02 maggio 2016

All’Ospedale vecchio di Parma “Street art” con “Cibus in Fabula”, anche per beneficenza. Tre domande al curatore e story teller Felice Limosani

 

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L’esplosivo Felice Limosani, story teller sui generis, l’ha presentata in maniera informale in occasione del Salone del Mobile di Milano, durante una serata-aperitivo. Ora però “Cibus in Fabula” ha aperto le porte all’Ospedale vecchio di Parma, nominata città creativa della gastronomia UNESCO. Di che si tratta? Di un progetto decisamente particolare, con opere dalle vaste dimensioni, firmate da 13 artisti tra cui Maser, Tasso, Agostino Iacurci, Boamistura, Bart Smeets e Nasty. Abbiamo chiesto al curatore di raccontarci il progetto, in attesa dell’asta charity.
Come story teller, e visto che la mostra di Street Art a Parma è legata anche al Fuori Salone del Cibo, come ci puoi spiegare le due discipline – arte e gusto – visto che oggi sembrano essere sempre più legate, anche se a volte in maniera decisamente arbitraria?
«È indubbio che la forma del cibo sia ormai sempre più vicina alla rappresentazione artistica. Il gioco della composizione estetica é diventato importante quanto e più del bilanciamento dei sapori di un piatto. Creare un piatto è oggi un lavoro sulle proporzioni e sul colore, una definizione geometrica che assomiglia alla logica razionale che precede una creazione artistica. Questa correlazione mi sembra culturalmente idonea mentre l’arbitrarietà talvolta sta nell’approccio iper estetico che tende a sminuire l’essenza stessa della cucina, la sua vena per così dire più libera, generosamente casuale e genuina».
Anche stavolta ti sei confrontato con un’impresa decisamente importante: primo perché gli artisti che curerai stanno lavorando su superfici di oltre 70 metri quadrati, ridando anche respiro all’identità della street art; secondo perché tutte queste opere saranno battute in un’asta di beneficenza e forse non sarà facilissimo piazzarle. Che cosa ti attrae di queste sfide?
«Prima che piazzare le tele, volevo piazzare un’idea con una superficie che andasse ben oltre i 70 metri quadrati. La prima sfida vittoriosa è stata quella del coinvolgimento attorno alla ibridazione della street art con quella della video art. Ho ideato un epicentro concettuale intorno al quale si è instaurato un dialogo autentico e consenziente con gli street artist. Assieme abbiamo scritto una storia corale densa di significati e prismatica nella rappresentazione. Il tema infatti non è il food come “prodotto” ma come una riflessione che sottolinea eccessi e paradossi a cui oggi è legato. Per il resto aspettiamo che siano gli eventi a rispondere. Di certo l’impatto monumentale e mozzafiato della mostra allestita all’Ospedale Vecchio, stimolerà le migliaia di visitatori internazionali che arriveranno a Parma per Cibus a sostenere la causa».
Mi hai parlato della tua visione di arte come “innesco” per attivare connessioni, e in questo caso anche spazi, visto che per la prima volta sarà coinvolto l’Ospedale Vecchio di Parma in un progetto legato all’arte contemporanea. Ci racconti come è nata questa nuova avventura e se seguiranno altre “puntate” magari in altre città italiane, e non legate per forza al “food”?
«Chi mi conosce, sa che ho fatto dell’indecifrabile il mio innesco artistico. Ancora oggi con mia grande sorpresa, alcuni tentano (senza riuscirci) di collocarmi e altri di contenermi. Trovo questo approccio imbrigliato nei vecchi paradigmi. Oggi più che mai l’arte raccoglie segni e ispirazioni interdisciplinari e a sua volta li assimila e li ridistribuisce in svariate forme, manifestazioni e suggestioni. Contaminazione è la password del nostro tempo, la chiave di volta di un universo creativo i cui contorni non sono definiti ma si nutrono di osmosi e scambi vicendevoli. Non a caso brand culturalmente evolute come Audi, oggi comunicano utilizzando l’hashtag #untaggable inteso come un valore aggiunto. Con loro sto progettando nuove esperienze ispirate alla luce, tra innovazione del linguaggio e emozione del messaggio».

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