20 febbraio 2018

Dove va la pittura?

 
Parla Demetrio Paparoni, ideatore e curatore della mostra “Le Nuove Frontiere della Pittura”, la prima in Italia interamente incentrata sulle nuove tendenze del figurativo

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“Le Nuove Frontiere della Pittura”, in corso alla Fondazione Stelline di Milano fino al prossimo 25 febbraio, con le sue 34 opere di 34 artisti provenienti da 17 Paesi, mi è tornata in mente più volte negli ultimi tempi quando riflettevo sulla pittura odierna come esempio di vitalità e di grande valore estetico nel qualitativamente altalenante, non scevro da dense coltri di ambiguità, panorama dell’arte contemporanea. Pittura ora in dialogo ora in opposizione con gli altri media, elaborando comunque codici autonomi. La mostra, ideata e curata da Demetrio Paparoni (e accompagnata da un pregevole catalogo Skira) presenta, infatti, dipinti figurativi di artisti nati dal 1960 in poi (Francis Alÿs, Michaël Borremans, Kevin Cosgrove, Jules de Balincourt, Lars Elling, Inka Essenhigh, Laurent Grasso, Li Songsong, Liu Xiaodong, Victor Man, Margherita Manzelli, ecc.), che vivono in diverse parti del mondo, protagonisti consolidati sulla scena globalizzata, che testimoniano all’unisono quanto la pittura sia un linguaggio che abbia ancora molto da dire. Anche se questo contrasta con l’orientamento delle grandi mostre internazionali. 
Il progetto tende, pertanto, a mettere in evidenza l’incidenza che la pittura ha nello scenario artistico degli ultimi decenni, e la svolta stilistico-contenutistica messa in atto nel nuovo millennio. Ne abbiamo parlato con il suo “deus ex machina”, Demetrio Paparoni.
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Markus Schinwald, Beth, 2012, olio su tela, 145×80,6 cm
Quali sono le nuove frontiere della pittura?
«La mostra non ha la pretesa di segnare un confine da varcare, anche perché è dagli anni Novanta che la pittura ha intrapreso un percorso libero da vincoli. Ancora la pittura degli anni Ottanta, quanto meno la maggior parte di essa, subiva il freno teorico del pensiero modernista. Molti pittori figurativi rimarcavano che, pur facendo un’arte ricca di immagini riconoscibili, operavano al di fuori del concetto di simbolo e di narrazione. Questo vincolo era dettato dall’influenza esercitata dalle teorie di Greenberg, e manifestava appieno il peso di una cultura americanocentrica. Sempre negli anni Novanta hanno inciso nel modo di intendere l’arte tutta, dunque anche la pittura, gli effetti della rivoluzione telematica, che hanno cambiato il concetto di spazio e di tempo. E hanno inciso anche le condizioni sociali ed economiche che spingono l’intera società a non credere più nelle promesse. L’arte ha promesso a lungo di poter cambiare il mondo, oggi gli artisti non guardano al futuro, ma al “qui e ora”».  
Chi sono quelli che hai definito “i registi della pittura”?
«Ho usato questa espressione nel mio testo in catalogo per evidenziare che all’artista è data anche la possibilità di presentare come propria una tela dipinta in chiave figurativa, affidandosi al supporto di bravi tecnici, assistenti, artigiani. In sostanza, si tratta di dipinti che, dietro l’apparente impianto formale classico, sono solamente pensati dal loro autore. C’è una profonda differenza tra gli artisti del passato e quelli che presento nella mostra che ho curato. In passato c’era un’idea di stile, e tutti lavoravano seguendo le direttive del maestro copiandone la mano».  
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Nicola Samorì, Sciapode mariano, 2016 olio su legno / oil on wood 200x150x8
Ci puoi fare degli esempi di “registi della pittura”?
«Artisti come Laurent Grasso o Francis Alÿs non vogliono fondare una scuola di pittura, ma utilizzano la pittura anche come interrogazione sull’arte e, nello specifico, sul linguaggio della pittura stessa, senza per questo rinunciare a narrazione e simbolo. In catalogo affronto questo tema rifacendomi ad autori come Laurent Grasso, Francis Alÿs, appunto, ma anche come Zhanh Huan e Markus Schinwald. Laurent Grasso fa dipingere a restauratori, sulla scorta di modelli del passato, rappresentazioni di memoria antica, di cui sconvolge il senso facendo inserire un’eclisse solare o un meteorite. Talvolta Grasso fa aggiungere alla scena originaria figure che contrastano con il dipinto preso a modello, perché legate a un momento storico diverso. Markus Schinwald si avvale di dipinti anonimi dell’Ottocento comprati nei mercatini, li fa restaurare, e aggiunge sul volto dei soggetti maschere, veli o strumenti medici. Zhang Huan fa realizzare ai suoi assistenti, utilizzando come materia pittorica cenere di incenso raccolta nei templi buddisti, rappresentazioni realiste legate alla propaganda maoista, compresi i ritratti di leader politici, oltre a immagini di famiglia e dell’universo buddista e della cristianità. Francis Alÿs, pur avvalendosi di tutti i media, in passato ha commissionato ad alcuni pittori di insegne di Città del Messico riproduzioni ingrandite di suoi quadri che, poi, lui stesso ha ricopiato nel tentativo utopistico di sabotare il mercato. Questi artisti dimostrano come un dipinto dei nostri giorni possa avere una dimensione marcatamente concettuale. Ma a differenza di quanto avveniva con le diverse manifestazioni in pittura del concettualismo negli anni Settanta, gli è richiesta una qualità pittorica che coinvolga allo stesso modo l’occhio e la mente, e nello stesso tempo attivi meccanismi collegati».  

