29 ottobre 2014

Ah, Luigi …

 
Funambolico, ironico, metaforico e cangiante Ontani! Che dagli anni Sessanta interpreta se stesso prendendo a prestito maschere e immagini altrui. Che lascia scorrere il tempo su di sé e sulle sue opere, quasi fosse un orologio della memoria. E poi, che faccia l’angelo come il diavolo, Pinocchio o Dante, ciò che rimane è l’artista che sembra camminare con i piedi sulla terra e le mani tra le nuvole. Così come le sue opere

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Luigi Ontani, l’artista che, senza mai perdere la bussola della sperimentazione, dell’originalità e della leggerezza, rivela nel lavoro un impegno profondo e ostinato governato da una pratica sempre attuale che è superamento spontaneo e intuitivo di ogni “ismo” ciclicamente riproposto dall’arte. Ontani, sempre capace di stupirci, interessarci e coinvolgerci in una dimensione straordinaria per l’unicità e l’intensità che costruisce nel tempo della sua vita e della storia dell’arte. Luigi, l’artista che gioca in prima persona tra illusione e realtà, tra immagine e icona, tra pittura e memoria, tra identità e simulacro. Come nella positiva occasione della mostra, a cura di Giacinto di Pietrantonio, “er” “SIMULÀCRUM” “amò” che fino all’11 gennaio è proposta nella sede della GAMeC di Bergamo per l’apertura della nuova stagione. 
Una mostra che si presenta con autonomia e specificità nell’accogliere e organizzare non dipinti, acquarelli o sculture, ma la sola selezione di opere fotografiche e video, germinale e particolarmente rilevante nello sviluppo di tutta la produzione dell’artista dagli anni Sessanta ad oggi. Un percorso fotografico che nella mostra garantisce un doppio binario critico e di contemplazione: la documentazione delle sue performance artistiche e la sperimentazione diretta di un viaggio “tran-storico”. Nel primo caso le opere, fotografie di formati diversi, ricostruiscono una pratica che risale alle interpretazioni viventi dei vangeli medievali, ai trionfi allegorici rinascimentali e barocchi, nonché ai veri propri tableaux vivants realizzati durante la rivoluzione francese e più tardi in voga nei salotti romani di inizio XX secolo. Nel secondo caso, invece, ciò che si manifesta come viaggio nella storia, atteggiamento che caratterizza tutta l’opera di Ontani, è manifestazione evidente – fotografica appunto –  di un percorso personale che attraverso il mito, la maschera, il nudo, il simbolo e la rappresentazione iconografica, ci trasmette di volta in volta identità diverse ricomposte dal tempo nella memoria collettiva.
Visitando però la mostra, nel silenzio che segue la mondanità curiosa e un poco melanconica degli opening, emerge un terzo aspetto che nasce da un coinvolgimento inclusivo e sentimentale che si avverte con forza: è la sfilata delle molte fotografie che permette di emozionarsi anche nel riconoscere i semplici accorgimenti – tra il campestre e il casalingo – usati dall’artista per trasformarsi nelle sue prime performance, poi nelle tecniche lenticolari delle fotografie più recenti. Sono le tegole in terracotta, disposte sul suo corpo per trasformarsi nell’armatura di un santo (Tetto, 1969), così come il bosco della pianura padana, sfondo campestre di un déjeuner efficace proprio per la sua semplicità (Déjeuner sul l’Art, 1969), tutti elementi che diventano scena e cornice di intima suggestione. 
Similmente è il corpo dell’artista, messo a nudo nelle diverse età della vita, che diviene memoria di una pittura di antica tradizione, ma anche di un’identità che non disperde la sua anima terrena. Così per le pieghe di semplici panni colorati che, liberate dal cangiante di maniera, ne trattengono memoria e ne evocano lo splendore sullo scuro dell’incarnato fotografico.  Più in generale è l’intuizione, l’immaginazione, la purezza e la curiosità dell’artista che emerge da queste fotografie, accanto a piccoli riferimenti autobiografici, geografici, di epoca e, soprattutto, di attitudine. Cangiante, infatti, è unicamente il vestito che spesso Luigi Ontani indossa, ma per effusione lo diventano le sue fotografie, siano esse in bianco  e nero e di piccolo formato come a colori nel grande formato. Cangianti diventano i suoi giochi di parole, le citazioni incrociate, i titoli arguti. Cangiante è la sua capacità di trasformarsi con piccoli gesti figurati in personaggi storici, mitologici, letterari e popolari mentre incarna Pinocchio, Dante Alighieri o Giuseppe Garibaldi, ma anche San Paolo del Caravaggio, San Luca del Guercino o I Prigioni di Michelangelo. Cangiante – perché pura e insieme rivoluzionaria,  ingenua e insieme ammiccante –  è la sua identità che scavalca il tempo, il contesto e l’attualità perché ne è testimonianza in prima persona. 
Angelo come Diavolo, Pinocchio come Dante: ciò che rimane è l’artista che sembra camminare con i piedi sulla terra e le mani tra le nuvole, così come le sue opere. Tutto ribadito anche nel titolo di questa mostra che racchiude un omaggio linguistico alla città che la ospita, Bergamo: l’artista ha eliminato la “B” e la “g” intervallando le sillabe ottenute con il termine Simulàcrum, riferimento al vero e al non-vero, frutto ancora una volta dell’ironia di Ontani, caratteristica fondante di tutta la sua produzione artistica.
La mostra “er” “SIMULÀCRUM” “amò” è accompagnata da un catalogo bilingue – edito da GAMeC Books – che include testi di Giacinto Di Pietrantonio e di Laura Cherubini e una documentazione sulle opere in mostra. A tale proposito un’ultima riflessione: proprio a seguito della mostra nel 2010 alla Tate Modern, delle performance commissionate dalla Serpentine Gallery di Londra e dall’Hammer Museum di Los Angeles nel 2011 e di questa mostra in GAMeC, nasce il desiderio di immaginare “altre forme di scrittura” per Luigi Ontani.  Forse un film che sappia attraversarne l’anima e il corpo e dare testimonianza del suo lavoro? Forse.  Basterebbe chiederlo a lui e ascoltare il fluire intenso e magico delle parole di Tullia, la bellissima sorella capace di rievocare emozioni e passioni. 

2 Commenti

  1. Ci andrei piano con questo anticipatore di tendenze! Forse qualcuno ignora che di anticipatori di tendenze, di travestimenti di personaggi, maschere e sembianzi altrui ne è piena la storia dell’arte…In altre parole nulla di nuovo sotto il sole. A questo proposito può risultare utile pensare ai travestimenti degli artisti dadaisti: è versosimile pensare ai travestimenti di A. Kravan, lo stesso M. Duchamp ed altri artisti dadaisti che gli storici ignorano o fanno finta di ignorare.

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