04 maggio 2016

Mordere la Grande Mela/3. Primo giro a Chelsea, tra mostre da non perdere, da Polke a Ryman passando per Tracey Emin. Aspettando gli altri grandi opening

 

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La ricchissima Chesea, nel preludio di Frieze, festeggerà con un opening collettivo di tutte le gallerie il prossimo sabato, 7 maggio, ma sono già parecchie le istituzioni che dalla 18esima strada ovest alla 25esima e oltre, sfoderano i loro cavalli di battaglia per questa art week di maggio. Iniziamo dalla 22esima, con la splendida mostra di Susie Macmurray, vive e lavora a Manchester, da Danese Corey. Il nome di questa artista forse dirà poco al pubblico italiano, ma i rimandi ad alcune poetiche che ci hanno insegnato personaggi come Mona Hatoum o Cildo Meireles, è evidente: arbusti di filo spinato o pareti di proiettili in resina trasparente, o il masterpiece Medusa and Pandora, scultura realizzata con una serie di anelli concatenati a raccontare questioni di gender, scommesse e conflitti. Una mostra forte, con un bell’allestimento, mentre è assolutamente impalpabile Felix Gonzalez-Torres da Andrea Rosen, con una serie di “Ritratti” che altro non sono che nomi associati a date, di fatti pubblici o privati, che hanno condizionato la vita dell’artista. E qui, c’è anche un curatore d’eccezione: l’artista Roni Horn, con Julie Ault.
Lisson Gallery si prepara invece alla consacrazione di Carmen Herrera, che avrà una retrospettiva al Whitney dal prossimo settembre: la pittrice centenaria, nata a La Habana, presenta qui i suoi ultimi lavori dal taglio sempre, e assolutamente, astratto-geometrico-minimalisti.
Da Skarstedt, 550 West 21th Street, c’è invece il grande Mike Kelley con una serie di lavori pittorici, assolutamente intrisi dell’anima “punk” dell’artista scomparso a Chicago nel 2012, datati alla metà degli anni ’90 e dedicati a uno dei suoi temi più conosciuti: quello dell’educazione come abuso di potere, costrizione. 
Passate poi da Lehmann Maupin e scoprite ancora una volta la “vecchia” Tracey Emin, stavolta in veste di pittrice delle sue donne di “Egon Schiele style” (sopra un particolare) ma attraverso patchwork di tessuti e ricami; meno convincenti, invece, le sculture.
Da non perdere Robert Ryman nella nuova sede del Dia:Chelsea; opere che vanno dagli anni ’60 alla metà degli anni ’80, in un crescendo di bianco e forme, e dulcis in fundo (ma solo per ora) il top: Sigmar Polke, con “Eine Winterreise” da David Zwirner. Qui due piani di pittura incredibile (in home page), in una vera e propria retrospettiva che fa del colore e della ricerca, nel vero senso di sperimentazione di materiali, il filo conduttore che riporta anche ai viaggi dell’artista, alla sua passione per i temi dell’universo, per paesaggi onirici, per una esplorazione fisica e psicologica. Un’altra bella mostra che si aggiunge al curriculum di Vicente Todolì, il curatore. Aggiornamenti in corso. 

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