25 novembre 2015

Ennesima si apre alla Triennale. E l’arte italiana assume una forma: senza white cube, e con pieno di pubblico

 

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Sarà parziale, ma è pur sempre una ricerca. Non sarà esaustiva, ma non ha pretese di essere enciclopedica. Eppure Ennesima, una di sette mostre sull’arte italiana è vasta, profonda, cerca relazioni e apre a ricordi e ad esperienze che, sappiamo bene, sono rimaste ancorate proprio all’Italia.
Non è una sconfitta, ma la realtà dei fatti. Così come è la realtà il fatto che stamattina, in occasione della press preview dell’esposizione, a cura di Vincenzo De Bellis, il pubblico sia stato quasi quello della vernice serale: numerosissimo. 
E pronto a perdersi nei dialoghi delle “sette mostre” di cui fanno parte un bellissimo omaggio alle poetesse visive Lucia Marcucci e Ketty La Rocca, una bella sala dedicata alla produzione di Alessandro Pessoli, una rimessa in scena di quella che fu l’esperienza milanese di Via Lazzaro Palazzi 19, nei primi anni ’90, le dinamiche della performance indagate come tablaux vivant (sopra Fabio Mauri, Senza Ideologia, 1975 / Elia Kazan, Viva Zapata!) e un’ultima parte – forse meno convincente, ma probabilmente perché si tratta di esperienze in pieno divenire – legata alle ultime due generazioni di artisti italiani: quelli nati negli anni ’70 e i nati dei pieni anni ’80.
Se il titolo, forse, ha tratto qualche inganno, il percorso vi sarà più chiaro: un po’ bulimico, pieno, variegato e variopinto, lontanissimo dall’idea del white cube. 
E forse è proprio questo che funziona: l’Italia, che vi (ci) piaccia o no, del cubo asettico non ha mai avuto nulla. E mai, probabilmente, lo avrà. Un’altra ricchezza che non riusciamo ad esportare degnamente. Nell’attesa di raccontarvi la mostra più approfonditamente con una recensione, vi rimandiamo alla nostra pagina facebook per tutte le immagini.

1 commento

  1. Le immagini mi ricordano il Padiglione Italia di Vittorio Sgarbi del 2011, appena prima che le stanze si riempiano o appena dopo che abbiamo iniziato a svuotarle. La riflessione di De Bellis è di una superficialità lancinante: l’arte italiana è caratterizzata dalle immagini????????? Non dalle figure???? Ma cosa vuol dire????Quindi? Perché le altre arti non lo sono????? Questo totale vuoto di pensiero è la condanna dell’occidente a cui bisogna reagire.
    Solo in italia, ogni 3-4 anni, qualcuno sente il bisogno di queste ricognizioni, abbiamo questa mentalità del campo di concentramento: “voi sì, voi no”. Ci piace escludere i nostri connazionali, mai viste mostre di questo tipo in altri paesi. Poi ci vogliono due curatori per fare la solita selezione della serva? E bisogna anche pagare il biglietto. Il problema è della Triennale che permette questi progetti e di un paese totalmente indifferente a tutto questo. Queste mostre sono il sintomo e la causa del loop inutile, autistico e anacronistico dell’arte italiana degli ultimi anni. Ci sono ormai più critici e curatori che artisti, sicuramente sono più famosi degli artisti della stessa generazione. Una preponderanza quasi imbarazzante verso la Galleria Zero e De Carlo.

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