28 maggio 2018

Fino al 3.VI.2018 Bunker, Michele Giangrande Co Art Gallery, Corato

 

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Il rumore assordante di una sirena riecheggia tra le strette vie del centro storico. Siamo a Corato, vivace cittadina del barese alle porte della provincia di Barletta-Andria-Trani. È il 25 aprile e lunghe file di gente appaiono in trepidante attesa, pronte a scendere sottoterra, al riparo, in via della Pergola 11. Il contesto – volutamente ricreato – è quello di un imminente bombardamento, ma la realtà è diversa. Nessun conflitto, ma solo l’incipit suggestivo e veritiero di una mostra-esperienza. “Bunker”, questo il titolo, è l’ultimo approdo speculativo di Michele Giangrande, artista pugliese con una produzione multiforme, da una pittura più pixellata che divisionista a interventi ambientali di estrazione poverista, fatti di ipertrofici ingranaggi. A Corato l’artista si presenta con un’opera site specific, tra installazione, performance ed happening, dedicata alle vittime di tutte le guerre e orchestrata con il contributo della scenografa Angela Varvara. Curato da Alexander Larrarte, l’intervento coinvolge potentemente il visitatore, dialogando alla perfezione con il luogo (un labirintico ipogeo con pareti in pietra medievali e rinforzi strutturali in cemento armato), lasciando altresì trasparire una maturazione del pensiero dell’artista, che sembra ora tralasciare (ma non dimenticarli) i più evidenti riferimenti pascaliani, in favore di un lavoro concettualmente impegnato, emozionalmente più coinvolto, oltre che coinvolgente. 
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Bunker, Michele Giangrande, vista della mostra
La mostra si articola in tappe. Una ripida scalinata conduce il visitatore in una sala intramezzata da pilastri. Tra questi si ergono esili putrelle, allusive alla precarietà del presente, ma anche alla sua ricostruzione, ad una riedificazione virtuosa, fondata sulla cultura, a cui immancabilmente alludono i libri posti a sostegno delle impalcature. Al termine della scalinata, dopo gli abiti dismessi di una presenza passata ma rinnovabile, tragica o salvifica non è dato saperlo, ci si imbatte in tre bombe a mano rese innocue dalla doratura, allegorici detonatori utili a quella riedificazione del presente a cui si allude anche nella sala d’ingresso. Trascorse presenze sono anche quelle rievocate dai calchi di scarpe, calzature cariche di significato, abbandonate sulle spiagge di Lampedusa da speranzosi migranti, utilizzate dall’artista per imbastire un nesso profondo tra passato e presente, mostrando la drammatica ed ineluttabile ciclicità con cui si ripetono le tragedie. Un ruolo fondamentale, rievocativo e concettuale insieme, lo assumono anche le scritte, molte delle quali desunte dal ventennio fascista, per un’immedesimazione senza sbavature, così come gli effetti sonori, non solo la sirena d’inizio, ma anche la musica che permea gli ambienti, studiata dal compositore Stefano Ottomano.
Proseguendo si giunge alla sala dell’Unità, in cui le prime pagine del quotidiano fondato da Gramsci, inerenti l’imminente chiusura e la sua successiva (momentanea) salvezza, si caricano di significati più vasti, alludendo all’unità italiana e al bisogno di coesione nazionale. A contenuti patriottici rinvia anche l’installazione con la bandiera italiana. Il tricolore, ripetuto sette volte (il sette è numero spirituale, riferimento alla ciclicità e all’equilibrio) è posto in successione progressiva, con la parte bianca in dilatazione fino a perdere ogni colore e a trasformarsi in stendardo di resa e pace. Privata di ogni riferimento nazionalistico, l’installazione coniuga patriottismo e pacifismo, identità nazionale e coesistenza universale. Su tutto domina l’odore penetrante dell’incenso facendo della mostra un esperimento sinestesico, immersivo, totalizzante. Chiude l’intervento un letto predisposto da entrambi i lati e per questo inutilizzabile. Emblema di riposo negato, il giaciglio è il riferimento ad un’attenzione obbligata e perenne, perché nella vita come in guerra non si può mai abbassare la guardia.
Accompagnano la mostra i testi critici di Giusy Caroppo e Roberto Lacarbonara. L’intero progetto sarà documentato da un film/documentario diretto da Alessandro Piva.
Carmelo Cipriani
mostra visitata il 25 aprile  
Dal 25 aprile al 3 giugno 2018
Bunker, Michele Giangrande
Co Art Gallery  
Via della Pergola 11, 70033 Corato (BA)
Orari: su appuntamento
Info: +39 349.6141159, coartgallery@hotmail.it

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