maturi e consapevoli di se stessi, perché appunto conduce in modo diretto verso il giudizio, che può anche non avere filtri. Naturalmente esporsi implica anche che tu debba saper difendere e mostrare con onestà ciò che fai e sei, senza scendere a compromessi, ma significa anche essere estremamente empatici con l’osservatore in quanto viene messo in contatto con una dimensione mentale a volte a lui estranea».
Matteo Bergamini

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