30 novembre 2015

Dalla città assediata

 
Da Parigi a Bruxelles, nell'ultima settimana al centro dell'attenzione. Abbiamo chiesto a tre figure del mondo dell'arte che ci vivono di raccontarci il vissuto di questi giorni

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Se è vero o meno che è tutta l’Europa ad essere in guerra, non c’è dubbio che in questa condizione, sia pure non dichiarata, ci si sia trovata la capitale belga, o dell’Europa tutta, come sostiene qualcuno con accenti forse un po’ troppo mediatici. E del clima antiterrorismo e del terrore stesso abbiamo visto immagini e sentito racconti rimbalzati sulle tv e sul web. Volevamo saperne di più, soprattutto avere uno sguardo diverso. Abbiamo chiesto a Rosanna Gangemi e Nicola Setari, che hanno scelto di viverci da diversi anni, e a Francesca Grilli, che e vi si è trasferita di recente, confermando l’interesse che questa città raccoglie oggi nel mondo dell’arte internazionale, di raccontarci l’esperienza di questi giorni. Ecco le loro testimonianze.  
Rosanna Gangemi

Rosanna Gangemi, direttrice di DROME magazine e critica d’arte
Bruxelles mi sembra abbia voluto essere, come si dice, più realista del re. La polizia e i loro dispositivi in giro non mi ha fatto particolare impressione, anzi forse in questi giorni abbiamo avuto meno ladri in casa… La metro chiusa e l’asilo di Leen hanno invece avuto un impatto concreto sulla mia vita, ma me ne sono fatta presto una ragione. È ad un livello più profondo che queste misure draconiane mi hanno condizionata. Perché in me si è insediata la paura. Temere azioni semplici come andare alle poste, attraversare una stazione dei treni, portarsi dall’altra parte della città, osservare chi incroci per strada o al supermercato, è la conseguenza diretta e di più lungo periodo di “Bruxelles blindata”. Non solo per una ricerca apparentemente delle più complicate, ma anche per un rischio attentati. Che ovviamente non si annunciano né in genere si palesano quando attesi. Non lo so se non hanno potuto che agire così, dovrei conoscere i dettagli che non possono dirci, ma forse una reazione così “preventiva” ha a che fare con una destra non delle più illuminate al potere, con la voglia di un po’ di Stato di polizia e dell’estetica della forza che ne deriva, conseguenza dello sguardo severo del mondo dopo le notizie emerse di Molenbeek “santuario del terrorismo”.
 Gli attentati di Parigi li avevamo seguiti con particolare apprensione anche perché a Parigi c’è mezza famiglia di Stefan Pollak, che dirige con me DROME, di cui un cognato lavora in un bar a pochi passi dal Bataclan. Ma poi Parigi – con tutti i limiti del caso, a cominciare dalla politica internazionale – non ha dato soddisfazione alla morte, ha irriso chi si nasconde dietro al Corano senza magari mai averlo aperto, si è fatta stringere in un abbraccio anche dalla comunità musulmana, ancora una volta ha ricordato al mondo la sua grandeur nella sua gioia di vivere ad ogni costo.
Geert De Taeye, Bxl November 2015
A Bruxelles hanno tolto la sua fantastica capacità di autoderisione, la sua bonomia, provocandola per difendere una reputazione che non le interessa e giocando con i suoi delicati equilibri psico-sociali.
Infine, avrei voluto vedere sfilare centinaia di migliaia di musulmani e noi con loro. Qui come altrove. E simboli sul petto e non so cos’altro, per dire basta, questi con noi non c’entrano, c’entrano solo con la miseria (prima di tutto dello spirito) e il potere (non loro). 
Chiudo con una foto di Geert De Taeye, che dice io c’ero, ci posso trovare anche una forma di sospesa bellezza che mi riporta ad una Bruxelles occupata che per fortuna non ho visto, ma questo surrealismo non ci piace.
Una vignetta di Kamagurka che raffigura il Manneke Pis che se la fa addosso dalla paura
Francesca Grilli, artista
Ad una settimana dall’assedio dell’esercito in città, scrivo per trarre un po le conclusioni. Nei giorni dell’assedio ero a Bruxelles, c’era mia figlia, la mia famiglia e qualche amico italiano venuto per lavorare con me. Pur sapendo dell’allarme massimo, siamo usciti lo stesso, inizialmente ignari dello stato reale delle cose e perché di base, non voglio lasciare spazio alla strategia della paura.
 Di fatto la città aveva un altro volto. Sabato tarda mattinata la gente ha iniziato ad affrettarsi a rientrare in casa.
L’immagine era una grossa nuvola nera che si sedimenta sulla testa e oscura il cielo. E non ti fidi più di nessuno.
Quel giorno dovevo prendere un treno e di fatto alla Gare du Midi non ci sono mai arrivata. Sono stata ad osservare se era realtà o finzione. Ma, se accade, cosa accade esattamente e dove accade? 
Ad oggi non saprei dare una risposta. So che negli occhi delle persone la paura c era, ed era tanta.
Non so però, quanto questa città fosse assediata o diventata spazio scenico.
 La vita di tutti i giorni sta tornando. Speriamo che oggi, lunedì mattina, mia figlia non vada a scuola accompagnata dalla polizia.
Questo è il mio augurio. 
Nicola Setari
Nicola Setari, direttore di Janus
Amo Bruxelles perché nella sua bruttezza è piena di piacevoli sorprese e d’incontri inconcepibili altrove. A metà strada tra Parigi e Berlino, equidistante da Londra e Amsterdam, più in senso figurato che reale, tra surrealismo amministrativo e multi-culturalismo senza pretensioni, è una città piccola con una quantità di contrasti e contraddizioni che aiutano a tenere la mente vigile e lo spirito creativo alla ricerca di un senso più profondo delle cose. Vederla spegnersi, ritirarsi e impaurirsi come conseguenza dello stato di emergenza dell’ultima settimana è stata un’esperienza molto triste e deprimente. Ma ho l’impressione che il suo spirito di accoglienza, la sua cultura apolide sia più forte delle scelte sbagliate dei nostri governi (ancora bombe e guerre??) e di quei fanatici che approfittano della sua ospitalità per avere una base da cui scatenare il loro odio. E con questo non intendo mettere gli uni e gli altri sullo stesso piano, naturalmente, e sono anche consapevole che bisogna aiutare quelle popolazioni che cercano la pace e non la violenza. 
A Bruxelles mi sento a casa perché credo davvero che pur senza grandi musei d’arte, come quelli delle metropoli che la guardano con senso di superiorità, è la città di grandi artisti e scrittori, è la città dove si coltiva un rinascimento taciturno basato sul principio di non esclusione. L’arte qui deve fare i conti con tutto e tutti, e questo genera un senso della realtà, della bellezza e una ricerca della verità, lontani da ogni convenienza. 
È la città dove ho imparato a credere nell’Europa e penso che sia più urgente che mai che l’arte si assuma la responsabilità di aiutare a ricostruirla.

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