06 luglio 2014

Artista, quindi cittadino di questo pianeta

 
In Puglia, a Martina Franca, sette artisti danno la loro versione del problema ecologico. E, non essendo scienziati, i progetti proposti sono eccentrici o partecipativi. Fatti di materia o al computer. Sonori o installativi. Ma in tutti si coglie l’urgenza di come contribuire a preservare il nostro ecosistema già molto compromesso. Perché a volte un gesto simbolico può molto

di

Gianfranco Baruchello, Un metro cubo di terra - EARTH EXCHANGE, 2014, Foto di Annamaria La Mastra

Ci troviamo a Martina Franca in provincia di Taranto in uno degli spazi più coerenti ed interessanti per l’arte contemporanea in Puglia, la Fondazione Studio Carrieri Noesi. La sua fondatrice, Lidia Carrieri, inizialmente gallerista e collezionista, oggi promotrice di eventi, cura insieme ad Anna D’Elia, il progetto espositivo “Arte e Ecosostenibilità” visitabile fino al 3 Agosto. Lidia Carrieri ha sempre avuto una particolare vicinanza alle tematiche della mostra, essendo in prima persona attiva nella difesa e salvaguardia degli animali, della natura, dell’ecosistema e, dalla prima ora, favorevole alle coltivazioni biologiche e all’ecosostenibile. Ha fatto della passione per l’arte e per la natura, una ragione etica-esistenziale oltre che lavorativa.
“Arte e Ecosostenibilità”, promossa dall’Assessorato alla Cultura della Regione Puglia, è accompagnata da un ampio catalogo con un testo di Anna D’Elia, che, oltre ad essere la co-curatrice del progetto espositivo, è un’attenta studiosa dell’opera di Pino Pascali, di cui la collezione Carrieri possedeva La trappola, ora alla Tate Modern di Londra. 
Nell’ambito della mostra balza alla nostra attenzione un pioniere delle pratiche artistiche multimediali, Gianfranco Baruchello. Dopo una lunga gestazione progettuale, Baruchello ha deciso di realizzare un’opera prima, un’opera fondatrice (come indicato da D’Elia) di un processo di scambio di terre tra diverse realtà culturali ed artistiche affini e accomunabili alla sua Fondazione in Roma.
Il lavoro di Gianfranco Baruchello presentato dalla Fondazione Noesi si intitola: Un metro cubo di terra – EARTH EXCHANGE. Consiste nello scambio di due metri cubi di terra “pura”, di cui uno proveniente da Santa Cornelia, sede della Fondazione Baruchello, e l’altro dalla campagna di Martina Franca. Qui la terra è intesa come depositaria di valori ancestrali. Per questo lavoro inedito e per il video Lelieu, la terra serba in sé il patrimonio biologico del vivente.
Emilio Fantin, Flusso vitale, 2014

Nel 1973, dopo aver acquistato un terreno a Roma Cassia, al centro del Parco di Veio, Baruchello ha fondato ‘L’Agricola Cornelia S.P.A.’. Durante i sette anni di vita di questa azienda, l’artista ha sottratto sempre più terra destinata all’edilizia per creare un’agricoltura ecosostenibile, basata sull’apertura e l’interscambio culturale, dettata da norme artistiche e non economiche. Lui stesso ha scritto:  «Era il tentativo di ripensare l’arte partendo da ciò che non lo è, di cambiare il punto di vista, di mettere in discussione l’opera d’arte quale organismo chiuso e definito, all’interno di parametri che ne stabiliscono l’esclusività rispetto ad un’epoca o al passato». In mostra a Martina Franca, le foto di Cosmo Laera documentano l’avvenuto scambio di due casse contenenti due metri cubi di terra. 
Molto vicino a questo concetto è la pratica di Emilio Fantin, autore di un progetto articolato che nasce da una collaborazione tra la Fondazione Noesi e l’Accademia di Belle Arti di Bari (con il coordinamento di Antonella Marino e Maria Vinella): una sorta di laboratorio sulla natura e l’agricoltura biodinamica, associata all’interpretazione artistica dei processi vitali delle piante (in questo caso la nascita e la crescita di un albero in una terra incontaminata), basato sui mezzi espressivi del disegno e della pittura. In mostra sono presentate le tavole di studio che Fantin ha realizzato nella parte teorica del workshop. In esse sono rappresentate e spiegate le fondamenta dell’agricoltura biodinamica (secondo la teoria del filosofo Rudolf Steiner) rapportate alle fondamenta della teoria del colore e del disegno nell’arte (secondo la Teoria della Forma e della Figurazione di Paul Klee). Queste tavole creano un nuovo punto di vista sempre meno legato a strutture razionali e realiste, anzi più vicino al linguaggio empirico dell’immaginazione e della visione spirituale nell’arte, nonché nella natura. Fantin racconta che la parte finale del workshop, successiva alla prima parte teorica, consisteva proprio nel portare fisicamente il gruppo di studenti dell’Accademia nel mezzo di un parco, di fronte ad un grande albero, per “sottoporli” ad un rito meditativo che permetteva loro di estraniarsi ad occhi chiusi dalla visione canonica della natura, e riportare su di un foglio l’icona dell’albero di fronte, con l’aiuto della loro immaginazione. Gli studenti hanno così disegnato “dal vero” la propria percezione intima e sensoriale di un albero.
Maria Grazia Pontorno, Il Giardino degli Ulivi, 2014, Foto di Annamaria La Mastra

