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Dopo Youth il ciclopico Paolo Sorrentino dispensa perle che sembrano costruite apposta come note a margine della trama del suo film. A Serena Dandini spiega che ha in mente altri quattro lungometraggi, poi toglierà il disturbo.
Forse lo dice perché la sconfitta a Cannes brucia più della vincita di un Oscar, o forse perché davvero il regista sa che cosa significa fare arte, disciplina che non consente l’invecchiamento dell’opera ma solo quello dell’autore. Ed è difficile davvero, dopo tempo, mantenersi a galla inventando sempre nuovi stili di navigazione. Di solito si semina sul campo già arato, con il risultato che i raccolti sono sempre uguali, e facili. Vero o non vero, le parole di Sorrentino toccano un altro dei grandi temi della produzione dell’arte, ovvero quella della “prestanza” dell’artista e della sincerità nei confronti di sé stessi e della propria opera.
Certo, si lavora per vivere e spesso l’arte, per chi sceglie di lavorarvi, è vita stessa, ma quanti davvero hanno avuto la forza di superare il quarto d’ora di celebrità e continuare sperimentando nuove scie? Sorrentino, per esempio, che pellicola dopo pellicola ha incassato il peso del successo ma ha mantenuto la leggerezza dello sguardo.
«Ci sono eccezioni lodevoli però è vero che spesso i registi invecchiando peggiorano; è un lavoro molto logorante», ha dichiarato a Radio2. E dunque, viva la lucidità! Quella che ebbe il grandissimo Mario Monicelli, di cui pochi giorni fa (il 16 maggio) si è celebrato il centenario dalla nascita – che in pochi hanno ricordato – in quell’azione tragica e da vera “giovinezza” che mise fine alla propria vita, a 93 anni, nel novembre 2010. Ultima stella nel firmamento dei grandi filmaker. (MB)
checazzata, l’ultimo bertolucci ha la freschezza d’un’opera prima, e godard audie au langage è lucidissimo, manoel d’oliveira ha fatto film fino a centanni, il discorso è che ne sorrentino, ne garrone, ne moretti sono artisti!