15 aprile 2016

VISIONI E PROSPETTIVE/4

 
di Benedetta Carpi de Resmini
A Milano è nata BASE. Parlano Daniela Cattaneo e Marcella Grandi

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Nella sede dell’ex Ansaldo, nel cuore del nuovo fashion district di Milano, incontriamo la mente creatrice della la casa di produzione (h), Daniela Cattaneo, con Marcella Grandi, executive producer della stessa società che da più di 15 anni è impegnata nel Marketing culturale. Un’azienda agile, dinamica e innovativa che grazie all’approccio multidisciplinare ha saputo distinguersi in un panorama, quello italiano, dove realtà, soprattutto a livello locale, nascono e crescono come associazioni con la voglia di fare qualcosa nel territorio, e poi però si scontrano con la cronica mancanza di fondi e una burocrazia sempre più farraginosa. Loro, invece, ce l’hanno fatta. 
Sei riuscita con una piccola,  grande impresa – h+, che fino a qualche anno fa si occupava solo di pubblicità – a dare alla luce importanti progetti, qual è la ricetta? 
Daniela Cattaneo: «La forza per portare avanti un progetto è sicuramente il grande entusiasmo e la curiosità. Non bisogna lasciarsi fermare dalla burocrazia o dagli ostacoli, ma cercare sempre di aggirarli. Io mi sono formata all’estero e quell’energia di credere che tutto sia possibile l’ho sicuramente ereditata dalla mia formazione.  L’elemento vincente di h+  è stato non scoraggiarsi mai. Abbiamo avviato progetti molto complessi per la città di Roma. Quando è iniziato Enel Contemporanea era difficile anche da immaginare! Siamo riusciti a far chiudere contratti tra pubblico e privato, quando relazioni pubblico-privato non esistevano, soprattutto nella Capitale. Credo che lavorare molto compatti sia un’altra arma vincente: mostrarci uniti con i nostri partner e nei confronti del Comune o delle istituzioni pubbliche ha prodotto sempre dei grandi risultati. Quando si è persa questa compattezza le cose hanno iniziato a non funzionare. Con il Comune di Milano negli ultimi anni siamo riusciti a fare molte cose, lavorando senza mai voler essere protagonisti e cercando di supportare e coadiuvare ogni parte coinvolta. Nel tempo abbiamo acquisito un know how molto forte soprattutto nel dialogo tra pubblico e privato». 
Hai iniziato con una casa di produzione hfilms realtà che affianca, ai canali tradizionali, nuove forme di comunicazione integrata, sfruttando la crescita dei nuovi media e nel 2009 ecco h+. Ci racconti come sono nate e il perché della scelta del nome (h)?
DC: «H è una lettera silenziosa che cambia il significato delle parole. Questa è sempre stata la nostra filosofia. Mi piace pensare di aver fatto da tramite tra le aziende e il mondo delle istituzioni aiutandole a dialogare senza mai voler essere protagonisti.  Per questo ho creato (h). Una realtà creativa e internazionale che fin dall’inizio ha cercato di anticipare temi e tendenze del mondo della comunicazione. Con un approccio interdisciplinare, cercando di raccogliere e intrecciare diversi linguaggi, siamo riusciti a dare alla luce grandi progetti. hfilms è nata nel 2001. Poi sono aumentate le varie divisioni dell’azienda tra cui h+.  Le cose migliori sono quelle che vengono fatte a piccoli passi mostrando come con il tuo lavoro le cose possono cambiare. Mi piace definirla una rivoluzione silenziosa, forse un po’ distante da quello che generalmente si vede fare nel nostro Paese».
