23 settembre 2014

Volo e son desto Il mondo fluttuante di Chagall

 
Nel 1914, mentre in Europa soffiano venti di guerra e Malevic dipinge “bianco su bianco”. Herwarth Walden, mecenate e mercante d’arte, organizza nella redazione berlinese di “Der Sturm”, la prima personale di Marc Chagall. Cent’anni dopo, la pittura del maestro russo si conferma come un inno all’amore e di speranza nella vita. Tra sogno, lirismo e amanti in volo

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Marc Chagall (Vitebsk 1887- Saint Paul de Vence 1985) è l’esule per eccellenza, nato in Russia, ebreo chassidico, diventato cittadino francese nel 1937, emigrato in America per sfuggire all’onta dell’olocausto. Artista iconoclasta, è anche l’esempio di pensatore libero, apolide che ha trasformato la sua vita in un linguaggio espressivo autonomo, in cui le vicende europee del Novecento s’intrecciano con il suo universo poetico, sempre ancorato alla realtà.
Chagall pittore–poeta, sopravissuto alla Rivoluzione d’ottobre russa, a due conflitti mondiali, al nazismo e alla Guerra Fredda, sarebbe stato un personaggio perfetto per un film di Andrej Tarkovskij (1932-1986). La trasformazione del suo esilio in un lungo sogno attraversato da esperienze personali drammatiche, che non ne modificano il vocabolario gioioso, lirico, mistico e universale e che pongono l’incanto per la vita sopra ogni cosa, ne fanno l’eroe di un film o di un romanzo.
L’artista, scomparso a 98 anni in Costa Azzurra dove si era trasferito nel 1950, ha annullato nella pittura il tempo e lo spazio, realizzando una dimensione metafisica dove colore, materia e memoria si coniugano con la mistica chassidica. Facile da amare ma complesso da capire, l’antimoderno Chagall rimane fedele alla sua identità ebraica che non ha mai ceduto al radicalismo dell’Astrazione, del Cubismo di Braque e Picasso, attraversando le avanguardie come un “Piccolo principe” che ha sorvolato diverse correnti di pensiero e mode culturali della prima metà del Novecento. Nel 1911, ancora giovanissimo, l’artista abbandona l’amata Russia e trova la libertà a Parigi, dove scopre il Cubismo e altre avanguardie, che lo porteranno a meditare sulla millenaria tradizione russo-ebraica e, nella malinconia maturata dal distacco dalla patria, trova un luogo immaginario dell’anima, ancorandosi alla sua “follia”, alla  rappresentazione figurativa e fluttuante della vita come sogno.
Per riscoprire questo artista a volte frainteso o semplificato, è imprescindibile una tappa a Milano, a Palazzo Reale che ospita la prima retrospettiva completa mai realizzata in Italia. La mostra, “Marc Chagall una Retrospettiva 1908-1985” (fino all’1 febbraio), non “a pacchetto” come erroneamente qualcuno ha scritto, a cura di Claudia Zevi e Meret Meyer è promossa dal Comune di Milano-Cultura, organizzata e prodotta da Palazzo Reale, 24 Ore Cultura- Gruppo 24 Ore, Arthemisia Group e GAmm Giunti-24 Ore Cultura, si propone di illustrare con 220 opere, sessant’anni di attività artistica di un maestro della pittura.(Catalogo: GAmm Giunti-24 Ore Cultura. Info hashtag#chagallMi.)  
In otto sezioni si snodano, come i capitoli di un romanzo, i periodi della vita dell’artista di una modernità “alternativa”, in rottura con Kandinsky e successivamente con il Suprematismo e il Costruttivismo russo, in cui innamorati, mucche simbolo dell’amore materno, irreali capre e cavalli e asini (dopo il 1924) e pesci e galli  (dal 1928), clown, ritratti, apparizioni misteriose, rabbini colorati in bilico tra fauvismo ed espressionismo, saturi di rimandi cezanniani, evidenti nella Camera gialla (1911) e altre opere esposte, lasciano il segno nella memoria dello spettatore. Sono  drammatici i suoi cristi in croce assurti a simbolo universale dell’umanità sofferente, dai colori cupi, infiammati di gialli e di rossi, figure tragiche che, insieme ad altri soggetti fluttuanti in un terno presente scandiscono la sua attività  dal 1908 al 1985. 
