07 giugno 2018

L’intervista/Sara Raza

 
GUGGENHEIM GLOBAL
In occasione della mostra “Una tempesta dal paradiso” alla GAM di Milano, vi raccontiamo il progetto UBS MAP

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L’arte contemporanea non salverà il mondo, ma quando agisce ci invita a riflettere, conoscere e forse comprendere processi di cambiamento politici e sociali complessi, promuovere l’interculturalismo e interrogarci sull’identità, tradizione e anche innesto tra paesaggio e architettura nell’epoca globale. Questi in sintesi sono i temi al centro della mostra “Una tempesta dal paradiso” a cura di Sara Raza, ospitata alla GAM a Milano dove passato e presente intrecciano narrazioni possibili sul nostro tempo. Ma lasciamo a lei raccontare i contenuti delle opere di 13 artisti esposte.
In che cosa consiste il programma di MAP, avviato nel 2012 da Guggenheim di New York e UBS e quali sono gli obiettivi?
«La Guggenheim UBS MAP Global Art Initiative è una collaborazione storica tra Guggenheim e UBS che presenta l’arte contemporanea da una prospettiva internazionale, promuovendo punti di vista diversificati e sostenendo nuovi modi di pensare all’arte contemporanea a livello mondiale. Attraverso un programma di acquisizioni, mostre, e collaborazioni, il progetto MAP evidenzia prospettive globali e costruisce dei network critici tra artisti, curatori, e le istituzioni culturali del Sud e del Sudest dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa Medio Orientale e del Nord – regioni che per lungo tempo non sono state rappresentate adeguatamente nel sistema della storia dell’arte, euro-centrico per tradizione. L’acquisizione di 126 nuove opere all’interno della collezione permanente, progetti continui con gli artisti viventi, e collaborazioni con le istituzioni di tutto il mondo, permettono al Guggenheim e a UBS un più ricco e inclusivo racconto della storia dell’arte, che possa riflettere il mondo che viviamo oggi».
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Abbas Akhavan, Study for a Monument 2013
USB e la GAM: come si concretizza la loro collaborazione?
«Dalla sua fondazione, il Guggenheim ha sostenuto il potere trasformativo/rivoluzionario dell’arte di influenzare il comportamento umano, e quindi la società. Il progetto MAP è un’audace e naturale estensione nel 21esimo secolo del nostro principio fondativo di rendere possibile una maggiore comprensione dell’arte contemporanea collezionando, supportando e presentando l’arte del nostro tempo. UBS è impegnata allo stesso modo nell’affermare il potere dell’arte di fornire una visione in questo nostro complesso mondo, di andare oltre i confini, di trasformare le opinioni e costruire un’eredità di opere che mettano in evidenza le preoccupazioni critiche del nostro tempo per le generazioni a venire. Offrire il nostro comune impegno nell’arte contemporanea, creando insieme un progetto che dà agli artisti e alle istituzioni il potere di amplificare le loro voci e il loro impatto potenziale, è stata una direzione presa da entrambi in modo naturale».
