04 marzo 2017

Fino al 18.III.2017 David Rickard, We are all Astronauts Otto Zoo Gallery, Milano

 

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“We Are All Astronauts”, un’affermazione oggi comprensibile ma sorprendente nel 1969 quando Buckminster Fuller la scrisse nel suo Operating Manual for Spaceship Earth. Siamo andati sulla Luna e lo spazio è sempre più abitato. Non c’è più nulla da aggiungere? No, c’è molto da aggiungere perché il cambiamento previsto da Fuller partecipi all’invenzione dell’immaginario quotidiano. David Rickard lo dimostra. 
Rickard alla galleria Otto Zoo di Milano, mette in pratica la possibilità di rappresentare fisicamente i quattro angoli del mondo: un modo di dire, che normalmente usiamo per viaggi impossibili, distanze non colmabili. 
Ha individuato in Mozambico, Centro Brasile, Australia dell’Ovest e Polinesia Francese i punti dove, in base a coordinate poste alla stessa latitudine e separate esattamente da 90 gradi di longitudine, posizionare un angolo retto, realizzato con del legno trovato sul posto. Ha poi chiesto a persone del luogo di scattare una foto esattamente lì. E quelle quattro foto abbinate danno la visione esatta dei quattro angoli del mondo. (We Are All Astronauts).
Una sorprendente visione sincronica, dove gli angoli si assomigliano molto. Da un lato si dilegua l’idea di una diversità non raggiungibile; dall’altro viene meno l’eroismo di un viaggio da compiere ai quattro angoli del mondo. Con i sistemi di orientamento telematico attuali si possono individuare luoghi grandissimi o piccolissimi e chi scatta la foto restituisce una relazione “reale”. Ogni opera d’arte ci fa percepire questo, praticarlo con le attuali conoscenze tecniche è un modo per offrire un biglietto di viaggio attorno al mondo. 
David Rickard, We are all Astronauts, installation view, Otto Zoo gallery. Ph. Luca Vianello.
Scrive Carlo Rovelli “lo spazio non è una scatola inerte, bensì qualcosa di dinamico: una specie di immenso mollusco in cui siamo immersi”. Nella teoria della gravità quantistica a loop, gli atomi di spazio “non sono isolati, ma ognuno è inanellato con altri simili formando una rete di relazioni che tesse la trama dello spazio”. “Ancora una volta, prosegue Rovelli, il mondo sembra essere relazione, prima che oggetti” (Sette brevi lezioni di fisica,  p. 50-51, Adelphi, 2014). Non so se Rickard conosce Rovelli, ma il suo modo di procedere mi ha spinto a rileggere alcune sue affermazioni. Io non ho conoscenze scientifiche, applico alle parole di Rovelli una relazione “soggetto-soggetto”, analoga a quella di quando leggo un’opera d’arte. “La fisica apre la finestra per guardare lontano. Quello che vediamo non fa che stupirci. (…) Il mondo continua a cambiare sotto i nostri occhi, man mano che lo vediamo meglio. (…) Se proviamo a mettere insieme quanto abbiamo imparato sul mondo fisico nel Novecento, gli indizi puntano a qualcosa di profondamente diverso dalle nostre idee istintive su materia, spazio, tempo. La gravità quantistica a loop è un tentativo di decifrare questi indizi e guardare un po’ più lontano.” (op. cit. p. 56). 
Da queste affermazioni mi domando: l’arte capta questi indizi? Sì. Non tanto perché rappresenta i cambiamenti, ma perché innesca relazioni. “Il mondo, dice Rovelli, sembra essere relazione prima che oggetti”, nel momento in cui riconosciamo in un’opera d’arte un soggetto, e non un oggetto, entriamo in una relazione soggetto-soggetto che ci porta a guardare un po’ più lontano. Nel tempo, perché recuperiamo un passato o una lontananza rispetto a dove siamo; nello spazio perché le nostre idee istintive di rappresentazione del reale, della natura, del colore, sono messe alla prova da visioni sempre diverse. A volte si inanellano con altre, precedenti o contemporanee, a volte appare un salto, che è ritenuto la qualità del genio creatore, non imitabile.
E sicuramente vero, ma se siamo tutti astronauti, parafrasando Rovelli, possiamo immaginare l’arte come una rete di relazioni che tesse la trama dello spazio soggetto-soggetto. Dove valgono gli indizi di diversità che chi crea offre a chi guarda.
L’immagine dei quattro angoli del mondo di Rickard è “colloquiale”, ognuno può immaginare di averla vista nei suoi spostamenti, e quell’angolo retto di legno entra spontaneamente in dialogo con foto dei paesaggi contemporanei, che spesso mettono in primo piano la porzione anonima della terra su cui quotidianamente camminiamo. Insomma la natura che entra oggi in molte visioni dell’arte non predilige l’aulicità. 
Esattamente come Rickard che sceglie di seguire coordinate scientifiche, senza badare all’estetica del luogo. Rende colloquiale l’esperienza di vedere con gli occhi della scienza e con l’invenzione di un’artista i quattro angoli del mondo appesi sulla parete di una galleria. Dove altre immagini del mondo (Black Fan, Vertical Horizon, Star Gazer, London Chair) compongono la visione di Rickard offrendo un testo visivo, che propone una relazione soggetto-soggetto con la scienza.
Francesca Pasini
mostra visitata il 28 febbraio 
Dal 2 febbraio al 18 marzo 2017
David Rickard, We are all Astronauts
Otto Zoo Gallery
Via Vigevano, 8, Milano
Orari: da mercoledì a sabato dalle 14:00 alle 19:00
Info: info@ottozoo.com

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