24 gennaio 2013

Bologna: un passo indietro e due avanti?

 
Artefiera apre oggi pomeriggio le sue porte. Ai padiglioni 25 e 26 di piazza della Costituzione si schierano 135 gallerie, in massima percentuale italiane. La “vecchia Signora” delle fiere cerca una nuova pelle, per connotarsi alla pari della sua sorella torinese, con “argomenti” diversi. Ma un dubbio serpeggia: i venti sono favorevoli o si prospetta bufera, come in tutto il Paese?

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Vogliamo iniziare così, in maniera un po’ acidina, questa anteprima della fiera bolognese. Necessaria, però, qualche premessa: la manifestazione più “antica” d’Italia nel campo dell’arte moderna e contemporanea ha all’attivo 37 anni di storia, e nelle ultime nove edizioni è stata guidata da Silvia Evangelisti, che l’ha portata ad essere la “Grande Madre” che tutti conosciamo e di cui si è detto di tutto e di più. Eppure a volte queste dimensioni non sono state congeniali: troppo vasta l’offerta, quindi una selezione minore della qualità dei partecipanti, e quando si è deciso di tagliare un po’ – vedi la precedente edizione – complice la crisi e qualche defezione, si è quasi gridato allo scandalo, con l’ex direttrice tacciata di non avere particolare appeal nel richiamare l’attenzione su una rassegna oscurata dalle belle edizioni di Artissima targate Francesco Manacorda o dalle nuove prospettive europee che i galleristi italiani si ritagliando sempre di più, vedi Art Brussels, dove ad aprile saranno in mostra sedici nostri connazionali, e che connazionali: tutto il “best of” del Made in Italy, come vi abbiamo raccontato qualche giorno fa in una speednews dedicata all’argomento.

Che cosa si prospetta dunque per questa nuova edizione della fiera a cui si è cambiata la testa, ufficializzando la direzione del duo Giorgio Verzotti (per la sezione del contemporaneo) e Claudio Spadoni (per il moderno) nello scorso giugno? Si è deciso di puntare tutto sull’italianità, e di fare una kermesse dove le presenze estere sono ridotte al lumicino, e per una volta tanto bisogna elencare loro come mosche bianche nel tessuto della rassegna: Hollenbach di Stuttgart, Martin di Londra, Dorothea Van Der Koelen di Mainz, Kro Art Contemporary di Vienna, Diana Lowestein da Miami, la svizzera Photographica Fine Art, The Pool da New York, Robert Dress da Hannover, Voss e Beck & Eggeling da Düsseldorf, Zahorian di Bratislava e il più italiano che tedesco Mario Mazzoli, da Berlino. Se l’intenzione è quella di rilanciare il mercato nazionale attraverso l’ABC delle gallerie presenti sul territorio, con quasi 130 nomi della penisola, l’idea è buona, peccato però che tra i partecipanti vi siano alcune gravi diserzioni: dove sono i vari Artiaco, Massimo Minini o De Carlo, solo per citare i tre grandi “boss” del mercato della penisola? Tra le signore dell’arte a Bologna figura Lia Rumma e manca sempre all’appello Raffaella Cortese. Poi, nell’elenco, ogni tanto si incontrano nomi che non hanno un riscontro così forte sul mercato contemporaneo, ma ci sono comunque ottime e giovani gallerie romane, da Giacomo Guidi a Marie-Laure Fleisch. E ci sono il bolognese Astuni che gioca in casa, e Jerome Zodo e Prometeo da Milano, solo per dirne alcuni. Se le premesse quindi potrebbero essere buone, resta un’incognita: come reagirà il collezionismo? Bologna certo non subisce quello che negli anni ha patito “Roma Contemporary”, schiacciata tra Basilea e l’edizione newyorkese di Frieze, che quest’anno promette già un bagno di sangue verso le manifestazioni concorrenti, con un parterre di 180 stand selezionati tra la serie A di tutto il mondo.

Ma quanto investe la fiera emiliana, per esempio, nell’ospitalità dei collezionisti? Chi cerca affari verrà in Italia, il Belpaese dalle tasse altissime? E gli italiani compreranno sotto il loro cielo natale? Questo 2013, anche a causa dell’incertezza politica a cui il Paese sembra aver imparato a fare il callo, sembra non partire con le aspettative migliori, e rivolgere lo sguardo esclusivamente alla nostra penisola non è forse l’idea migliore per togliersi dal pantano. Non si tratta di esterofilia in questo caso, quanto di un allargamento degli orizzonti, visto che in Italia ogni giorno sembrano restringersi. Ma tant’è, che vale provare l’esperimento, mal che vada si sarà fotografato, nel bene e nel male, la situazione attuale.
E poi, indubbiamente, una nuova direzione deve in qualche modo distanziarsi dai modelli precedenti (si cambia anche per questo, no?) e così i nostri Verzotti e Spadoni hanno perseguito un obiettivo quantomeno caratterizzante: visto che le due fiere delle maggiori città, Roma e Milano, continuano nonostante tutto a non decollare, ecco che le due città più piccole, Torino e Bologna appunto, hanno cercato negli anni un modello forse più ristretto, ma di un certo successo: Torino consacrata sotto la direzione Cosulich Canarutto e Bologna ora in cerca di una “nicchia di resistenza” che la elevi a fiera italiana. Che andrebbe benissimo, certo, ma davvero in questo momento vi sono le condizioni?
Quello che è sotto gli occhi di tutti, ad ogni modo, è che dal capoluogo del Piemonte Bologna in questi giorni sembra aver preso un po’ tutto, come una signora un po’ anziana, in crisi d’identità, che cerca di replicare il modello più giovane su se stessa.
Ci si prova con SetUp e la sua mise en scene in uno dei luoghi più desolati della città, la stazione delle autolinee, anche qui con un parterre tutto italiano (e le motivazioni, in questo caso, sono evidentemente riconducibili al low budget di una prima edizione, come ci ha spiegato nel nostro primo piano-intervista Alice Zannoni), e ci si prova con quella che sembrerebbe un “Artefiera Lido” – il verso ovviamente è proprio alla sezione “Lido” di Artissima – che metterà sotto il cappello istituzionale della fiera e del MAMbo una serie di luoghi della cultura della città, per far fronte a quel marasma del circuito OFF che negli anni scorsi aveva dislocato decine e decine di eventi in ogni angolo del capoluogo, compreso in quelle giovani gallerie che sono state inserite proprio in SetUp. Creando una rete.
Quello che si sta operando, quindi, sembra la ricostruzione di un ottimo “canone” su un altro tessuto, una sorta di trapianto con la speranza che non vi sia rigetto, ma che le strategie di coordinamento possano funzionare.
Forse non si farà record di incassi, forse nemmeno di presenze. O forse tutto sembrerà così nuovo che la dotta Bologna, dall’aria un po’ afasica, tornerà a respirare. Questo è quello che ci auguriamo. Per il bene di una città, delle sue due fiere, della cultura. E di un Paese ormai spaccato in tre.

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