08 novembre 2017

Un nuovo “Miracolo a Milano”

 
Il vecchio “Palazzo dell'Accoglienza” apre le sue porte al contemporaneo, prima di trasferirsi. Con una mostra che resta negli occhi e ci parla dell'arte italiana, e non solo...

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C’era una volta a Milano una grande casa affrescata da Giambattista Tiepolo e Alessandro Magnasco: il Palazzo Archinto di via Olmetto. Quasi completamente distrutto nel 1943 e ricostruito negli anni Sessanta, è sede dell’Azienda Servizi alla Persona (ASP) Golgi Redaelli e dell’Archivio IPAB (l’Istituto Pubblico di Assistenza Benefica), uno dei segni delle attività benefiche che dal XIV secolo fanno parte della civiltà sociale meneghina. 
Per recuperare risorse verrà dato in affitto e tutto è stato spostato in viale Bande Nere dove si trova l’ospedale geriatrico Golgi Redaelli. Sono rimasti solo i ritratti dei benefattori. Come mostrare questo patrimonio pittorico? Come raccontare questa straordinaria storia che qui aveva uno sportello per distribuire ai poveri medicine, cibo, soldi? Le città sono in affanno rispetto alla povertà di oggi.
Così l’associazione “Art City Lab”, fondata da Rossana Ciocca e Gianni Romano, ha scelto questo momento di passaggio per tendere un filo d’Arianna tra quadri antichi e opere contemporanee. E fino al 30 novembre 2017, quando verrà presentato il catalogo della mostra, potremo vedere questo “Palazzo dell’Accoglienza” prima che diventi altro.
Tutto inizia con l’artista Sophie Usunier: insieme a Rossana Ciocca propone al Geriatrico Golgi Redaelli, in occasione del lancio di Milano Attraverso e con il coordinamento di Non Riservatoun progetto che aveva sperimentato in una casa di riposo in Francia. Una serie di post it gialli vengono appesi alle pareti con delle frasi che servono da invito ad altri messaggi. In breve tempo un lungo corridoio si è completamente riempito di migliaia di pensieri, richieste, critiche, brevi racconti di sé. L’accoglienza ha bisogno di spazio e voci, affetto, cultura. Questo progetto che induce la creazione collettiva apre le porte di Palazzo Archinto e accoglie la mostra “Andar per porte”, un titolo che allude a quest’incontro e alla reciprocità di chi dà e chi riceve in beneficienza e nella vita.
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Sophie Usunier, “Ospedale Geriatrico Golgi Redaelli”, 2017

Avviene un nuovo Miracolo a Milano: gli artisti e le artiste sono in prevalenza italiani, cosa non usuale negli spazi pubblici e privati non solo di Milano, ma d’Italia. 
Si respira un’affettività che toglie alla selezione il contrappeso dell’esclusione. Come in un labirinto si scovano le opere contemporanee tra i quadri antichi e i vuoti sulle pareti, alcune sono in dialogo diretto, alcune si accomodano, altre sono indipendenti.
Tante voci per partecipare alla trasformazione dell’edificio. Le stanze sono 53 e le opere oltre cento, bisogna scoprirle curiosando tra una parete e l’altra, parlare con gli artisti, leggere le didascalie. Ci vuole tempo, è un bene.
Le opere sono in vendita, saranno fatturate all’artista o alla galleria e una percentuale, valutata di volta in volta, viene lasciata all’associazione “Art City Lab”. Il fund raising si prefigge di mettere a punto un sistema mobile per intervenire in quegli spazi della città che possono trovare nella collaborazione con l’arte la possibilità di riprendere temporaneamente vita. Penso a Palazzo Dugnani, ma ce ne sono molti altri. È questa la funzione di associazioni culturali in dialogo con gli spazi pubblici.
Restano negli occhi le opere che ognuno avrebbe portato lì. Le artiste sono tantissime: è la realtà di questi anni. Oltre a Sophie Usunier con la sua montagnola di 100 giorni circa (2017) di Corriere della Sera, dal 2012 al 2014, ridotto in coriandoli, avverte del momento in cui “i quotidiani non hanno più lo scopo di informare, ma diventano materia da trasformare”. Margherita Morgantin: un flash indimenticabile. In un piccolo light box di color rosso variegato, come in un tramonto, campeggia la scritta SIAMO SOLE (2017), il gioco di parole è intimo e propositivo allo stesso tempo. Come nel testo composto, colorando leggermente alcune lettere di una vecchia tastiera di computer dimenticata negli uffici, sillabandole, leggiamo: i limiti dell’infinito sono le parole per descriverlo. 
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Fausto Gilberti, Lost control, 2012
E poi Bruna Esposito che protegge con una scopa-rastrello una circonferenza di specchio rotta e ri-assemblata: una dedica a questo spazio, ma anche alla vita quotidiana di tutti (Scopa, 2014). Eva Marisaldi impavesa un soffitto con una fila di nove bandierine disegnate e colorate (Settembre 2017), un segnale di posizione e di augurio. Paola Mattioli, ricompone una Mezzaluna (2001) con 5 foto di questo strumento, simbolo di un taglio necessario per un buon aroma. Allegra Martin, Che del suo pingue patrimonio fece erede il povero, 2017, una delle foto che ha realizzato dentro il palazzo in cui una coppa di cristallo ha come sfondo un particolare di un quadro. La preziosità domestica, la coppa poggia su un centrino di pizzo, si appropria dell’aulicità della pittura. 
Ma sono tantissime le artiste, di tante età, da Irina Jonesco, Tomaso Binga a Alice Guareschi, Claudia Losi, Monica Carocci, Pipilotti Rist, Deborah Hirsch, Agne Raceviciute.
Fausto Gilberti con Lost control, 2012, ci fa percepire il travolgimento di una decisione difficile da prendere, una quantità di disegni su china accartocciati sono gettati sul pavimento. Mentre Vittorio Corsini con segatura e inchiostro scrive sul pavimento Perché siamo qui? (2017), rischia di essere calpestata come succede alle domande a cui nessun’altro può rispondere al di fuori di se stessi.
C’è il graffio di Maurizio Cattelan: accanto al quadro di un condottiero armato davanti a un fuoco dipinto da Attila Szucs (Fire 2016), campeggia un suo neon rosso; Fotti. Un abbinamento ustionante. E poi Gabriele di Matteo, VedovaMazzei, Igor Eskinja, Luca Pozzi, Gianluca Codeghini, Diango Hernandez fino a Ylbert Durishti con un ghirigoro sottile di luce blu dentro un bagno buio. Mentre Domenico Antonio Mancini, ci riporta a una contraddizione grande come il mare: Avviso ai naviganti, opera in progress dal 2013. Su vari fogli traccia una mappa del Mediterraneo in cui con una miriade di punti sono segnate le profondità, in un tratto i punti diventano fitti e rossi: segnano l’abisso dei naufragi. La superficie, a prima vista pacifica, mostra la sua contraddizione. 
Francesca Pasini
A Palazzo Archinto, tra i vari ritratti, troverete l’opera di Umberto Lilloni Ritratto di Sofia Gervasini, danneggiata. A proposito di crowdfunding, se volete contribuire al restauro l’Art bonus vi consente un credito di imposta, pari al 65 per cento dell’importo donato…

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