29 marzo 2019

READING ROOM

 
Margherita Sarfatti in un nuovo libro. Un omaggio alla prima critica internazionale oltre l’onta causata dall’umana passione
di Jacqueline Ceresoli

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Massimo Mattioli, giornalista, critico e curatore, ha fatto chiarezza sul valore intellettuale, professionale, umano di Margherita Grassini Sarfatti (1880-1961): la prima critica d’arte e curatrice indipendente italiana, raffinata teorica di cultura internazionale che ha segnato la storia del Novecento. 
Ci voleva il suo libro intitolato non a caso “Margherita Sarfatti, Più”, per spazzare via i luoghi comuni della sua vita privata, chiarire il suo ruolo il suo attivo nel secolo scorso, volutamente dimenticata da colleghi illustri o sbrigativamente bollata, come “l’amante di Mussolini”. Mattioli elenca nomi e cognomi di chi non l’ha mai citata nei manuali di storia dell’arte, mette con le spalle al muro tutti quelli che per decenni hanno rimosso dalla storiografia critica il suo impegno intellettuale, per ridefinire la sua già solida identità di intellettuale, quando Margherita Sarfatti, a 32 anni, incontra per la prima volta il Duce. Questa donna dai capelli rossi, ebrea veneziana, di famiglia benestante, emancipata, colta, dall’anima riformista come il marito avvocato Cesare Sarfatti, poliglotta, eclettica, madre di tre figli, ha scontato la colpa di amare l’uomo sbagliato al momento sbagliato. La giornalista conosce quattro lingue, traduce poesie, scrive libri, sostiene le cause femministe e suffragiste, tiene conferenze prima di conoscere Mussolini, ed è molto ben introdotta nei salotti culturali del primo Novecento. 
A Milano nel suo appartamento di Corso Venezia (non lontano dalla casa di Filippo Tommaso Marinetti, il vate del Futurismo), ogni mercoledì sera passavano diversi personaggi dell’epoca, da Gabriele D’Annunzio, a Umberto Boccioni, divenuto suo amante, e tra gli altri Ada Negri, sua grande amica, Aldo Palazzeschi, Alfredo Panzini, Anna Kuliscioff, sua rivale, Filippo Turati, Giuseppe Prezzolini e molti artisti. Quando Benito subisce il fascino della matura signora colta e mondana al tempo stesso, nel 1912, ha tre anni in meno di lei, è un giovanotto goffo e sciatto, animato da ideali socialisti, nato in un paesino romagnolo da un fabbro e una maestra, che ha lasciato a Forlì una ragazza del popolo, Rachele, con una figlia illegittima, che sposerà negli anni ’20. 
Sarà Margherita Sarfatti a introdurre nei salotti giusti Mussolini l’esordiente, ambizioso, affamato di consenso di intellettuali riformisti, a cui scriverà: “Ti amo, mio amore. Se m’avvicino al telefono solo al pensiero di udire la tua voce avvampo”, in una delle sue tante lettere appassionate. Ma come sappiamo dalla letteratura, le scelte di eroine passionali si scontano vivendo. 
Il libro di Mattioli si legge d’un fiato per uno stile narrativo asciutto, senza sbrodolature retoriche, che riabilita l’indiscutibile ruolo di intellettuale della critica d’arte più ostracizzata d’Italia anche dagli ebrei, evidenziando la scorrettezza dei suoi colleghi uomini, con la dannatio memorie : una condanna ingiustificabile, perché a prescindere alla sua vita privata, come hanno dimostrato le ultime mostre a lei dedicate al Museo del Novecento a Milano e al Mart di Rovereto, ha identificato codici e dinamiche dell’arte italiana durante il Ventennio, uno stile che poi ha esportato all’estero. 
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Margherita Grassini Sarfatti
