25 aprile 2016

Piero per sempre. Anche se poco

 
La mostra in corso a Forlì scatena discussioni per le scarse opere dell’artista presenti. Ma anche consensi per la vastità del confronto critico e iconografico. L’abbiamo vista per voi

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Anche se in parte sorpassata la lettura della pittura di Piero della Francesca è stata sempre contrastante e contraddittoria e forse per questa ragione non dovevano mancare nella mostra di Forlì dedicata a Piero altre opere da mettere in parallelo. Da Focillon a Baxandall, da Ginzburg a Berenson e oggi da Sgarbi a Benati: le opinioni degli studiosi nel tempo hanno ammesso una volta per tutte almeno una cosa: l’impotenza della critica di fronte ad artisti come lui, una resa incondizionata per la storia dell’arte che è inevitabile riguardo l’impossibilità di imbrigliare il pittore nato a Sansepolcro (Arezzo) in qualche stretta camicia di forza classificatoria.
Impassibilità, eloquenza – non eloquenza, pittura della realtà, della purezza delle forme, pacatezza, esclusione di pathos e non esasperazione della gestualità…questi i luoghi comuni, a tratti veri su Piero. Ora è proprio la mostra di Forlì fino al 26 giugno nei Complesso di San Domenico a riaprire il caso con una vasta riflessione sulla sua mitografia. Si riattacca dunque con il dibattito mettendosi però su un pericoloso crinale poiché la sua figura da sempre accende gli animi con accanite discussioni metodologiche. La mostra, inoltre, con più di 250 opere ne espone solo 3 o 4 di Piero, e con l’ultimo rifiuto del direttore Peter Aufreiter della Galleria Nazionale delle Marche si aggrava l’ambiguità nel titolo che non si giustifica per via dello scarso numero di prestiti. Le ragioni di inamovibilità e conservazione delle opere sono ben note ed è per questo che a breve (il 13 maggio) iniziano i “Cammini di Piero della Francesca” a cura di Sgarbi. 
Piero della Francesca, San Girolamo e un devoto, 1440-1450 ca., tempera e resina su tavola. Gallerie dell’Accademia, Venezia
A Forlì però, incalza il comitato scientifico, la mostra è principalmente finalizzata a far rivivere nei secoli i bagliori del grande monarca della pittura. Con diversi spunti di riflessione infatti si conduce il visitatore, soprattutto quello più esperto, a ripensare Piero per un lungo arco temporale, dal ‘400 con Beato Angelico fino a Hopper e Balthus. La ricerca si muove sulla direzione della luce, delle forme, dell’impassibilità di fronte alla bellezza che da sempre connota la pittura di Piero.
Tra le opere pervenute: la Sant’Apollonia, una tavola a fondo oro che reca una evidente screpolatura rendendola ancora meno attraente (ma non agli occhi di Warhol che si ispira per realizzare un’opera), la Madonna con Bambino (dalla collezione Alana a Newark) accostata a San Gerolamo e la Madonna della Misericordia da Sansepolcro. La Madonna col Bambino giudicata una “crosta” è stato motivo di discussione accesa tra i critici: le notizie circolate sulla paternità non certificata di Piero non ha però recato dubbi sulla comprovata autorevolezza dello staff scientifico, ma solo sul battage pubblicitario.
Piero della Francesca, Madonna della Misericordia, 1445-1462, olio su tavola. Museo Civico, Sansepolcro
Tra influssi e riflessi, dubbi e conferme, l’eredità di Piero è comunque indagata a fondo. La data di nascita dell’artista resta tuttora incerta e si aggira tra 1415 e il 1420, ma non la sua morte nel 1492.  Nell’arco di questo tempo si svolge una parabola di grande storia dell’arte italiana ed europea che la mostra racconta a partire dall’influsso su Piero delle opere del suo maestro, Domenico Veneziano che lo inizia alla linea di luce fiamminga. Attraverso paralleli cronologicamente vicini e lontani, si mostra un Piero ancora come lo voleva Pacioli: “monarca della pittura”, e messo in confronto diretto con Melozzo da Forlì; si evidenzia Piero come pensiero cristiano incarnato su tela vicino al Beato Angelico; un Piero matematico accanto alle follie prospettiche di Paolo Uccello; Piero come il Van Eyck italiano; la luce, il realismo magico, Piero a Firenze e l’influsso sulla scuola romana. La mostra forlivense quindi tiene conto di tutto questo con un ricchissimo apparato iconografico. 
Lo “stupore lucido che ci sorprende” guardando Piero della Francesca è quanto mai evidente tra le sale del San Domenico, soprattutto tra ‘800 e ‘900, negli occhi di Donghi e Campigli (nella sua “morte a Venezia” dove è la luce opalina, lattea, pierfrancescana che Visconti troverà funzionale al suo cinema). Se il tema fondamentale resta la mitografia di Piero, il quale dal ‘400 in poi condiziona il percorso della pittura fino al XX secolo, l’obiettivo è perfettamente esemplificato già dalla prima sala nel parallelo audace e originale di Carrà con la sua figura fragile di donna e la muta Battista Sforza del Laurana. Il capolavoro di fronte al quale però si resta davvero con occhi stregati è lo scomparto centrale (del 1445) del Polittico della Misericordia, per quel manto che si schiude e accoglie i visitatori come un tempo i fedeli, che è una solenne simmetria architettonica, intrisa di regalità ed espressione di purezza geometrica. Teatrale nonostante l’assenza delle 12 figure di santi e la cimasa con la crocifissione che lo compongono.
Anna de Fazio Siciliano

In home page: Piero della Francesca:Santa Apollonia, 1454-69, Olio, tempera e oro su tavola,cm 38,7×28,3, National Gallery of Art, Washington
In alto: Beato Angelico, Imposizione del nome al Battista, tempera su tavola. Museo di San Marco, Firenze

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