05 ottobre 2013

Tutto il mondo in un clic. A Parigi

 
Per due mesi, 400 immagini dal mondo sbarcano a Photoquai, la biennale che in sole quattro edizioni è diventata un appuntamento irrinunciabile della capitale francese. 40 fotografi provenienti da 29 Paesi non europei. Il filo conduttore? Una geografia umana resa in una moltitudine di identità diverse e lontana dai cliché commerciali. E non mancano programmi di residenze e la foto contemporanea colombiana. Fino al 17 novembre

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© Nyaba Leon OUEDRAOGO- © muse_e du quai Branly. Photoquai 2013 Photographe- Nyaba Leon OUEDRAOGO
È sotto il motto “Guardami!” che si apre Photoquai, tra foto inedite e poco conosciute, emozione e curiosità. Immagini che rappresentano “un’eco del mondo”, come ha dichiarato Frank Kalero, direttore artistico, che senza lesinare sulle collaborazioni si è circondato di otto curatori internazionali divisi per altrettante aeree geografiche, dall’Africa passando per l’Oceania fino all’Estremo Oriente. Da oltre sei anni il museo del quai de Branly, conosciuto come luogo di riferimento delle arti e delle civiltà d’Africa, Asia, Oceania e Americhe, fa scoprire le opere di fotografi contemporanei sconosciuti in Europa attraverso questo evento sottotitolato biennale delle immagini del mondo. 
La proposta di Photoquai è considerevole in una capitale cosmopolita in cui il 46 per cento della popolazione visita, almeno una volta all’anno, una mostra fotografica, in perfetta sintonia con una cultura dell’immagine che è in continua crescita e con un mercato anche esso in espansione. 
© Miguel Angel Rojas ©muse_e du quai Branly-foto dell'iniseme di Gautier Deblonde©
Vedere, fare e comprare foto? Una passione a portata di mano che riempie quotidianamente i vari i templi parigini e i saloni consacrati a quest’arte, che dal canto loro non smettono di scovare, far conoscere e riconoscere nuovi talenti. Dal Jeu de Paume, all’attessima Paris Photo che si apre il 14 novembre prossimo al Grand Palais (dopo il successo ottenuto durante la sua prima edizione a Los Angeles), al mitico Mois de la Photo, che fin dal 1980 si svolge ogni due anni a novembre, contribuendo a fare di Parigi una delle grandi capitali della fotografia dove sono coinvolte importanti istituzioni culturali e gallerie e che sollecita l’apertura di nuovi eventi come il Mois de la Photo-Off istituito nel 1994. 
E in questo ciclone d’immagini Photoquai non è sola, segno dell’interesse sistemico verso la fotografia. Tra i partner figurano la MEP, la Maison Européenne de la Photographie, con una mostra di Carlos Fausto, etnologo e fotografo, che espone una serie di foto in bianco e nero sulla popolazione amazzonica dei Kuikuro nel parco nazionale del Xingú, e la Fondation Cartier che presenterà, dal 19 novembre, una mostra sulla fotografia inedita dell’America Latina dal 1963 ad oggi, mentre la galleria Polka sta esponendo il fotografo giapponese Toshio Shibata, e tra le altre anche la fotografa cubana Marta Marìa Pérez Bravo, di scena presso la Maison de l’Amérique Latine. 
© Shinya ARIMOTO- © muse_e du quai Branly.Photoquai 2013 Photographe- Shinya ARIMOTO

Ma ritornando alla biennale il percorso espositivo presenta, tra i diversi ed interessantissimi reportage la serie The Phantoms of Congo River di Nyaba Léon Ouedraogo (1978). L’artista burkinabè, residente 2013 di Photoquai, presenta le numerose storie umane che si sono cucite lungo il fiume Congo, secondo al mondo per portata d’acqua, e depositario di secoli di storia tra riti, gioie e dolori. «Non conoscevo il Congo! Quest’esperienza mi ha fatto riflettere in termini di visione del mondo, qui l’animismo vive ancora lungo le rive. È un mondo ancestrale che aspira alla modernità», dichiara Nyaba Léon Ouedraogo. A seguire la serie The Quest for the Man on the White Donkey di Yaakov Israel (1974), in cui l’artista gerosolimitano esplora le realtà parallele che attraversano il suo Paese. Non interessato alla geografia, Israel si concentra sulla dimensione emotiva ed umana del paesaggio sulla scia di Le città invisibili di Italo Calvino. «È il risultato di un viaggio senza meta durato dieci anni, in cui ho fotografato ciò che mi coinvolgeva, persone, paesaggi ed architetture. Ciò che m’interessa è la connessione tra le persone e l’ambiente, ma il risultato è comunque frutto di una collaborazione spontanea tra me e la persona fotografata», spiega Yaakov Israel
© Yaakov ISRAEL Photographer - © muse_e du quai Branly- Photoquai 2013 Photographe- Yaakov ISRAEL
Forte anche la presenza dell’America Latina, vedi il cileno Andrés Figueroa (1974), che attraverso la serie Bailarines del desierto presenta le danze di festività religiose del deserto di Atacama, un misto di credenze ancestrali e cattolicesimo e di pellegrinaggi come quello di Ayuina. Queste danze sono poco conosciute e il lavoro di Figueroa tende a valorizzarle e a far parlare di esse. Per la sezione Cina ed Estremo Oriente, interessante Twins del cinese Rongguo Gao (1984), che per realizzare questo lavoro ha visitato 511 villaggi in cui ha colto i ritratti di 23 coppie di gemelli di più di 50 anni, ritratti di profilo, l’uno di fronte all’altro, ottenendo così un effetto specularmente intrigante. 
Infine, un viaggio spirituale con la serie Quest for Self del bengalese Mohammad Anisul Hoque, un lavoro incredibile per l’uso della luce naturale, tra chiari di luna e paesaggi, dove immaginario e realtà si confondono e si scopre una natura ancora “indecifrabile”. 
Andre's Figueroa accanto a Bailarines del desierto. locandina della biennale.copyright Andre's Figueroa
Nell’ambito della biennale, fino al 2 febbraio è in calendario anche “Nocturnes de Colombie, Images contemporaines”, a cura di Christine Barthe, con quattro fotografi colombiani: Manuel Echavarría (1947), José Alejandro Restrepo (1959), Miguel Ángel Rojas (1946) e Oscar Muñoz (1951). Tutti loro hanno vissuto, più o meno, le diverse fasi della guerra civile, e sono nati intorno al 1948, anno dell’assassinio del popolarissimo leader liberale Jorge Eliécer Gaitán. L’immagine del leader morto è parte della serie, qui presente, Impresiones debiles di Oscar Muñoz, che lavora sul concetto di perdita della memoria e della percezione del tempo. Per realizzare questo lavoro si è servito di immagini che, tratte da quotidiani, sono strettamente legate alla storia del suo Paese. Per riprodurre le sue foto usa polvere di carbonio, ed interviene nel processo per modificarne densità e nitidezza, infine la decompone in quattro o due foto, creando così più punti di vista e attivando una lettura più critica dell’immagine. Infine, dall’11 novembre il museo presenterà i progetti di cinque fotografi residenti di Photoquai.

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