Daniela Cattaneo
Aprendo il sito si intuisce anche il carattere stesso dell’azienda: la grafica e i dettagli dicono molto sull’approccio interdisciplinare tra cultura e impresa con cui si è contraddistinta negli anni. mantenendo comunque l’impronta “silenziosa” che costruisce grandi progetti, lontana dai riflettori. Così come la foto del team, lungi dall’essere la foto impostata delle grandi aziende, ci racconta molto dell’ambiente di lavoro.
Marcella Grandi: «Ho sempre creduto esclusivamente nel lavoro, il fatto che sia anche un ambiente piacevole in cui lavorare è un valore aggiunto, forse oggigiorno direi essenziale. Abbiamo appena aperto BASE (il 30 marzo in via Bergognone 34, Milano) e in questo caso c’è stata veramente una partecipazione attiva di tutto lo staff di h+, anche di chi non era direttamente coinvolto. Potrei dire che anche il luogo aiuta molto, siamo collocati in un loft più simile ad un’ambiente casalingo e familiare piuttosto che a quei freddi uffici con le scrivanie in serie. L’ambiente affina anche il tuo senso estetico, accresce anche l’intuito nel vedere se una cosa può funzionare o meno, perché il contesto credo sia fondamentale a veicolare meglio i contenuti, soprattutto per un’azienda che si occupa di comunicazione».
Avete seguito e visto nascere molte nuove avventure, quali sono state quelle più entusiasmanti e che vi rendono orgogliose?
MG: «Ovviamente se me lo chiedi adesso che abbiamo appena inaugurato BASE, ti rispondo  che è proprio questa l’avventura più entusiasmante. BASE non è solo uno nuovo spazio per questa città, ma è un contenitore con tante nuove potenzialità, un vero incubatore culturale. La vera sfida saranno le nuove proposte. Ovviamente non posso dimenticare Enel Contemporanea,  che è stato uno di quei progetti che inizialmente sembravano impossibili. Ricordo Big Bambù di Doug e Mike Starn, costruito nella piazza del MACRO Testaccio. Furono trasportati 7mila pali di bambù da Bali. Siamo riusciti a realizzare un progetto che sarebbe stato impossibile persino immaginare!». 
DC:  «Il mio progetto invece, quello di cui sono più orgogliosa, è vedere tutto lo staff di (h) riunito per il pranzo di Natale. La soddisfazione più grande è vedere tutto il gruppo insieme. Noi abbiamo dei rituali nostri, a pranzo ogni giorno c’è una cuoca, la “tata” della grande famiglia (h), che cucina per tutti.  Attorno a un lungo tavolone di legno, tante sedie, si può parlare di lavoro, ma in realtà si condividono idee. Ora nella nostra piccola grande azienda siamo circa 30 persone: posso dire che nel tempo siamo diventati un organismo unico. Ognuno di noi segue un singolo progetto, ma quel progetto diventa di tutti. Sentire quella passione, quel trasporto, credo che sia il più grande progetto che sia mai riuscita a realizzare».  

