21 dicembre 2017

Un colore che “ti porta dentro” le cose

 
Incontro con l'artista Luisa Rabbia alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia, in occasione della mostra “Love”: quasi dieci anni di ricerca, in dieci grandi opere

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“Love, Death and Birth”. Amore, Morte e Nascita secondo Luisa Rabbia. L’artista torinese ha da poco inaugurato un’importante personale alla Collezione Maramotti di Reggio Emilia in cui si ripercorrono gli ultimi dieci anni della sua carriera, trascorsa tra l’Italia e New York. Negli spazi che furono dell’ex quartier generale di Max Mara, Rabbia con la sua pittura ci proietta in una dimensione altra, trascendente ed eterea, che va oltre la natura fortemente connotata del luogo espositivo che la ospita. È senza dubbio questo un momento importante nella carriera di Rabbia, un  momento di bilancio degli ultimi dieci anni di attività e il banco di prova per le sue nuove ricerche. «In questa mostra – che ha come titolo “Love” in riferimento al primo di una trilogia di lavori dal titolo Love, Death and Birth – racconto di una mia evoluzione personale, ma anche tecnica e creativa» ribadisce Rabbia. «Dopo il mio trasferimento a New York i riferimenti della mia ricerca si sono estesi. Oltre il mio interesse per la fotografia e la scultura, ho iniziato a sperimentare la pittura e il disegno. In Love racconto del passaggio che dalla prima opera su carta (From the Within Out, 2009 e collezionato dalla famiglia Maramotti nel 2011) mi ha condotto alla tela – a partire dal 2012 – e che oggi mi porta a un primo esperimento verso la pittura murale (Another Country, 2017). 
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Luisa Rabbia Love Veduta di mostra alla Collezione Maramotti, 2017 / Exhibition view at Collezione Maramotti, 2017 Ph. Dario Lasagni

In questo tuo approccio alla pittura e al segno si coglie un gioco ambiguo di una rappresentazione che si presta a molte interpretazioni, in bilico tra astrazione e riferimenti formali più manifesti. Quanto di questa enigmaticità ti appartiene?
«Nelle mie opere descrivo spesso paesaggi nati come visioni interiori che poi, seguendo altre prospettive, diventano territori fisici e reali. C’è in loro sempre questa continua connessione tra il dentro e il fuori, tra la proiezione intima e il sentimento collettivo. Mi ritrovo a tracciare segni che diventano lunghe radici per collegare i due mondi. Al centro della mia ricerca c’è sempre il corpo umano; e partendo da esso cerco di aprirlo e di sviscerarlo, creando e riflettendo sul rapporto di empatia e sul collegamento che anche nelle differenze è presente in ognuno di noi». 
In questa ricerca di corporeità, rientra anche la scelta di utilizzare l’impronta digitale come strumento di lavoro accanto ai pennelli?
«Essa è per me uno strumento creativo che diventa anche una presenza iconica all’interno dell’opera. La mia impronta digitale sintetizza e rappresenta la cellula, l’Io, ma nella sua ripetizione diviene anche folla, il Noi. È un elemento di raccordo, che connette i due punti di vista, del particolare e dell’universale. Ma l’impronta da origine a una collettività indefinita,  perché in essa non si leggono elementi che connotano la razza o il colore delle pelle dell’individuo. Si va oltre. E in questo senso compio un viaggio che è un percorso verso l’altro, dal mio territorio intimo e umano, dal mio corpo al paesaggio geografico e condiviso senza pregiudizi e barriere mentali precostituite. E di questo pensiero si nutre il riferimento al testo di James Baldwin, Another Country, che da il titolo al dipinto murale qui in mostra». 
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Luisa Rabbia Love 2016 matite colorate, acrilico, impronte digitali su tela / colored pencils, acrylic, fingerprint on canvas 274 x 513 cm © Luisa Rabbia Ph. Dario Lasagni

Nella scelta del grande formato la pittura di Rabbia si amplifica, ci accoglie e ci avvolge in quel suo caratteristico blu, in un percorso di visita modulato come un viaggio verso un mondo a sé, attraversando i territori di confine tra l’Io e il Noi, l’interno ed esterno, dimenticando per un attimo la realtà che ci circonda. Difficile contenere l’emozione di questo incontro. Rabbia si mostra perfetta narratrice capace di modulare il nostro stato d’animo con sapienti tocchi di colore. Il suo è un blu che si carica di sfumature intense per descriverci l’amore come impulso che va oltre la passione dei sensi. È un blu che si raffredda per raccontarci il freddo intenso della morte. Ma è anche il blu sanguigno delle pareti uterine che ci accolgono e ci annunciano la nostra imminente rinascita. Una sensazione di risveglio, fisico ed emotivo, a cui l’artista sembra condurci. 
Mario Diacono nel testo del catalogo che accompagna la mostra si sofferma sull’emblematicità della componente cromatica del tuo lavoro. Lui mette in relazione il modo in cui utilizzi il colore alla ricerca di Yves Klein e alla pittura di Edvard Munch. Oltre questi riferimenti, qual è l’importanza del cromatismo nel tuo lavoro?
«Il blu è un colore fondamentale per me perché abbraccia più punti del mio pensiero. Penso a esso come a un colore-non colore, qualcosa che non connota, non differenzia, esattamente come da un punto di vista formale intendo le impronte digitali come segni primordiali che non si soffermano su concetti legati alla razza ma ci parlano della nostra umanità più profonda. Il blu è il colore di una pelle universale a cui mi ispiro quando nel mio lavoro mi concentro sugli aspetti legati all’identità umana. È il colore della crosta terreste nei lavori in cui mi confronto con il paesaggio. Ma esso è il colore del silenzio e della riflessione. Esso rende evidente la componente interiore dei paesaggi che dipingo, non solo la nervatura della loro superficie. Letteralmente, il blu è il colore che “ti porta dentro” le cose».  
Leonardo Regano

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