17 luglio 2013

L’intervista/Giuseppe Penone L’arte dice sempre la stessa cosa

 
Ad affermarlo è uno dei protagonisti dell’Arte Povera. E come non c’è differenza con quello che veniva realizzato 3000 anni fa, così c’è una profonda continuità tra antico e contemporaneo. E forse anche tra il lavoro dell'uomo e la natura. Fino al 31 ottobre, Giuseppe Penone è al Château di Versailles con una mostra che riprende il dialogo tra arte e cultura popolare. Ecco il suo racconto a Exibart di come è nata quest'incredibile esposizione

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Giuseppe Penone, Elevazione-Courtesy Giuseppe Penone © photo Tadzio

Dopo Jeff Koons, Takashi Murakami, Bernar Venet e Joana Vasconcelos, il castello di Versailles ospita Giuseppe Penone (1947, Garessio) per una grande mostra curata da Alfred Pacquement, direttore inoltre del Centre Pompidou di Parigi, presente fino al 30 ottobre prossimo. Delle ventidue opere solo tre sono all’interno del castello, le altre sono installate nei maestosi giardini alla francese progettati nel 18esimo secolo da André Le Nôtre, di cui si festeggia quest’anno il 400esimo anniversario della nascita. Tra le opere all’interno del castello, nel Pavillon Gabriel Albero porta-cedro (2012), invece nell’Anticamera della Regina Respirare l’ombra – Foglie di tè (2008) con quasi 200 grate di 117 × 78 × 9 ciascuna, mentre nei giardini lungo l’asse maggiore, in perfetto dialogo con la facciata del palazzo, si presenta maestosa Tra Scorza e Scorza (2003), opera faro dell’esposizione, tra le altre Spazio di luce (2008), Le foglie delle radici (2011), invece nella realtà più intima dei boschetti troviamo nel Bosquet de l’étoile un gruppo di 7 opere tra cui l’incantevole Elevazione (2011) ma anche Idee di pietra (2008) con olmo e ciliegio. Brillantemente situate le sculture di Penone si contrappongono al rigore formale dei giardini impeccabilmente curati, inserendosi nel paesaggio in modo del tutto naturale senza che il gesto umano prevalichi sul resto. 

Giuseppe Penone, Tra scorza e scorza-Courtesy Giuseppe Penone © photo Tadzio
Gli espressivi alberi di Penone fanno il contrappunto ad una natura soggiogata dall’uomo, come un innesto miracoloso che si avvale armoniosamente di prospettive a dir poco spettacolari. Figura di spicco del movimento dell’Arte Povera, il lavoro di Giuseppe Penone ha sempre intrapreso cammini imponderabili ricostruendo un rapporto con la natura da tempo dimenticato. La mostra sin dall’inizio ha ottenuto un gran successo di critica e di pubblico nonostante le piogge dei primi giorni e le interminabili code di turisti provenienti da ogni parte del mondo. Con oltre 10 milioni i visitatori degli spazi esterni, il Château di Versailles è diventato tappa anche per gli appassionati d’arte contemporanea.
Abbiamo incontrato Giuseppe Penone che ci svela qualche curiosità sul suo lavoro a Versailles.
Cosa rappresenta per lei Versailles e come nasce quest’avventura?
«È una possibilità straordinaria di attirare l’attenzione sull’opera, e grazie alla vastità dello spazio mostrare un gran numero di opere in un solo luogo. Questa è la cosa incredibile che è successa e l’ho fatto con piacere! Quando sono arrivato a Versailles per un sopralluogo i giardini erano interamente ricoperti di neve, non si potevano distinguere le varie parti. Quest’illusione mi ha aiutato a situarmi nel luogo, ho reagito immediatamente con una serie di schizzi, anche se nel corso della messa in opera ci sono stati cambiamenti. Comunque c’è stato un lavoro di gruppo, potrei aggiungere che sono stati i giardinieri che mi hanno consigliato dove posizionare le opere, alfine di ovviare ai problemi di canalizzazione. Mentre ho trovato totale libertà di messa in opera nel bosquet de l’Etoile».
Giuseppe Penone, albero folgorato-Courtesy Giuseppe Penone © photo Tadzio
Che cosa pensa dell’incontro tra classico e contemporaneo e del gioco di convenzioni che questo comunica?
«I valori del classico e del contemporaneo non sono in contrapposizione, l’arte dice sempre la stessa cosa nel tempo. È solo una cattiva interpretazione delle opere che crea questa distinzione netta oppure la necessità di alcuni artisti di emergere, di distinguersi, creando questo tipo di discussione, di dialettica, ma in fondo le problematiche sono sempre le stesse. Se si prende un’opera del Cinquecento o di 3000 anni fa ci sono in fondo delle emozioni condivise, una continuità nei diversi momenti storici e anche geografici. Certo ci sono le convenzioni! È chiaro che ogni epoca ha le sue convenzioni o la necessità di modificarle perché la realtà cambia e quindi la funzione dell’opera. Ma le motivazioni del perché uno crea un lavoro sono spesso le stesse. Personalmente seguo le regole della materia, cerco di fare un lavoro che la materia suggerisce. È un lavoro di comprensione di una realtà che magari è nascosta o a cui non si pensa. La scultura è la mia motivazione mentre il bronzo, il marmo e l’acciaio inox sono materiali che mi permettono di creare un dialogo stabile con le persone in quanto materiali duraturi».
Allora come spiega l’uso delle foglie da tè nell’opera Respirare l’ombra – Foglie di tè?
«La costruzione di questo lavoro è semplice, in fondo non c’è un’interpretazione, è un lavoro che si può ripetere facilmente, si tratta di versare le foglie nella grata. Ma è un’indicazione di quello che avviene normalmente, infatti mentre noi parliamo, respiriamo, emettiamo nello spazio attorno di noi un volume d’aria che si può considerare scultura perché è un volume che è alterato rispetto all’aria che ci circonda. Questa è un’idea di scultura non colta, cioè che non fa parte di una cultura, ma è basata sull’animalità, lo facciamo noi come lo fanno gli animali. Mi piace molto l’idea di una forma che appartiene a tutti, che diventa contraddittoria rispetto a quella dell’arte in generale che è invece esclusiva di una persona. Questa per me è un’idea, un’indicazione straordinaria! Per questo ho fatto dei lavori in cui c’è l’idea di assorbire l’aria».
Giuseppe Penone, Triplice-Courtesy Giuseppe Penone © photo Tadzio
Non c’è stata un’opera creata appositamente per Versailles, ma c’è comunque una storia interessante attorno all’opera Tra Scorza e Scorza che la lega a questi luoghi. Ce la racconta?
«Un’esposizione non è un’occasione per produrre opere, ma per mostrarle e per me Versailles rappresenta un gran progetto. Tutto è iniziato con la vendita all’asta organizzata dalla Società degli Amici di Versailles di alcuni alberi del Château sradicati durante la tempesta avvenuta nel dicembre del 1999. In questa occasione ho comprato due alberi, di cui uno è diventato il Cedro di Versailles mostrato nel 2004 durante la mia retrospettiva al Centro Pompidou di Parigi, mentre Tra Scorza e Scorza è nata dallo stampo del secondo albero, con cui ho realizzato due grandi parentesi in bronzo e tra queste, in uno spazio di tre metri su uno e cinquanta, ho posto un vero albero, che un giorno riempirà questo spazio diciamo della memoria, toccando le scorze. Il bronzo è un materiale che riproduce perfettamente l’albero, anche se il mimetismo non è parte delle mie preoccupazioni, la scultura si fonde perfettamente con l’ambiente naturale, e in questo senso si può parlare di antiscultura poiché tradizionalmente la scultura si distacca da ciò che la circonda. Inoltre c’è un profondo legame tra il vegetale e il bronzo, come l’effetto di ossidazione che lo avvicina alla colorazione dell’albero».
 Giuseppe Penone, Albero porta-cedro - Courtesy Giuseppe Penone © photo Tadzio

