08 settembre 2014

Firenze museo ma non posso

 
Ci sono voluti quasi cinquanta anni perché la città toscana avesse il suo museo. Non d’arte contemporanea, ma del Novecento. Eppure l’operazione non convince. Troppa storia dell’arte concentrata in uno spazio troppo piccolo, senza colmare quei vuoti che neanche le tante donazioni e i prestiti riescono a nascondere. E poi basta con la “fiorentinità”!

di

Maurizio Nannucci, Everything might be different

Il nuovo museo fiorentino dedicato all’arte del Novecento si inserisce nel cuore della città proprio davanti alla chiesa di Santa Maria Novella, nei locali dell’ex Spedale di San Paolo (o delle Leopoldine) un edificio quattrocentesco con un portico di chiara matrice brunelleschiana. Varcato l’accesso ci accoglie un ampio chiostro dalle esili colonne in pietra serena che ritmano lo spazio che nel tempo ha accolto prima i pellegrini, poi i convalescenti e infine gli scolari. Il porticato che si svolge sui quattro lati è a doppio livello di cui quello inferiore è stato chiuso a vetri per accogliere agevolmente i visitatori. Il museo vero e proprio si sviluppa tra il primo e il secondo piano, mentre all’ammezzato sono state create delle sale di studio. 
Già nel 1967, l’indomani dell’alluvione di Firenze, il noto critico e storico dell’arte Carlo Ludovico Ragghianti parlava di “museo d’arte contemporanea” e ci sono voluti quasi cinquant’anni affinché questo diventasse una (mezza) realtà; decenni di stop and go che hanno portato solo oggi alla costituzione di un museo dedicato al Novecento, ma non a un museo d’arte contemporanea, poiché da questo sono escluse le realizzazioni del XXI secolo. 
L’idea è di accogliere nel museo le opere di proprietà delle Raccolte Civiche Fiorentine, una collezione eterogenea sorta senza alcuna politica di acquisto programmata e anzi formatasi quasi esclusivamente attraverso donazioni. Questo ovviamente porta a una collezione “casuale”, ma comunque di notevole spessore sia dal punto di vista storico-artistico sia per la varietà e l’importanza degli artisti presenti. Se Ragghianti immaginava la costituzione del MIAC (Museo Internazionale Arte Contemporanea) e aveva sollecitato i maggiori artisti dell’epoca a donare le loro opere, Alberto Della Ragione – l’ingegnere navale genovese amante dell’arte e collezionista – nel 1970, offriva alla Città di Firenze un nucleo di opere che illustra con ampio respiro l’arte italiana della prima metà del secolo.
Museo del Novecento, vista della mostra, Firenze 2014