Perché avete scelto la Gam di Milano come sede espositiva dell’ottava e ultima tappa della mostra “Una tempesta dal Paradiso – Arte Contemporanea del Medio Oriente e Nord Africa”?
«Il Guggenheim è molto interessato che un’audience più ampia veda questa collezione e all’interno del contesto geografico dell’Europa, specialmente a Milano. Era importante che le opere fossero viste e sfidassero le visioni stereotipate associate al Medio Oriente e al Nord Africa. Questa mostra è ampiamente “site responsive”, in grado di adattarsi al luogo e, detto ciò, l’interesse di GAM nel presentare l’arte contemporanea di tutto il mondo assieme alla sua collezione storica, rende GAM un partner ideale per presentare questa esposizione».
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Iman Issa, Heritage Studies
Perché questo titolo? 
«Ma una Tempesta Spira dal Paradiso (But a Storm Is Blowing from Paradise) deriva dall’ultimo saggio del filosofo tedesco Walter Benjamin “Tesi di filosofia della storia”. Benjamin, tedesco di origini ebraiche, morì durante la Seconda Guerra Mondiale mentre stava tentando di fuggire dalla Francia occupata dai nazisti attraversando la Spagna, con l’intenzione di raggiungere il Portogallo neutrale: quando arrivò al confine, fu informato che il suo visto sarebbe stato revocato e immediatamente si tolse la vita. Allo stesso tempo, questo è il titolo di un’opera fondamentale per la mostra: una serie di lavori su carta realizzati dall’artista iraniano Rokni Haerizadeh, in cui lui ha dipinto direttamente su dei fotogrammi tratti da YouYube, trasformando le nuove immagini in scene satiriche popolate da surreali ibridi a metà tra animali e uomini. Nell’età contemporanea, l’originale titolo di Benjamin evoca poeticamente le implicazioni del passato sul presente. Al contrario, i dipinti di Haerizadeh aprono un dibattito più ampio sulla capacità virale dei nuovi media di alterare e manipolare le informazioni».
Quanti artisti e quante opere sono esposte e con quali criteri sono stati scelti?
«Una Tempesta dal Paradiso alla GAM presenta l’opera di 13 artisti. I loro 16 lavori collettivi esplorano i temi interconnessi della migrazione, del dislocamento, dell’architettura, della geometrica, della verità, della storia, tramite installazioni, dipinti, fotografie, sculture, video e altri media. Questa mostra si basa sul principio della circolazione trasversale di significati e conoscenze condivisi, e diversi lavori esposti toccano temi comuni e interconnessi».
Medio Oriente e Nord Africa sono catalizzatori di eventi drammatici al centro di cambiamenti geopolitici a livello mondiale, quale è il messaggio di questa mostra?
«Connessa con le questioni legate alle storie coloniali del Medio Oriente e del Nord Africa, la mostra investiga temi come il movimento, la migrazione, l’architettura, la geometria, la verità, e il “contrabbando concettuale” – o il processo di scoprire/svelare idee nascoste. In ogni caso, sopra a tutto, la mostra affronta da vicino questi eventi globali tramite poetiche visive».
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Joana Hadjithomas and Khalil Joreige, Latent Images Diary of a Photographer
 
