20 febbraio 2013

L’intervista/Marjane Satrapi Dipingere Matisse a Theran

 
Vi ricordate Persepolis? Il bel film che raccontava con ironia la dura vita di una ragazza a Theran? L'autrice, Marjane Satrapi, iraniana, naturalizzata francese, si cimenta ora con la pittura. Un percorso che dal fumetto l'ha portata alla più antica delle arti. "Reazionaria", come lei si definisce, ed eclettica, come in effetti è, Satrapi ci racconta di sé. E lontano dai riflettori ci rivela la sua passione tenuta nascosta fino ad oggi

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“Dipingo da sempre, ma non mi sentivo pronta. Quando sono nata già dicevano che la pittura era morta…Viva o morta, amo la pittura e sentirò sempre il piacere di volerla esplorare”. Dichiara Marjane Satrapi. Artista franco-iraniana, classe 1969, espone attualmente ventuno ritratti di varie dimensioni presso la galleria parigina Jérôme de Noirmont fino al 23 marzo. Salita alla ribalta nel 2007 con il bellissimo film tratto dalla graphic novel autobiografica omonima (2000-2003), candidato all’Oscar nel 2008, Satrapi non si è riposata sugli allori e ha creato un altro film di successo, Pollo alle prugne (2011), dall’omonima graphic novel, mentre il suo ultimo film La Bande des Jotas (2012) da lei diretto ed interpretato, già presentato all’ultimo festival di Roma, è uscito in Francia il 6 febbraio scorso. Amante delle sfide, curiosa e con la voglia di essere se stessa in ogni istante della sua esistenza, Satrapi misura per la prima volta la sua arte pittorica col giudizio del pubblico, fedele o nuovo che sia. Presenta tutte tele recenti ed inedite, coloratissime, rappresentano donne adulte, ritratte sole, in coppia o a quattro, sedute o in piedi, queste sono sempre composte, perfettamente vestite, pettinate e truccate, con le labbra chiuse, i loro visi non sono mai irruviditi dal tempo. Sono donne, ma senza nessuna pretesa femminista. Sono lì non per raccontare storie ma per suggerirle, per parlare all’immaginario di ogni singolo spettatore. Tra gli altri, c’è un quadro che si riallaccia alla fumettista che tutti conosciamo. Su una lavagna, dietro il ritratto di un’insegnante dal volto impassibile, appare una scritta in arabo, a metà tagliata, che dice “Le cose che dimentichiamo, non le dimenticheremo mai”. Ecco l’intervista che ha rilasciato per Exibart.

Questa mostra è una primissima mondiale, ma anche un one shot?

«Anche se non ho mai esposto fino ad oggi, la pittura è sempre stata alla base di ogni mia creazione. È un’arte che mi ha accompagnata sin dall’infanzia. Ragazzina andavo spesso da una zia, poetessa e pittrice, che mi faceva dipingere su qualsiasi cosa. Quegli incontri sono diventati fonte d’ispirazione di tante storie che ho raccontato più tardi». Spiega l’artista.

Queste donne che ritrae, con i loro giochi di sguardi e i semplici gesti delle mani, sono lì per raccontarci storie, come lei è abituata a fare?

«La pittura è il solo momento in cui non penso, non racconto una storia, ma mi lascio andare guardando il colore che cola sulla tela, in quell’istante non faccio altro. Quando dipingo non devo raccontare, anche perché per me la pittura non è lì per spiegare, sarebbe come insultare l’immaginazione di ognuno, se accade il contrario vuol dire che non basta a se stessa. Mi hanno detto che andava di moda il video e via dicendo, ma io alla fine sono una reazionaria».

E il fumetto, pensa di abbandonarlo?

«No, anche perché mi sembra al momento di aver trovato un buon equilibrio tra cinema e pittura».

Ha iniziato con il fumetto, poi è passata al cinema e oggi ci svela quest’altra sua passione, la pittura. Come vive il passaggio tra forme artistiche così diverse?

«Si possono fare tante cose sempre diverse nella vita, e poi perché no! Perché annoiarsi, costringersi a copiarsi o ripetere qualcosa perché funziona, perché si vende. Quello che conta è avere una motivazione. Non ho abbandonato l’idea di fare fumetti, solo che per il momento non mi va. Non ho mai stabilito delle frontiere tra le arti, io sono un’artista dell’immagine e ad oggi ho trovato un equilibrio tra il fare cinema e la pittura. Amo lavorare con la gente. Per realizzare un film di 90 minuti c’è bisogno di energia, ed è bello vedere che tutti danno il massimo. Sto preparando un film molto importante The Voices, ma presto realizzerò un film sperimentale, come lo è stato per La Bande des Jotas. Mentre lato pittura, sono pronta per replicare questa esperienza ancora e ancora. La pittura mi permette di ritrovarmi con me stessa, è l’altra me».

Ogni suo quadro sembra trascendere il tempo, come per allontanare l’idea della fine, della perdita, forse finanche della morte. Ne ha forse paura?

«L’atemporalità è presente nelle mie creazioni, un lavoro troppo ancorato nell’attualità, no! Bisogna avere una certa distanza per poter parlare di qualcosa. Dipingo donne perché queste mi ispirano di più. Sono donne atemporali, potrebbero essere degli anni Cinquanta o meno. Per me l’estetica è importante, sono innamorata del bello e sempre alla ricerca di questo ma ciò che m’interessa è comunque l’umano. L’umano è al centro dei miei dipinti. La morte? È qualcosa che mi sciocca, sento che si avvicina ogni giorno che passa, mi terrorizza. Mi dico sempre che non è possibile morire. Ma prima che ciò accada voglio portare a termine i tanti progetti che ho in mente».

La sua mostra sta andando bene, sorprendendo come sempre un po’ tutti. Molta parte della critica ha già cercato di attribuirgli riferimenti e maestri, tra questi Matisse. Lei cosa ne pensa?

«L’accostamento con Matisse mi fa piacere, lo prendo come un complimento. Trovo normale che, consciamente o inconsciamente, ciò che guardo, amo e vivo, modifichi il mio modo di fare e di essere. Certo l’arte araba è presente, non nego certo il luogo da dove vengo. Sì, il ritmo e la semplicità m’interessano molto. La semplicità non sempre è facile da trovare, l’evidenza non è sempre così palese come potrebbe sembrare».

In un’esposizione in cui Satrapi, per rappresentare l’umano non usa parole.

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