Altre donazioni, forse meno eclatanti ma non per questo meno significative, nel corso degli anni sono giunte alla Città da parte di singoli artisti come quella di Alberto Magnelli, Ottone Rosai, Severo Pozzati, Corrado Cagli, Mirco Basaldella; a queste devono essere aggiunte anche le opere entrate a far parte delle Raccolte Civiche come frutto di borse di studio o concorsi. 
Al primo piano si entra nel percorso espositivo che comprende anche il secondo livello del portico che si affaccia sul chiostro. È un percorso à rebours: si parte, infatti, con gli anni Novanta del Novecento per risalire, via via che ci si addentra nelle sale, verso l’inizio del secolo. All’interno delle collezioni civiche che, come si è detto, risultano talvolta un po’ lacunose sono state inserite opere chieste in comodato d’uso a enti, musei, gallerie e singoli artisti così da cercare di colmare alcune mancanze e a esaltare quella “fiorentinità” di cui sinceramente non se ne sentiva troppo la mancanza. Poiché il museo si definisce “immersivo” – così almeno è scritto sulla guida che viene data all’ingresso – si è cercato di affiancare al percorso tradizionale un percorso interattivo che potesse completare e approfondire quanto esposto “dal vero”. Grazie a una serie di postazioni multimediali, dispositivi sonori e sale video, il visitatore può accedere a documenti, foto, filmati e altro, così da poter ampliare le proprie conoscenze ed eventualmente costruirsi una visita “su misura”, secondo i propri interessi e le proprie inclinazioni. 
Museo del Novecento, vista della mostra, Firenze 2014
Attraverso questa via si sarebbe potuto sopperire anche a quelle mancanze “fisiologiche” della collezione che invece si è preferito colmare chiedendo i prestiti esterni al museo, mettendo così in luce altre carenze e creando scontenti e malintesi. Questo ha comportato anche l’ingombro di sale che invece potevano essere occupate da una serie di opere delle Raccolte Civiche che per problemi di spazio non hanno trovato posto nel percorso espositivo e che pare saranno proposte a rotazione con ritmi piuttosto dilatati. Il secondo piano accoglie opere che invece sono esposte in permanenza e qui si possono vedere i capolavori del primo versante del secolo, tra cui la raccolta Della Ragione, mentre le opere databili dal secondo conflitto bellico in poi saranno quelle soggette ad alternanza.
È noto che l’apporto di Firenze all’arte del Novecento abbia avuto un ruolo di tutto rispetto a partire dai primi anni del secolo con gli artisti futuristi e il contributo dato al mondo delle riviste letterarie; gli anni Trenta hanno visto poi nascere il Maggio Musicale che ha portato al coinvolgimento di molti artisti nella realizzazione di scene e costumi. Con gli anni Cinquanta Firenze si è avvicinata alla moda e con le sfilate nella sala Bianca di Palazzo Pitti, Giovanni Battista Giorgini ha aperto le porte alla nascita del made in Italy. Il decennio successivo ha visto l’exploit dell’Architettura Radicale con Archizoom, Ufo e Superstudio e l’affermazione della Poesia Visiva con il Gruppo 70 mentre gli anni Settanta, tra i tanti episodi, vedono l’apertura della Galleria Schema, volta alle esperienze neo-concettuali, e del laboratorio Art/tapes/22. 
Museo del Novecento, vista della mostra, Firenze 2014
Se è vero che Museo Novecento è un museo civico e quindi “cittadino”,  è altrettanto vero che le opere delle collezioni fiorentine hanno un respiro ben più ampio e che quindi non necessitavano obbligatoriamente di un radicamento territoriale, tanto che per una volta ci potevamo dimenticare la “centralità di Firenze” e essere italiani e forse anche europei affacciandoci su orizzonti ben più ampi. La multimedialità e le nuove tecnologie ci avrebbero sicuramente aiutato a patto che certi supporti fossero ben congegnati e opportunamente gestiti. 
Gli spazi su due piani in cui è allestito il museo sono forse piccoli per accogliere così tante opere e questo va a discapito della fruizione delle stesse. In alcuni punti i capolavori risultano affastellati e poco leggibili, come accade per esempio alle cinque sculture di Mirco Basaldella di medie dimensioni che si stagliano su una parete di appena due metri, oppure alle sette bellissime pitture di Alberto Magnelli che sono relegate in una minuscola stanzetta dal perimetro irregolare e che fanno i conti con ben tre porte d’accesso!
Mirko Basaldella, Idolo, 1961, legno dipinto Collezione Civica
Dal punto di vista dell’allestimento il museo non rivela guizzi particolari, nessuna soluzione davvero innovativa: una disposizione piana ma che, per sfruttare al massimo lo spazio e per creare pareti espositive, ha portato all’inserimento di molti pannelli che interrompono il ritmo della visita. Le opere, spesso poste troppo vicine tra loro, si disturbano a vicenda seppur abbiano, in genere, formati medio-piccoli. Inoltre molte sculture sono state penalizzate appoggiandole alle parteti quando invece, per loro natura, avrebbero dovuto avere una posizione centrale ed essere fruite a 360°. I dispositivi sonori posti davanti ad alcune opere come per esempio Plurimo di Vedova, messa in relazione a una sonata di Luciano Berio, non sono ben apprezzabili: i suoni che sgorgano dalla campana posta al di sopra del visitatore non sono percepibili distintamente, è sufficiente un minimo brusio di fondo – e quando c’è gente questo è normale – per non sentire quasi niente.
Emilio Vedova, Plurimo 1962/63, n. 7, ‘Opposti’
Nell’altana che svetta sui tetti della città è stata ricavata una sala cinema/conferenze dove è possibile vedere un interessante video sull’idea di Firenze nel cinema costruito attraverso spezzoni di film di varie epoche montati in ordine cronologico. Da Firenze come set di cinema d’avanguardia alla Firenze cristallizzata per la sua “bellezza” dall’obiettivo di molti cineasti internazionali: un excursus originale che porta a riflettere sul ruolo che la città nel corso dei secoli ha avuto nel cinema, nelle arti visive, nella storia.
Ridiscesi al piano terreno, prima di lasciare il museo, viene da notare, in alto nel chiostro, l’imponente scritta blu a neon opera di Maurizio Nannucci: “Everything might be different” (ogni cosa potrebbe essere diversa). Un monito, una constatazione o un suggerimento cui niente e nessuno si può sottrarre.

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