24 ottobre 2014

Street Art, tra invenzione e autocoscienza

 
Al via domani la quinta edizione di Outdoor, festival di Urban Art. Che stavolta invade gli spazi dismessi della Dogana di San Lorenzo a Roma. Tanti artisti italiani e stranieri e tante nuove idee al punto da sembrare una Biennale. Anche perché per la Street Art, diventata quasi un fenomeno di moda, è arrivato il tempo della riflessione. Con una parola d’ordine: riprendere ad esplorare per andare oltre

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JB Rock, Foto di Matteo Armellini

“Un movimento fisico, mentale, emozionale”. Moving forward è l’idea che ispira la nuova edizione di Outdoor – Urban art Festival, uno degli appuntamenti più attesi della scena street a Roma. Tante le novità messe in cantiere nel corso del 2014, NuFactory, l’asociazione che ha datto vita al progetto Outdoor, ha letteralmente ribaltato lo scenario all’interno del quale ha costruito tutte le passate edizioni. Da uno sguardo rivolto verso l’alto, tra il sole e le nuvole, si è passati ad un’esplorazione indoor, ritornando un po’ a quelle radici tipiche della cultura urban, con l’appropriazione di spazi dismessi anche ispirati da alcuni importanti esempi internazionali, come quello della Tour 13 a Parigi. In questo caso l’agenzia creativa con sede nella Capitale, è riuscita a mettere le mani sui 5000 metri quadrati della Dogana, edificio importante ma ormai semi-sconosciuto ai più, che dal 25 ottobre al 22 novembre apre le sue porte ad un percorso quasi iniziatico per riprendere in mano le fila di un discorso, al riparo da quelli che possono essere considerati quasi dei cliché della Street Art.  
Thomas Canto, foto di Matteo Armellini
Dopo le abbuffate estive, sembra infatti tempo di quaresima per una delle forme artistiche più controverse e alla moda del momento. Si moltiplicano i festival e le iniziative in tutto il mondo e gli artisti faticano a disfare le valigie, sempre in giro tra un Paese e l’altro. E naturalmente ognuno ha la sua predilezione: graffiti, old school, writing, urban art, arte contestuale, poster art, e chi più ne ha più ne metta. Tempi rapidi di realizzazione, grande visibilità in strada e sui media internazionali, la Street Art è esplosa prepotentemente sulla scena mondiale, vincendo lo scetticismo dei puristi dell’arte contemporanea. Tutti pazzi per la street art, sembra essere il motto. E proprio mentre le istituzioni e gli spazi museali fanno a gara ad accaparrarsi delle sessioni live di pittura murale o writing, da Roma alcuni addetti ai lavori, NuFactory tra gli altri, hanno cominciato a tirare il freno a mano in nome di una riflessione che abbatta definitivamente le barriere di genere e consenta di liberare quell’energia e freschezza creativa che sembra sempre più ingabbiata dalla fretta bulimica di dipingere. 
Dot dot dot, foto di Matteo Armellini
Le carte nascoste di alcuni operatori del settore, tra i più attivi e all’avanguardia sulla scena nazionale e non solo, sono venute allo scoperto proprio in occasione del lancio della quinta edizione di Outdoor, presentato a settembre sotto le luci dello Yap MAXXI nel convegno “The street is changing” a cui hanno partecipato diverse realtà creative del settore street, provenienti da diverse parti del mondo. Incredibilmente le problematiche sollevate sono state comuni, con un ripensamento sul lavoro mordi e fuggi in esterno e il desiderio di una progettualità e tempi di digestione più lunghi, anche per dare agli artisti la possibilità di crescere e sperimentare. O addirittura di studiare, come nella proposta-provocazione della galleria sperimentale romana Lazlo Biro, che ha deciso di trasformarsi provvisoriamente in biblioteca per invitare artisti e addetti ai lavori ad approfondire e crescere culturalmente e artisticamente. 
Per NuFactory, attiva da diversi anni con ottimi risultati a Roma, il nuovo corso è venuto subito dopo il successo del crowdfunding che ha portato al finanziamento e alla realizzazione dell’opera murale del duo Sten & Lex a Garbatella per l’edizione 2013 di Outdoor. Un’esperienza che ha mosso energie e sollecitato dinamiche nuove, portando il team a sperimentare una modalità a loro piuttosto inedita, accettando la sfida dell’effimero che è una delle principali caratteristiche del lavoro in strada, ma trasportandola all’interno.
Aiko, foto di Matteo Armellini
Per Outdoor 2014 hanno lavorato tutta l’estate nel segreto pressoché totale. Sono arrivati a Roma artisti da diverse parti del mondo, che hanno vissuto la città, esplorandola oltre una conoscenza fugace. Hanno lavorato lontano dagli occhi dei passanti, diversamente dal solito, ma gomito a gomito con la curatrice. Il nuovo progetto artistico, fortemente voluto dal fondatore Francesco Dobrovich, porta infatti la firma di Antonella Di Lullo, storica dell’arte e curatrice, che ha immaginato un’inversione di tendenza rispetto alle tradizionali pratiche street, mettendo al centro il confronto e il dialogo tra esperienze diverse, in cui, non a caso, anche diverse artiste sono chiamate a svolgere un ruolo di primo piano. L’idea è quella di costruire una sorta di Biennale della Street Art, lasciando da parte tutte le etichette di genere ma esplorando i diversi linguaggi. 
Tre i padiglioni italiani, uno interamente dedicato alla scena writing romana, e cinque padiglioni stranieri, più uno spazio d’eccezione per l’arte contemporanea tradizionale. Tutti gli artisti sono stati chiamati a vivere ed interpretare una stanza della Dogana, diventata una casa anche per il team di NuFactory,  e ad assorbire le suggestioni e la storia del luogo. Superare la claustrofobia delle quattro mura ed utilizzare i limiti come stimolo per ulteriori possibilità creative, è quello che hanno fatto il francese Thomas Canto e la giapponese Lady Aiko, che hanno lavorato sulla tridimensionalità e sulla creazione di scenari e rimandi congiunti tra le opere. Critica sociale invece per Dot dot dot, che reintepreta con amara ironia il concetto di street art, artista con il quale la curatrice ha giocato inscenando una parete museale, pomposa ed inaccessibile. Studio del contesto e delle stratificazioni per Faith 47, l’artista che ha lavorato sull’ouverture alla mostra con un’immagine dai toni epici e monumentali. 
Davide Dormino, foto di Matteo Armellini