Nel 1918, il primogenito Roberto Sarfatti muore in guerra, un dramma che stravolge la vita di sua madre e della famiglia, nel 1924 anche il marito Cesare muore improvvisamente. Lei intanto continua a lavorare, nel 1921 fonda con Mussolini la rivista di teorica politica “Gerarchia”, della quale diventerà direttrice nel 1924. 
Sono anni cruciali della nostra storia, e la vedono protagonista a fianco del suo amante dalla fondazione del Partito Fascista alla Marcia su Roma del 1922, fino al tragico delitto Matteotti, questione spinosa che peraltro Margherita Sarfatti gestisce sul piano della comunicazione. 
Attività politica a parte e successo internazionale della sua opera letteraria più nota, la biografia di Mussolini Dux, pubblicata nel 1925 in Inghilterra e l’anno successivo in Italia, tradotta in diciotto lingue, compreso turco e giapponese, l’attività principale di Margherita Sarfatti è di teorica, critica d’arte e curatrice del gruppo artistico Novecento, presentato alla Galleria Pesaro di Milano, che debutta ufficialmente nel 1926 con la mostra alla Permanente di Milano. La sua fama varca i confini nazionali, Sarfatti sarà invitata come vicepresidente all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative di Parigi, per questo ruolo le verrà conferita la Legion d’Onore da parte del governo d’Oltralpe. In Italia il movimento Novecento Italiano non brilla, ma all’estero ottiene un grande successo, con le mostre organizzate a Parigi nel 1926, a Zurigo nel 1927, ad Amsterdam nel 1928, a Nizza, Budapest, Basilea e Berlino nel 1929, a Buenos Aires nel 1930. 
Mattioli, tra le righe sembra chiederci: “Quale altra donna ha avuto questa energia e capacità strategica imprenditoriale di imporre uno stile italiano indipendente dall’arte fascista in senso stretto?”. 
Margherita Sarfatti dopo la fine della sua relazione con il Duce nel 1932, viene allontanata dalla redazione del “Popolo D’Italia” e passa a “La Stampa” di Torino, chiude con “Gerarchia”, parte l’anno dopo in Brasile e collabora con il “New York Herald Tribune”. 
In seguito viaggerà negli Stati Uniti per molti mesi. Da questa esperienza nasce il suo libro L’America, ricerca della felicità (1937), e Margherita Sarfatti viene accolta ufficialmente alla Casa Bianca dal presidente Roosvelt e dalla moglie Eleonor. Nel 1938 vengono promulgate le leggi razziali, Sarfatti non ha altra scelta che l’esilio volontario, prima in Svizzera, poi a Parigi dove tiene conferenze e frequenta intellettuali e artisti, e nel 1939 raggiunge il secondogenito Amedeo in Uruguay. In Italia sono bandite le sue pubblicazioni, il suo nome è un tabù, ma lei è altrove e continua a scrivere e collaborare con giornali uruguayani e argentini. Nel 1945 scrive una serie di articoli intitolati Mussuolini como lo conoci, pubblicati su “Critica”, poi raccolti in uno scritto autobiografico redatto in inglese con il titolo My fault, inedito in Italia. Nel 1955, la critica d’arte pubblica Acqua passata, e ritiratasi nella sua villa di Cavasella, non lontano da Como, muore dimenticata da tutti gli ex amici nella notte tra il 29 e il 30 ottobre 1961. 
Abbiamo perdonato nel 1936 a Giulio Carlo Argan di essersi regolarmente iscritto al Partito Fascista, come molti altri intellettuali del tempo, ma non vogliamo ammettere la debolezza umana, la passione bruciante di una donna libera per un uomo ambizioso e accecato dal potere. 
Grazie al libro di Massimo Mattioli, quanto meno ci poniamo domande che vanno ben oltre il personaggio Sarfatti, perché scavano tarli nella nostra coscienza. 
Jacqueline Ceresoli
Massimo Mattioli 
Margherita Sarfatti Più
Manfredi Edizioni, 2019

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