04 febbraio 2013

La natura politicamente scorretta

 
Sette noti artisti internazionali, ospiti nel frequentatissimo spazio multimediale Le Centquatre di Parigi, mettono in scena una natura che non è né Grande Madre né matrigna, ma spesso imprevedibile. E quindi creativa. Ma l'idillio dura poco perché nell'occhio del ciclone c'è la società moderna. Come alter ego della natura, sua implacabile simulatrice e più spesso sua devastatrice

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Capricciosa, tenace, selvaggia, ribelle, caparbia ecco i tanti modi di tradurre “Par nature”, titolo della mostra sulla forza generatrice della natura con artisti internazionali accolti presso lo spazio 104 fino al 17 marzo. Il 104, o Le Centquatre, è una chicca della municipalità parigina che, da vecchio sito delle pompe funebri, è stato riconvertito nel 2008 in uno spazio di oltre 40mila metri quadri “aperto alla creazione contemporanea in tutta la sua diversità”, come si legge nella presentazione, non a caso frequentato da un pubblico avido di novità e di proposte atipiche.

“Par Nature”, irriverente passeggiata attraverso opere spesso monumentali concepite come metafora della natura, accoglie artisti diversi per formazione e provenienza geografica-culturale (ma tutti molto ben posizionati) come Christophe Beauregard, Céleste Boursier-Mougenot, Gu Dexin, Moataz Nasr, Hema Upadhyay, Zimoun e Joana Vasconcelos. Quest’ultima ormai di casa qui al 104, dopo che il direttore, José-Manuel Gonçalvès, ha deciso di ospitare, l’estate scorsa, la sua criticatissima A Noiva, in seguito all’esclusione di questa installazione dalla mostra che l’artista franco-portoghese ha avuto al castello di Versailles fino a settembre scorso.

Già in mostra a Venezia all’Arsenale nel 2005, A Noiva è composta da ventisettemila assorbenti interni bianchi, tutti rigorosamente sigillati e legati insieme, che ricoprono una struttura in acciaio a forma di lampadario classico alto cinque metri. Prima artista donna ad essere stata accolta nella rinomata residenza reale dopo Jeff Koons e Takashi Murakami, rappresentante del Portogallo alla prossima Biennale di Venezia, con alle spalle una supergalleria come la londinese Haunch of Venison, tra le preferite del collezionista François Pinault, quest’artista alla page presenta al 104 una nuova versione di Jardim do Éden (2012). L’opera fa parte di una serie di giardini iniziata nel 2007, tutti in low-tech, costruiti come labirinti tracciati da fiori artificiali fosforescenti immersi nel nero e in un silenzio che facilmente fanno perdere al visitatore il senso di orientamento. In una sorta di giardino in negativo, Jardim do Éden evoca la natura trasfigurata dalla mano dell’uomo, puntando altresì sull’idea di degradazione ambientale. Un labirinto che ricorda i giardini rinascimentali per le forme geometriche, ma anche per la voglia di meravigliare grazie a dei leggeri giochi di luci colorate in movimento. Ne risulta un paradiso artificiale che per alcuni visitatori si rivela ludico e chimerico, per altri infastidente perché altera in maniera straordinaria la percezione della realtà. La natura è qui rovesciata, decontestualizzata, rappresentata da oggetti artificiosi che, come fossero ready-made, vengono restituiti con altri significati. Anche in questa installazione si salvaguarda l’idea di lavoro artigianale, che resta alla base della maggior parte delle opere di Joana Vasconcelos.

Certo, la natura è tra i soggetti privilegiati dagli artisti di sempre e di ogni parte, basti pensare a Joseph Beuys, sostenitore attraverso l’arte della salvaguardia e della sostenibilità ambientale, vedi il suo progetto 7000 querce, ma anche a Giuseppe Penone con opere come Respirare l’ombra. Ma siamo in un’accezione “politicamente corretta” con slanci metafisici. In questa mostra, invece, la natura è vista diversamente da ognuno dei sette artisti, sia nel modo di percepirla che di proporla al visitatore, e non sempre per rivolgere una critica alla società odierna, come suggerisce Céleste Boursier-Mougenot con From here to ear (v.16) (2012). Questo artista francese, che in primo luogo è musicista, restituendo forma autonoma alla musica, presenta per lo più opere sonore che lui stesso definisce viventi. Qui ha mutato due stanze contigue in voliera, in cui ha istallato chitarre elettriche Gibson in azione, nidi appesi, parco giochi di sabbia, e dove spaziano liberamente dei diamanti mandarino, piccoli uccelli da canto, che generano spontanei pezzi di musica dal vivo semplicemente posandosi sulle corde musicali degli strumenti. Le reazioni divertite dei visitatori non mancano pur nella ripetizione dell’azione, perché a prevalere è lo stupore nel vedere qualcosa di inaspettatamente creativo.

Mentre l’opera September 2nd 2006 (2006) di Gu Dexin, la cui ricerca artistica si concentra su ciò che è commestibile o meno, è un’aspra critica alla società dei consumi che schiaccia ciò che essa stessa produce. L’artista cinese presenta un trattore con rullo posto su un tappeto di nove tonnellate di mele disposte per terra simmetricamente, lungo diversi metri. La mela, noto simbolo di buona salute, è qui lasciata marcire, e come in un work in progress questa decomposizione naturale della materia organica avviene irreparabilmente sotto l’occhio del visitatore. Gu Dexin mette in relazione il concetto di ordine e di organizzazione, a cui tende normalmente l’uomo nei riguardi della natura, a quello di entropia a cui propende la materia che ineluttabilmente tende ad annullarsi.

Interessante il lavoro dell’egiziano Moataz Nasr, arruolato in Italia dalla galleria Continua, presente con I am Free (2012). Un inno alla libertà rappresentato da due enormi ali nere disegnate in alto di una parete bianca, che invitano il visitatore a salirvi e a farsi fotografare al centro di queste. Ma anche le opere dello svizzero Zimoun tra cui Woodworms, wood, microphone, sound system (2009), un’ode alla vita: da un microfono puntato su un pezzo di legno balzano fuori miriadi di piccoli suoni indecifrabili. Infine, l’indiana Hema Upadhyay (della scuderia Saatchi) con This Space in Between You and Me (2011), e le foto del francese Christophe Beauregard con Le Meilleur des mondes? (2012).

Insomma, “Par nature” sembra voler essere un eccentrico ritorno alla natura e a tutto ciò che essa può ancora svelarci per stupirci.

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