Lessico pop per gli artisti Buff Monster, Galo e Laurina Paperina, ad evidenziare come ci si muova trasversalmente attraverso i diversi linguaggi artistici con una densa ibridazione di generi. Invasione calligrafica totale invece per l’italiano Jbrock, vecchia conoscenza del festival, mentre appare molto riuscita la scelta di riservare un “padiglione” dell’edificio al writing, con i romani Brus, Ike e Hoek, rappresentanti autorevoli di una linea che rifiuta lo scontro e la competizione in strada, cercando un dialogo e delle singolari vie di interazione fra tracce urbane differenti, come testimonia la facciata delle Officine Fotografiche a Roma, realizzata proprio da Brus in occasione di Outdoor 2012 e dimostratasi un’opera in grado di inglobare interventi successivi, arricchendosi di volta in volta di senso. L’idea di un evento capace di creare una narrazione a tutto tondo si manifesta anche con l’apertura di una finestra sulla ricerca artistica delle nuove generazioni, con l’italiano Tnec e il sudafricano sedicenne Jack fox. L’unico spazio esterno è invece provocatoriamente affidato all’arte contemporanea, rappresentata dalla creazione polimaterica di Davide Dormino, visibile solo dall’esterno ribaltando le tradizionali modalità della percezione e di costruzione dell’aura, per cui le opere all’interno saranno segnate da un destino di provvisorietà mentre l’unica lasciata in balia degli agenti atmosferici sopravviverà al festival. «Non una mostra che vuole sintetizzare, riassumere il movimento e il fenomeno», spiega Antonella Di Lullo, «ma un punto di partenza, l’inizio di una riflessione che vuole puntare all’arte come straordinario strumento di dialogo e aggregazione». Una mostra non destinata a durare, ma che segna l’avvento di nuove modalità di indagine creativa e di lavoro anche in Italia.  

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