Ed è ancora l’albero, già nell’opera di Fantin e la terra, apparsa in Baruchello, a cavalcare la scena della mostra questa volta con l’opera di Maria Grazia Pontorno (1978). Si tratta di una completa illusione e finzione data appunto dalla totale riproduzione della scena in 3D. L’albero così reale, maestoso e vivo nei colori, non è altro che frutto di un lavoro multimediale ricostruito interamente al computer. Una denuncia iperrealista che ritrae un albero nel momento della sua estirpazione dal suolo con le radici ancora per un attimo ancorate alla terra, ma pronto a prendere il volo e ritrovarsi completamente denaturizzato in chissà quali poco opportuni e costruiti contesti. La realizzazione è del tutto falsata, è un inganno creato da una tecnologia digitale in 3D di un ulivo secolare nell’attimo prima del suo completo sradicamento dalla terra. L’artista inibisce il pubblico ad un contatto più ravvicinato, lasciando l’immagine dell’albero al suo destino in una stanza chiusa da un grosso cordone, visibile solo da una distanza forzata. 
Diego Bonetto, Landscape Joining the Dots, Foto di Annamaria La Mastra

Entriamo invece nello schermo dell’opera come dei roditori alla ricerca di cibo o piccole prede alla ricerca di riparo, attraverso il video di Diego Bonetto, realizzato durante una residenza alla Fondazione Baruchello di Roma.  L’opera ci racconta un’ulteriore visione della natura dall’interno del terreno, da un punto di vista impossibile se associato ad una figura umana, quasi la corsa frettolosa tra la natura di un animale in cerca di cibo o di riparo nel suo habitat naturale. Ed ancora, l’analisi della terra, delle sue potenzialità e della sua struttura attraverso una mappa dei componenti naturali che costituiscono proprio il terreno della fondazione (servita in parte come scambio da Baruchello).
Vito Maiullari, Risonanze, 2014 Foto di Annamaria La Mastra

Ci riporta invece ad una memoria arcana Vito Maiullari con Risonanze, la sua installazione sonora realizzata appositamente per la mostra, composta da sette parti estratte da un unico blocco di pietra calcarea, tipica della Murgia pugliese: sette parti sospese ad una struttura di legno che le abbraccia e fa da cassa armonica accogliendo comodamente il “suonatore”, invitato a percuotere con piccole pietre le singole parti per comporre nuove sinfonie naturali. Ogni stele lapidea sospesa, è collegata attraverso sensori ad un computer che memorizza i suoni e li restituisce al pubblico in un momento successivo. Maiullari ci sottolinea l’importanza di soffermarci a riascoltare ciò che la terra ci racconta per tutelare il nostro ecosistema e non violentarlo.
Piero Gilardi, Controcorrente 2013, Foto di Annamaria La Mastra

Pietro Gilardi ci porta ulteriormente a riflettere sulle conseguenze di una sfrenata meccanizzazione del lavoro agricolo e l’ondata inarrestabile dei ritmi consumistici ai quali siamo sempre più sottoposti. E così Gilardi servendosi dei nuovi materiali dell’industria come l’uso del poliuretano capace di riprodurre parti artificiose della natura, ci fa vivere l’illusione di una natura immortale e fantastica. Controcorrente è un opera interattiva, rappresenta un mezzo tronco di albero ricoperto di finto muschio che, sollecitato dal peso dei corpi che vi trovano riposo nel sedersi, innesca il suono di una cascata. Vorrebbe portarci a riflettere sul problema dello spreco delle risorse naturali come la drammatica questione dell’acqua e della siccità,  denunciando quindi i comportamenti distruttivi delle attuali politiche ambientali.
Luana Perilli, Orfano di sette anni con amico immaginario, Foto di Annamaria La Mastra

Infine, Luana Perilli (1981) ci parla attraverso i suoi video di messa in crisi dei modelli di crescita sociale ed economica (passati e ancora attuali), analizzando un’articolata e laboriosa società animale, come quella delle formiche, portata come esempio sostenibile al disastro ambientale e sociale in cui viviamo, dettato da quella individualità che con il tempo potrebbe portare all’estinzione della specie. Ed è proprio con l’installazione Orfano di sette anni con amico immaginario, composta da due comodini muniti di “cassetti magici” che si muovono autonomamente e dai quali crescono piante, che la Perilli ci mette di fronte alla domanda: che cosa può essere realmente definito vivente?

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