Marcella Grandi

Molti dei progetti che avete avviato hanno un legame stretto con l’arte contemporanea e negli ultimi tempi si parla sempre più frequentemente del connubio tra arte e impresa. Secondo voi per quale motivo un imprenditore dovrebbe sperimentare iniziative di contaminazione tra arte ed impresa e costruire legami con artisti ed organizzazioni culturali? 
DC: «Quando parliamo di arte direi che possiamo parlare di cultura in generale, non mi limiterei ad una classificazione così stretta. Credo che un aspetto fondamentale sia il cambiamento del welfare, il privato finalmente è entrato a lavorare sul pubblico. Ritengo che le aziende private debbano essere importanti per il proprio territorio, altrimenti le energie si esauriscono, con la stessa velocità con cui viene a mancare il riscontro del pubblico. Le aziende dovranno sempre di più investire sul territorio stesso. Cito l’esempio di un progetto di arte contemporanea fatto con UBS. Il grande gruppo bancario negli ultimi anni ha deciso di intraprendere un percorso con la città di Milano, simile a quello che aveva già realizzato in precedenza in città come Basilea o Londra, avviando una partnership con la Villa Reale. Hanno avviato con il pubblico un ampio progetto sul collezionismo, riaprendo finalmente le ali della Villa e aprendole a collezioni private che sono state donate alla GAM, con l’obiettivo di portare nuova luce e accendere l’attenzione su un gioiello storico, architettonico e culturale della città. Le aziende per mantenere elevato il proprio profilo hanno bisogno di lavorare sul territorio, dando così significato alle loro attività. L’impresa deve saper guardare alla società, costruire nuove modalità di relazione e instaurare un confronto con il pubblico, parlando tutti i linguaggi della contemporaneità. L’attenzione delle imprese si sta trasformando da globale a locale. C’è anche un grande ritorno di attenzione all’artigianalità, trasfondere nuova linfa in mestieri che spesso sono stati dimenticati, credo possa essere una carta vincente. A BASE avremmo intenzione di attivare un’accademia di Arti e mestieri!».
Parliamo meglio di BASE, già un punto di riferimento trasversale, multidisciplinare e attento ai linguaggi della contemporaneità. Da dove e con chi nasce il progetto? 
MG: «BASE è un progetto veramente di gruppo, in termini di gestione, di staff che si è costituito, ma anche di spazio. Gli spazi delle ex acciaierie Ansaldo hanno sempre avuto una vocazione culturale, ma mai realmente formalizzata con un progetto vero e proprio. Lo spazio era stato messo a bando dal Comune di Milano e noi abbiamo partecipato come associazione temporanea d’impresa: noi di h+ con Esterni, Arci Milano, Avanzi, Make a Cube, per la concessione di 6000 mq. Da lì abbiamo costituito un’impresa sociale con quattro quote paritarie. Ciascuna società ha mantenuto le proprie specificità».
DC: «Niccolò Bini di Esterni è stata la vera mente propulsiva di BASE, noi di h+ abbiamo cercato di dare struttura ai progetti. Pur essendo un SRL, le altre hanno infatti un carattere associativo, noi eravamo spesso quelli fuori dagli schemi, quelli che osavano di più.  Lavorando tutti insieme, abbiamo cercato di dar vita al concetto di città nella città, questo era un discorso che con linguaggi diversi legava tutte le realtà di BASE, l’obiettivo a cui tendiamo tutti quanti è questo, vorremmo arrivare a creare un simulatore di leggi per una nuova promozione culturale, vorremmo arrivare a capire come la cultura, dovrebbe essere strutturata diversamente. Siamo diversi tra di noi, ma è proprio questa particolarità che può essere la carta vincente».
Banco
Tra le idee per il futuro del BASE c’è anche quella di avviare residenze per artisti, come si svilupperà questo progetto? Che tipo di offerta intendete dare ai giovani artisti, una nuova Fabbrica del Vapore?
MG: «Non la definirei proprio una residenza d’artista. In realtà la definirei più una foresteria. Si chiama CASABASE  e apre il 15 di maggio, un modo di ripensare l’ospitalità creando l’atmosfera familiare di casa, vuole ospitare per la maggior parte del suo tempo persone che abbiano dei progetti che verranno realizzati a BASE o prevalentemente su Milano. Quindi progetti non esclusivamente legati alle arti visive ma progetti anche di start-up, di incubazione culturale, che intendano anche costruire una community nella quale integrarsi». 
DC: «Infatti costruiremo degli Atelier, che avranno un numero limitato e quando si tratta di progetti di arte contemporanea ci saranno gli artisti e il loro studio, mentre quando si tratta di progetti di artigianato ci saranno i falegnami con il loro laboratorio. L’idea principale è che comunque BASE rimanga un luogo di ricerca, quindi è importante che quando si avvia una residenza il progetto nasca insieme a questo luogo e alla fine ne rimanga un’eredità creativa, non esclusivamente qualcosa di materiale. CASABASE vuole essere anche un progetto di formazione». 
Ritornando all’azienda (h) e al percorso professionale di Daniela Cattaneo c’è stato qualche personaggio del mondo della cultura che ti ha ispirato e con cui ha condiviso maggiormente i suoi progetti?
DC: «(h) nasce con Luca Maroni un regista, un direttore creativo per le più grandi agenzie pubblicitarie ed è morto l’anno scorso, è con lui ho condiviso la nascita di (h). Traggo ispirazione anche dai dettagli, colgo un particolare per poi trasformarlo in qualcos’altro. Ricordo quando avviammo il progetto di Enel Contemporanea avevo appena visto un’installazione di Patrick Tuttofuoco e suggerii di fare un progetto con la luce e con Patrick e da lì, dato che Enel si stava quotando in borsa, lanciai la sfida di realizzare un progetto più ampio, un progetto di arte pubblica per la città di Roma». 
Benedetta Carpi de Resmini

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