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Laurent Grasso Studies into the Past olio su legno / oil on wood 69×69

Questo modo di intendere la pittura da parte dei cosiddetti “registi della pittura” è in contrasto con quello degli artisti che realizzano personalmente i loro dipinti?
«No. E il risultato non cambia».  
La pittura figurativa può aprire spazi immaginativi e conoscitivi non consentiti ad altri mezzi espressivi? Se sì, quali?
«Tutta l’arte può aprire a nuovi spazi immaginativi, qualunque sia il linguaggio che utilizza».  
Questa mostra indica che il suo interesse è oggi rivolto esclusivamente alla pittura? A maggio prossimo si inaugurerà la diciottesima edizione della mostra annuale del Vestfossen Kunst Laboratorium, in Norvegia. Sarà un’esposizione di pittura, come quella che ha curato alla Fondazione Stelline? Presenterà artisti italiani?
«Con la mostra alla Fondazione Stelline ho voluto sottolineare che la pittura ha moltissimo da dire, che non è il fanalino di coda dell’arte contemporanea, come purtroppo si tende spesso a dimostrare oggi nelle grandi rassegne d’arte contemporanea. Il progetto espositivo al Vestfossen Kunst Laboratorium, che ho intitolato “Contemporary Chaos”, comprende 60 artisti, molti dei quali sono pittori. La mostra accoglierà, infatti, artisti che operano con linguaggi diversi. La presenza italiana sarà nutrita, includerà infatti una quindicina di artisti italiani di diversa generazione».  
E da indiscrezioni pare che, tra gli invitati, ci saranno Nicola Samorì, Nicola Verlato, Giovanni Frangi, Nunzio, Domenico Bianchi, Sergio Fermariello, Vanni Cuoghi, Thomas Braida, Daniele Galliano, Letizia Fornasieri, Barnaba Fornasetti/Valeria Manzi, Maria Mulas Chiara Lecca, Andrea Bianconi, Marco Neri e l’ultraottantenne Francesco Polenghi (purtroppo a oggi ancora misconosciuto in Italia). 
Cesare Biasini Selvaggi

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