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Lui viaggia sui 100mila followers, e i suoi post riscuotono una media di 500 like a botta, arrivando anche a 2mila, per certe immagini. Lui è Hans Ulrich Obrist, che tramite Instagram ha scelto di postare solo messaggi scritti, per materializzare un’entità che, secondo il re delle interviste, sta scomparendo: la scrittura.
Ora, tramite le pagine del quotidiano tedesco The European, la stella della critica d’arte lancia la sua ultima provocazione, che in fondo è parecchio condivisibile: Instagram sta sdoganando un vero e proprio modo, nuovo, di vedere l’arte. E non si tira indietro dicendo che, tramite il social network delle immagini, studia quotidianamente i giovani artisti, e il loro approccio estetico.
Ma non è finita, perché Obrist tira in ballo anche Beuys e Warhol, il primo come autore della celebre asserzione per cui “Tutti sono artisti”, confine quantomai labile oggi, e che Instagram sta rimettendo a fuoco, visto che molte immagini bellissime arrivano, nel mondo, anche da chi artista non è, mentre il padre putativo della Pop Art non si sarebbe fatto scappare l’occasione di condividere i suoi temi “online” [d’altronde i suoi lavori di grafica computerizzata sono un esempio lampante, e antesignano, n.d.r.].
Eppure, nonostante tutto, e nonostante l’arte possa anche essere creata su Instagram, Obrist ha anche rimarcato che i musei sono più importanti che mai, proprio a causa della massiccia “amnesia” di cui soffriamo. Siamo circondati di immagini, e allo stesso tempo dall’oblio. Un po’ come la perdita delle lettere, che rivivono per immagini. Parola di curatore. Ma, per dirla come Obrist, “Quando tutti sono curatori, nessuno è un esperto”. E allora, dunque, quando tutti sono artisti, l’arte non è arte? Come la mettiamo?