Secondo lei, tra i lavori esposti, quali sono le opere dai paesaggi precari e vulnerabili, che investigano la complessità contemporanea e le questioni endemiche del Medio Oriente e del Nord Africa, aprendo riflessioni sul post colonialismo e perché?
«Una decisione curatoriale importante per me è quella di allontanarmi dai riferimenti politici espliciti associati alla regione. Nella serie Paesaggi Tremanti (Paysages Tremblants, 2014-16), l’artista Ali Cherri presenta mappe aeree stampate ad inchiostro di Algeri, Damasco, Erbil, Mecca e Teheran, evidenziando le linee delle faglie che hanno provocato terremoti catastrofici e giustapponendoli con le istanze di disordini politici, per focalizzarsi su un atto divino piuttosto che su un’azione compiuta da un individuo politico.
Al contrario, Ergin Çavuşoğlu, nella sua installazione site-specific Allevamento di Polvere (2011), invita i visitatori a camminare attraverso un disegno anamorfico realizzato sul pavimento del museo. L’opera d’arte è ispirata al modello di un cementificio in Turchia; i movimenti dei visitatori sono catturati da un monitor collocato vicino a loro, nel quale appaiono in piedi all’interno di questa scultura tridimensionale. L’opera allude alla rapida globalizzazione della regione che sta ancora vivendo il suo processo di industrializzazione per riflettere le economie del lavoro e l’atto di camminare e alzare la polvere. Oltre all’opera di Rokni Haerizadeh che dà il titolo alla mostra, un altro lavoro che implicitamente sfida le rappresentazioni esistenti del Medio Oriente e Nord Africa è Immagini Latenti, Diario di un Fotografo, 177 Giorni di Performance (2015), di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, un’installazione di 354 libri esposti su 177 scaffali di metallo che hanno il significato di contenere descrizioni scritte delle immagini scattate da un fotografo immaginario, Abdallah Farah, durante la guerra civile del Libano, per illustrare la linea sottile che esiste tra la leggenda e la realtà. L’opera di Ahmed Mater, Disarmo 1-10 (2013) presenta dieci light box con fotografie eseguite dall’artista dal dalla cabina di pilotaggio di un elicottero militare saudita alla ricerca di pellegrini non autorizzati diretti alla Mecca, per evidenziare un paesaggio urbano che sta subendo un cambiamento sociale e strutturale rapido. Storie immaginarie e storia vera si intersecano in un video di Lida Abdul intitolato In Transito (2008). In questo lavoro, un gruppo di bambini nelle vicinanze di Kabul gioca all’interno della carcassa di un aereo da guerra sovietico abbattuto, tentando senza successo ma con infinito ottimismo di ripararlo e farlo volare con del cotone e delle corde. Il gruppo di ragazzi diventa un’allegoria dell’impossibilità percepita di ricostruire l’Afghanistan, ma anche dell’idea di Abdul per cui ”qualunque cosa è possibile quando tutto è perduto”. L’opera di Gülsün Karamustafa Crea la Tua Storia con il Materiale Fornito (1997) affronta la tematica urgente della migrazione dei popoli e delle idee e presenta una composizione di trenta magliette bianche, taglia bambino, che l’artista ha chiuso ricucendole con del filo nero. L’opera vuole essere una riflessione sul dramma dei bambini che emigrano in Turchia, per i quali il passaggio sicuro nel paese e la successiva libertà di movimento rimangono una questione aperta».
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Kader Attia, Senza titolo, Ghardaia 2009
In quali opere arte e architettura dialogano e si pongono l’obiettivo di immaginare un nuovo mondo, migliore di questo si spera?
«L’architettura appare come un elemento chiave nella formazione del modernismo nella regione ed è cruciale in diverse opere. Tra esse Senza Titolo (Ghardaïa) (2009) di Kader Attia, opera realizzata in cous cous che rappresenta un modello in scala del Patrimonio Mondiale di Ghardaïa, in Algeria, le cui costruzioni tradizionali hanno influenzato il modernista Le Corbusier; Costruzione (2009) di Susan Hefuna, nove disegni che suggeriscono sia diagrammi cartografici sia schizzi di elementi architettonici come la mashrabiya, una tradizionale finestra a traliccio; Corrimano di Banca di Hassan Khan, una riproduzione scultorea del corrimano all’esterno della Banque Misr, la prima banca di proprietà egiziana in Egitto. Studi per un monumento di Abbas Akhavan (2013-16), una serie di calchi in bronzo di piante originarie del sistema fluviale di Tigri ed Eufrate disposte sul pavimento sopra a teli bianchi, propone idee alternative intorno alla cultura e alla diffusione di monumenti pubblici».
L’arte secondo lei riesce a promuovere l’interculturalismo anche in Oriente? Come?
«Molti degli artisti in mostra usano metafore visive poetiche per sfidare le visioni tradizionalmente associate al Medio Oriente e al Nord Africa. Navigano tra un passato irto e un presente altrettanto complesso attraverso riferimenti alle atrocità della Seconda Guerra Mondiale, alla creazione del mondo moderno e alla migrazione di persone e idee. La presentazione alla Galleria d’Arte Moderna di Milano solleva questioni urgenti che riguardano il dislocamento in aree di tutto il mondo, tra cui l’Italia e la grande Europa».
Quali sono state le difficoltà architettoniche e di allestimento della mostra alla Gam, un gioiello di architettura neoclassica non adatto ad ospitare installazioni di arte contemporanea?
«L’allestimento realizzato in GAM, progettato in collaborazione con lo studio di architettura AOUMM, dialoga con il patrimonio neoclassico dell’edificio e si è rivelato una splendida sfida. L’allestimento della mostra ha infatti preso in considerazione l’intera architettura circostante, con aree della struttura originale rese visibili o accuratamente giustapposte per completare le opere d’arte esposte: le pareti di allestimento sono state tagliate in alcuni angoli per creare un dialogo complementare».
Jacqueline Ceresoli

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