Che dire delle splendide opere in marmo bianco di Carrara, Anatomie del 2011, poste nel parterre di Latone?
«Le sculture di marmo rappresentano un altro aspetto del mio lavoro che era importante sottolineare anche perché il marmo è uno dei materiali legati a questo luogo. Infatti i miei lavori sono posti, lungo l’asse centrale, all’interno di un emiciclo, circondati dalle sculture del luogo. Ho sfruttato l’opportunità di avere dei visitatori immaginari (sorridendo) come nell’opera Il convitato di pietra».
Il bosquet de l’Etoile ospita sette opere che piazzate a cerchio lasciano uno spazio libero all’interno. Perché?
«Nel boschetto de l’Etoile c’è il negativo di questo dato dall’assenza dell’albero al centro, tutto intorno ho piazzato sette sculture d’alberi, questi occupano lo spazio come delle presenze attorno ad uno spazio vuoto, mentre il centro è il luogo in cui si situa il visitatore, la comunità umana».

2 Commenti

  1. un arte povera di mezzi darà risultati poveri….la ricchezza di un opera d’arte dipende dalla quantità-qualità e dalla natura onto-tecnologica degli strumenti usati……l’arte povera è un arte che hà smesso di divenire e si è fermata ad uno stato primitivo-arcaico ritenuto falsamente ed ingenuamente, puro-incontaminato-naturale….senza comprendere che la natura stessa svela sè stessa anche attraverso la tecnologia : silicio,energia elettrica,cristalli liquidi,arsenuro di gallio,rame,ecc.sono prodotti della natura,il computer quindi è una potenzialità della natura stessa.

  2. Mi permetto di dissentire, non è la qualità del materiale che rende un’opera degna di essere chiamata tale ma la povertà di contenuto o la superficialità nel trattare un argomento. Sono forse più di 60 anni che sperimentiamo materiali nuovi e contemporanei. Oggi siamo in un periodo di “accademismo”,ripetizione all’infinito delle stesse cose con il medesimo approccio.
    Nessuno o meglio, pochi e poco conosciuti, si azzarda a raccogliere ciò che ha dato di buono la sperimentazione e cominciare di nuovo a comunicare senza un “traduttore” tra opera e fruitore. Tale operazione però implica impegno, mestiere e ricerca. Tutte cose che costano fatica, più facile trattare del “nulla” e della sprimentazione in modo da non doverti confrontare ne col passato e tanto meno tendere al futuro. Solo apatia

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