04 aprile 2018

Santa Moda, Arte a parte

 
Il fashion riverbera la sua aura nell’arte visiva, che può aspirare a diventare “di moda”. Un problema fenomenologico che sembra non preoccupare

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“Uno può fare ciò che vuole ma, fatemelo dire, se metto in pedana una testa, sotto un braccio, mozzata, siamo al limite e io non sto a questo gioco, mi tolgo da questo gioco”. Ad affermarlo è stato Giorgio Armani all’indomani della sfilata milanese di Gucci ideata da Alessandro Michele: modelli e modelle che hanno sfilato con le riproduzioni esatte delle loro teste all’interno di un vero e proprio set da sala operatoria, illuminazione, sedie, rivestimenti a pareti e pavimenti compresi. 
Certo, per chi è avvezzo a performance ben più “cruente” nel mondo dell’arte contemporanea, non solo questo spettacolo può aver procurato curiosità e diletto, ma anche risvegliato precise associazioni con installazioni di Damien Hirst tra cui Pharmacy o When logic dies o con la foto With Dead Head del 1991 che ritrae l’artista inglese sorridente in un obitorio di fianco alla testa di un cadavere!
Quindi niente di nuovo sotto il sole. 
Nella sua denuncia però Armani si spinge oltre fino a definire “baracconate” i setting delle sfilate di Prada, che ad essere onesti sono in tutto e per tutto identici a molte delle più avveniristiche installazioni di arte contemporanea, al punto che non sfigurerebbero dentro l’Hangar Bicocca di Milano, la Turbine Hall della Tate Modern di Londra o le Corderie dell’Arsenale durante la Biennale di Venezia. 
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Prada Women’s SS15 Fashion Show Space Parade
Moda che vuole essere Arte, che provoca e vuole dare spettacolo e Arte che pur tirando le fila del gioco somiglia paurosamente alla Moda. Il solito sconfinamento o un esemplare sconfinamento?
Benvenuti nell’epoca in cui la parola arte contemporanea non ha logicamente più senso, perché o tutto lo è (dalle sfilate di moda alla cucina stellata) o niente lo è, dal momento che ogni esperienza sembra intercambiabile (installazioni con set di moda). Ecco il punto: possibile che la differenza tra una sfilata di moda e un’opera d’arte contemporanea possa consistere solo e soltanto nella presenza o nell’assenza di modelle in passerella?
Se facessimo esibire queste modelle in un’installazione di Tobias Rehberger, dei Superflex, di Allora & Caldazilla o di qualsiasi altro artista contemporaneo, tali opere si trasformerebbero immediatamente in set di moda (le performances della Beecroft in fondo non sono altro che moda portata fino al nude fashion e le mostre di Vezzoli ibridi di set tra moda e arte senza essere né l’una né l’altra). 
Come Armani rifiuta la moda che diventa arte, così noi potremmo chiederci se sia il caso di rifiutare l’arte che diventa moda, cioè l’arte che può accogliere nel suo spazio un evento di moda senza perdere niente della sua seduzione o della sua forza estetica. Attenzione: non si sta dicendo che arte e moda intese come sistemi culturali non debbano integrarsi né che la moda non si debba occupare d’arte (le mostre della Fondazione Prada sarebbe un peccato non fossero mai state fatte, da Portable Classic alla recente Post Zang Tumb Tuum), solo che dovremmo essere in grado di capire cosa cambia a livello fenomenologico nell’una e nell’altra e cosa implica questo gioco di scambi che porta l’una a prendere il posto dell’altra.
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Vanessa Beecroft – VB53 – 2004
Intanto si annuncia in maggio al Met di New York la mostra “Heavenly Bodies: Fashion and the Catholic Imagination”, con paramenti sacri a fianco di abiti di famosi stilisti, mentre Monsignor Gianfranco Ravasi (autorità in materia d’arte), alla presentazione del progetto espositivo, attribuisce una sorta di aura divina non tanto ai paramenti (che già sono sacri) quanto alla moda (in odore quindi di santità), ricordando quanto scritto nella Bibbia: “Dio è il più grande sarto” avendo dato tuniche di pelli e vesti all’uomo ed alla donna. Siamo oltre il disconoscimento di Armani o le ibridazioni tra arte contemporanea e moda: Versace, Coco Chanel, Dolce & Gabbana non più creativi, ma creatori?
Si facciano pure le sfilate nei musei, si mettano in mostrano abiti di collezioni storiche, gli artisti lavorino per la moda e la moda promuova l’arte, ma si tenga in mente che hanno anime diverse (estetiche e ideologiche), che non sono equivalenti, al contrario della tendenza attuale del loro scambio di identità. Le sfilate di moda dentro Palazzo Pitti ad esempio non riescono a trasformare i dipinti antichi in moda, ma assorbono da essi preziosi riverberi che gli danno aura di opere d’arte. La sensazione è che per certa arte contemporanea avvenga invece proprio il contrario: è la moda che riverbera la sua aura sull’arte e quest’ultima può al massimo aspirare a diventare “di moda”, cedendo i suoi spazi e i suoi tempi! Se questo fenomeno però non sembra rappresentare un problema per la religione e i suoi simboli, perché dovrebbe esserlo per l’Arte?
Marco Tonelli

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