17 settembre 2014

Se ne va Bernardo Secchi. E con lui un pezzo di storia dell’urbanistica europea

 

di

Bernardo Secchi

Scompare Bernardo Secchi, urbanista e docente in molte università italiane e europee, fra cui il Politecnico di Milano, di cui aveva presieduto la facoltà di architettura fra gli anni settanta e ottanta, e lo IUAV di Venezia dove ha fondato il dottorato in Urbanistica e dove ha terminato la sua carriera; editorialista in Casabella di Gregotti, poi direttore di Urbanistica, la rivista dell’INU, negli anni in cui gli studi regionali nati dal planning e dall’analisi economica si appropriavano dello strutturalismo, fra i primi studiosi a dedicare attenzione al fenomeno dello Sprawl, con Francesco Indovina ne aveva ridefinito il senso chiamandola “città diffusa”. In polemica con la maggior parte degli altri studiosi ne ha sempre sottolineato il carattere di radicamento e di lunga durata, mostrando come certe caratteristiche della “villettopoli” della pianura padana non sono una nemesi patologica di un peccato originale di sviluppo frenetico, ma sono in definitiva l’esito del lungo processo di erosione fra la città e la campagna iniziato nell’alto Medioevo. Questa attitudine allo studio dei territori capace di integrare economia, geografia, studi sociali alla morfologia del costruito e delle infrastrutture, gli ha permesso di studiare con lo stesso grado di appropriatezza territori molto differenti fra loro, eppure in qualche maniera omologhi, come le Fiandre e il Veneto, e di superare prima di altri molte barriere ideologiche. 
In Italia quasi non esiste città che Bernardo Secchi non abbia studiato e progettato, coinvolgendo un numero sempre molto grande di studenti, professionisti, studiosi, politici, fotografi, scrittori, spesso assumendo posizioni difficili, ambigue e molto fraintese, come è successo per il piano di Brescia. Senza l’immaginario di Guido Guidi sarebbe anche difficile comprendere il significato diverso dato ai paesaggi e ai territori marginali che Secchi ha contribuito a inventare. Autore fra gli altri dei piani di La Spezia, della Valle del Foglia, per Prato, per il Veneto, per le Fiandre, con Koortijk e Anversa, con Paola Viganò, fino all’invito di Sarkozy per la Parigi del post-Kyoto e della nuova Mosca, prima del ritorno di Putin. Una delle cose che ripeteva spesso è che la difficoltà di studiare e fare un piano per un piccolo comune di provincia sono esattamente le stesse di quelle di una grande capitale. E proprio allo studio della concentrazione urbana e dei suoi effetti ha dedicato gli ultimi sforzi, scrivendo La città dei ricchi e la città dei poveri edito da Laterza e pubblicato nel 2013, in cui raccontava l’esito territoriale dell’acuirsi della disparità economica, come una mappa per leggere Picketty, con il suo Capitale del XXI secolo, riprendendo il tema dello squilibrio territoriale, già studiato negli anni settanta, ma con un’attitudine radicalmente diversa da allora, più progettuale e meno analitica, più descrittiva e meno ideologica. 
Che sia una figura controversa e plurivoca è evidente anche dalle letture differenti che in questi giorni si fanno della sua attività.
Si racconta che il premio Nobel sia nato perché  per un errore di trascrizione, qualcuno aveva annunciato la morte di Alfred Nobel, mentre a morire era stato suo fratello. Per questo ad Alfred Nobel era toccato lo strano caso di leggere il suo necrologio. La delusione e la rabbia per il fatto di vedere che tutti lo ricordavano solo come l’inventore ricchissimo di un’arma in grado di fare danni spropositati lo fecero riflettere al fatto di volere essere ricordato altrimenti, e da qui l’istituzione del premio. 
Chissà oggi, se leggesse i suoi necrologi – in alcuni dei quali passa per essere il legittimatore della città Berlusconiana, in altri come un grande genio, parola di cui ha sempre diffidato, in altri ancora come un maestro pieno di accorati adoratori, cosa che non è stato – chissà oggi cosa si inventerebbe. Ecco mi piacerebbe poterglielo chiedere. Forse, come un altro ingegnere, scriverebbe un romanzo. 
Con Bernardo Secchi l’Italia perde un testimone lucido, acuto e spregiudicato delle profonde trasformazioni dal dopoguerra ad oggi; uno studioso che se ne va lasciandosi dietro molti allievi e nessuna scuola. (Irene Guida) 

1 commento

  1. Morto Bernardo Secchi, celebre Urbanista “padre” del Piano Regolatore città di Prato.

    di Lorenzo Bonini
    Il celebre urbanista teorizzò la “mixitè” con la coesistenza tra edifici industriali e residenziali. Bernardo Secchi era nato a Milano nel 1934 Si laureò in ingegneria civile a Milano nel 1959. Ed è stato professore ordinario di Urbanistica all’Istituto Universitario di Architettura di Venezia e preside della Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano. Ha insegnato in varie università tra cui Lovanio, Zurigo, l’Haute École d’Architecture di Ginevra e l’Institut d’Urbanisme di Paris. A Prato ed io ne fui testimone perché partecipai come invitato a quei seminari e dibattiti, portando con me una delegazione di accademici da Milano. Fu tra i primi dicevo a capire che era giunto il momento di abbandonare il modello urbano regolato sul concetto di “Zonizzazione” e che era il momento di applicare il concetto di “Rete” per creare legami nuovi e trasversali nella crescita della città, creando un insieme di attività produttive, residenziali, commerciali, infrastrutturali e per il tempo libero in una mescolanza continua, per l’appunto il “Mixitè” come ebbe a chiamarlo. Quel tessuto urbano caratterizzato da una continua e diffusa promiscuità edilizia, dagli elevati rapporti di copertura e dalle modeste altezze, costruito per addizioni successive e chiuso ai bordi delle strade. Costituisce la vera identità morfologica della città che merita di essere preservata con regole che ne garantiscano il tutela del principio insediativo originario. Il Nuovo Progetto Urbanistico rifiuta un’interpretazione semplificata e univoca della città, riconoscendo in questa un impianto urbano articolato e complesso, paragonabile nella sua conformazione, com’era solito dire Secchi, come: “…una partitura musicale la cui struttura è composta di ritmi, cadenze, armonie ma anche dissonanze”. Ciao, stimato professionista-rivoluzionario, esemplare professore, preservo con obbligo gli inviti ricevuti per i seminari “Laboratorio Aperto – Nuovo PRG di Prato” da te creati e voluti, conservo con cura i filmati di quegli incontri e dei dibattiti “aperti” i primi forse, per un PRG in Italia, e con un Urbanista del tuo spessore questi avvenivano ed erano possibili.

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