22 maggio 2015

CURATORIAL PRACTISES

 
Partire dal locale per accedere a una forma internazionale dell’arte è la proposta del curatore Aaron Moulton.
di Camilla Boemio

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Il tuo background curatoriale è denso di esperienze lavorative; prima di diventare Exhibition Programmer alla Gagosian Gallery di Beverly Hills sei stato Senior Curator allo Utah Museum of Contemporary Art di Salt Lake City, co-curando anche la prima edizione della Biennale dello Utah: Mondo Utah. Hai anche fondato lo spazio FEINKOST a Berlino, oltre a essere stato editore di Flash Art International. Quanto approcci curatoriali speculari riescono a forgiare un determinato pensiero e una pratica curatoriale?
«Il mio approccio curatoriale è antropologico, richiede una certa ricorsività nel relazionarsi a un soggetto e al contesto selezionato. Non ho fedeltà a lungo termine a qualsiasi argomento o contesto, penso sia sempre un elemento importante per rimanere rilevanti e adattarsi nel mondo dell’arte. Un momento in cui credo che questo approccio si è dimostrato più efficace o dove credo che la mia pratica come curatore sia stata di massimo effetto possibile è nella prima Biennale dello Utah a Salt Lake City dal titolo “Mondo Utah”. Questa mostra ha minato tutte le possibili storie e narrazioni che apparivano dominanti, influenti, contrastanti, esoteriche e rilevanti per plasmare l’immagine culturale complessa della città, i suoi abitanti e le condizioni molto particolari nelle quali si trovano. È stata una mostra che ha celebrato con successo il contesto regionale che produce i linguaggi della produzione culturale, pur non essendo facilmente leggibile ai membri culturalmente colti del mondo ufficiale dell’arte contemporanea, ma si tratta degli aspetti che ci possono offrire un ricco potenziale oltre quello che normalmente riceviamo da una biennale standard del settore».
 Utah Biennial: Mondo Utah
La mostra “CLEAR” alla Gagosian Gallery ha particolarmente colpito i tanti visitatori. Vuoi introdurla?
«”CLEAR” è stata una mostra che ha tentato di resuscitare un momento molto amato nella storia dell’arte della California: “Light and Space Movement”. Raramente abbiamo ripensato alle regole, alla narrazione dei giocatori dell’estetica di questi momenti e ancora ai vari periodi storici dell’arte che sono a continuo rischio di irrilevanza o obsolescenza quando non riesci a trovare intersezioni contemporanee o nuovi metodi per organizzarli. “Clear” è stata un introduzione fantascientifica sul “Movimento Luce e Spazio” guardando alla storia e alla cultura dell’arte, analizzando l’estetica della esperienza fuori dal corpo. Il titolo è stato uno stratagemma che ha fatto immaginare qualcosa di molto semplice come la materialità, il vetro o le resine, ma ci si rendeva conto rapidamente che vi era una gamma molto varia di significati che questa parola può avere: cancellare il corpo, aprire la mente, lo sdoganamento. Tutti concetti sono implicazioni di un passaggio senza ostruzioni come le condizioni per il passaggio della luce. Oltre alla sua attenzione per la proiezione astrale, la mostra ha toccato le nozioni di chiaroveggenza (che si traduce in “visione chiara”), e la chiarezza totale che potrebbe venire con il conoscere tutto tramite il terzo occhio aperto. L’occasione è stata anche un modo per me di realizzare una mostra sulla religione in stile californiano e sulla fantascienza di Scientology la cui prima fase di trascendenza è “going clear”, un termine reso popolare dal recente documentario della HBO. Dopo un lungo periodo di lavoro nello Utah, sono molto interessato al ruolo della religione nell’arte contemporanea, un settore altamente laico pieno di atei, tutti ironicamente alla ricerca di Dio».
 Utah Biennial: Mondo Utah
Nella mostra museale “Analogital” hai esplorato lo spazio di transizione tra analogico e digitale invitando gli artisti della new media art: da Oliver Laric al noto Cory Arcangel a Jordon Wolfson e Jennifer West.
«”Analogital” è stato un modo per stabilire una macro-vista a tutti i mini-temi che circondano la ricerca sempre coinvolgente dell’universo digitale. Lo scopo è stato quello di tracciare una linea generazionale degli artisti nati e cresciuti nella sensibilità analogica, nella tecnologia e nell’uso dei materiali, arrivando attraverso la condizione attuale segnata dalla fase beta».
Secondo te quale è il futuro dei musei americani? 
«Privato o regionale. Gli istituti privati saranno l’unico modo rapido ed efficiente per rispondere a un settore che richiede un’azione immediata per rimanere rilevante. Poiché la maggior parte dell’arte contemporanea spesso può sembrare monoculturale, proveniente più direttamente dalla cultura contemporanea e al netto di qualsiasi cultura specifica che l’abbraccia, l’istituzioni regionali saranno in grado di offrire una storia dell’arte nella quale le comunità locali sono più facilmente connesse. Trovare il modo per unire il vernacolo regionale con il linguaggio contemporaneo è una formula alta-bassa che definisce le pratiche artistiche aritmetiche di artisti come Danh Vo e David Hammons. Ed è una formula semplice per intersecare contesti altrimenti disparati dell’arte, elevando due storie in una sola volta e celebrando la diversità del paesaggio culturale».

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