Di scena a Milano ci sono i moti della sua vita interiore, opere, bozzetti per i costumi del teatro ebraico, per L’uccello di  fuoco di Igor Stravinskij, disegni, acquerelli, acqueforti, gouaches, incisioni originali realizzate per l’autobiografia (Ma Vie,1922) e un manoscritto originale di una seconda inedita autobiografia. Sono una gioia per i bimbi di tutte le età le sue Favole di La  Fontaine, realizzate nel 1926 in collaborazione con Ambroise Vollard, e sorprendono per  freschezza i collages degli anni ‘80. In una parola, è in scena lo spirito dell’Europa, con il mondo dell’ebreo errante, raccontato con una pittura intimista che agli inizi del Novecento era ai margini rispetto alle avanguardie europee, dove protagonista è la vita di Chagall in relazione alla storia. 
Non solo amanti, la coppia leitmotiv del maestro, ma mucche sospese nel vuoto, madonne vestite da sposa, angeli caduti dal cielo, rabbini colorati e figure ibride tra uomo e animali in cui la fiaba, la cultura classica si unisce alla tradizione giudaica neoplatonica. Così il suo universo animista prende corpo sala dopo sala con personaggi pop e fluttuanti, sintesi tra la cultura russo-chassidica assorbita in famiglia e quella occidentale. 
Le sue figure sono un escamotage stilistico che supera il divieto biblico di non fare «immagine tagliata né alcuna figura delle cose che sono nei cieli in alto, o sulla terra in basso, o di ciò che sta nelle acque sotto terra», scriverà l’autore nella sua  autobiografia, Ma vie (pp 43.44). E Chagall è universale perché nel suo complesso vocabolario, metafisica dell’amore, fede, dolore e castigo, tragedia e insieme speranza di rinascita, tracciano la storia dell’umanità. 
La sua è una pittura lontana da una rappresentazione oggettiva della realtà, che però fa emergere nuove e più poetiche sfumature e forme espressive di essa. Arriva diritta all’anima, svelando in maniera semplice un mondo complesso carico di simboli, metafore e riflessioni filosofiche sul senso della vita, passando dal vissuto personale. Galleggiano nello spazio figure e oggetti e gli affetti più importanti della sua vita, si riconosce  la moglie e musa Bella, scomparsa nel ’44, e altri personaggi che animano un mondo poetico impregnato di tradizioni ebraiche, ricordi, dolori, amori e perdite, in cui microcosmo e macrocosmo si abbracciano come i suoi amanti in volo. 
Un’altra incursione nell’iconografia di Chagall, popolata da coppie innamorate in levitazione, animali e violinisti dalle forme e colori bizzarri, è possibile farla al Museo Diocesano di Milano, con la mostra “Chagall e la Bibbia”, a cura di Paolo Biscottini con Zevi e Meyer, dove sono esposte 60 opere con 22 gouache preparatorie, inedite e presentate ora per la prima volta, realizzate negli anni ’30, oltre a sculture e ceramiche. Il tutto testimonia le continue elaborazioni delle Sacre Scritture che fa Chagall quando si dichiara non pittore, ma primariamente ebreo: «La mia anima è la mia patria. Vi posso entrare senza passaporto e mi sento a  casa. Questa casa accoglie la mia tristezza e la mia solitudine, e non ha altre case intorno: furono distrutte durante la mia infanzia e i loro inquilini ora volono nell’aria, vivono nella mia anima».

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