16 giugno 2017

De rerum post-natura

 
Isole di reperti elettronici e un laboratorio per la lavorazione dello scarto tecnologico. Per trasformare l'età del rame in poesia e denuncia: ecco il mondo di Krištof Kintera

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Per i suoi dieci anni di apertura al pubblico la Collezione Maramotti di Reggio Emilia ha iniziato i festeggiamenti regalandosi un “giardino” molto speciale. È un paesaggio post-naturale, e si trova nella grande sala dedicata alle mostre temporanee al piano terra. L’ha realizzato l’artista cecoslovacco Krištof Kintera e il titolo dell’operazione, non a caso, è “Postnaturalia”. 
Nato a Praga nel 1973, dove vive e lavora, Kintera però non ha lavorato solo alla Collezione, nata negli anni Sessanta dalla passione di Achille Maramotti (e che oggi conta qualcosa come oltre mille opere raccolte, di cui 200 presenti in permanenza e visibili gratuitamente negli spazi di via Fratelli Cervi) ma si è espanso anche nella città. Per esempio con il suo Public Jukebox in piazza Vittoria, dispositivo per l’ascolto pubblico che raccoglie le canzoni popolari di ogni luogo in cui viene ospitato, in una modalità quasi antropologica, come archivio di memoria.
E poi al Museo Spallanzani, dove in un cabinet della sezione naturalistica è arrivata, appunto, la “Post-Natura”, con una installazione site specific. 
Ma è proprio alla Collezione che l’artista trova il suo vero “place to be”, con un intervento fuori scala di fortissimo impatto e composto da resine, componenti elettronici e cavi elettrici di ogni forma, colore e dimensione; un giradischi rotto, laptop smembrati in quantità industriale, schede-madri, plastiche, rame, ottone, tastiere e chi più ne ha più ne metta: tutto a formare un vero e proprio paesaggio di spazzatura tecnologica che, sotto le mani di Kintera, diventano isole “viventi” e poetiche, nella capacità non usuale di riscattare il rifiuto dalla sua forma bruta, e brutta.
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Kintera, nella nostra “Età del Rame”, principia dall’elemento naturale per riappropriarsi di suggestioni che appartengono agli organismi viventi, traslandone la potenza e la perfezione in una ricostruzione d’esistenza anche nelle forme dello scarto.
Ad accogliervi però, ancora in Collezione, vi è una prima schiera di ibridi: sculture che a turno contengono in se elementi animali tassidermizzati in corpi post-tecnologici, e altri pezzi che invece sono interamente realizzate con gli scarti della “comunicazione” che mimano forme zoomorfe e antropomorfe, in dialogo con gli spazi. 
La terza sala invece, che dà sul cortile interno, è a sua volta un piccolo museo temporaneo, anzi, è il vero e proprio laboratorio dell’artista trasportato da Praga a Reggio Emilia: tra materiali di scarto, martelli, pennelli, colle, scaffali, lamiere, tavoli e mensole di legno, sono stati installati – confondendosi con il resto degli accumuli – una serie di piccoli schermi che raccontano i processi di demolizione e rinascita di questi dispositivi che stanno, anno dopo anno, affogando e martoriando diverse zone del mondo, India e Africa Nera in primis: sono i luoghi dove largamente viene scaricata la spazzatura 2.0 e dove le popolazioni più povere scavano, bruciano e tentano di salvare quei metalli che compongono computer e affini, per rivenderli a due soldi. 
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Krištof Kintera, invece, offre un piccolo riscatto a quest’epoca, e a questo immane problema. I suoi rinnovati materiali sintetici hanno in se la possibilità di far germogliare un pensiero differente rispetto allo schermo spento, in relazione a quella Garbageland dove ci troviamo a vivere; Kintera costruisce scenari totalmente artificiali per un habitat quotidiano para-naturale ma non per questo meno affascinante, e denso di domande, politiche e sociali, nonché ambientaliste. 
Ecco così che la natura è paragonata da Kintera a un enorme sistema nervoso: si innesta negli spazi, con un’attitudine rizomatica, con la stratificazione e l’humus – in questo caso tecnologico, di scambio di informazioni, e di problematiche collegate a questa modernità – che contribuiscono a creare uno scenario che è insieme apocalittico e romantico. 
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“Affermare che “Dobbiamo proteggere la natura” mi è sempre sembrato ridicolo. Non puoi proteggere la natura, perché ne sei soltanto una componente infinitesimale. La natura è più forte di tutta l’umanità e la stessa natura è più grande del nostro pianeta. E allora come possiamo proteggere qualcosa così? Dovremmo piuttosto comportarci con maggiore modestia, e già questo basterebbe. Quando ti trovi nel bel mezzo di questa montagna di erudizione scartata, puoi esitare un momento e chiederti se questa sia natura oppure no, ma sono certo che sì, questa è la natura che abbiamo prodotto”, spiega Kintera in conversazione con Marina Dacci, direttrice della Collezione, nel bel catalogo che accompagna il progetto. 
E allora, forse, solo una cosa ci resta da fare: tentare di rimettere insieme i pezzi di questo disastro. E l’arte può esserne una modalità. 
La mostra, realizzata in collaborazione con Richard Wiesner e Rastislav Juhás per la Collezione, dal prossimo mese di settembre sarà in scena al Rudolfinum di Praga.
Matteo Bergamini
Sopra: Kristof Kintera, durante l’allestimento di Postnaturalia, 13-14 marzo 2017. Foto: Sofia Picariello

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