19 luglio 2017

Quanto vale la nostra intimità?

 
Pensate allo spazio. Non al cosmo, ma il micro-cosmo: quello dove vivete, uno uguale all'altro. Oggi un gruppo di giovanissimi architetti tenta di aprire gli occhi sul suo valore, oltre che sui simboli

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Leggendo l’introduzione della mostra “Ambienti di Resistenza per individui sociali” di Fosbury Architects, che apre stasera a Milano alla Galleria Amy-d Arte, a cura di Anna D’Ambrosio, non si può che restare da un lato allibiti, e da un lato toccati dalla puntualità di questa affermazione: “Mentre l’abitazione diventa sempre più un luogo di lavoro ed uno strumento di sussistenza, la domesticità invade ogni campo dell’attività umana producendo un’inedita estetica, uno sterile paesaggio globale dominato da piante grasse, candele profumate, chitarre acustiche, poltrone vintage, birre artigianali, pane di segale e club sandwich all’avocado”.
Che ci vedete dentro? Foto postate e ripostate su instagram, nauseanti quasi quanto quelle dedicate a pranzi, cene e cucina molecolare, così come patetiche risultavano quelle – per fortuna un poco passate di moda – con la bocca a cuore.
Ma torniamo alla casa, anche se poi si tratta dello stesso rovescio della medaglia: “Nel bilancio tra valore e costo, tutto lo spazio non strettamente necessario a performare l’attività umana è una perdita economica se non messa a rendita”, si legge nel testo. E allora si affittano stanze, divani, letti, per pagare altro e per sopravvivere ai costi della società. 
Perché un uomo, dati un bagno, un letto e un computer, non ha più bisogno di altro: niente spazi per gli amici (si incontrano su facebook); niente grande schermo (c’è Netflix); niente sesso o tanto sesso (c’è Youporn).
Ma davvero tutto è così tragicamente appiattito? Davvero il nostro spazio intimo è stato spersonalizzato e ridotto all’osso come soluzione di reddito? In questo scenario dai contorni distopici il collettivo di giovani architetti Fosbury (sede a Milano e Rotterdam), ha ideato appunto una serie di “Ambienti di resistenza” che possano offrire la possibilità di riconquistare una dimensione antropocentrica e autenticamente privata, dove il termine “privato” è esemplificativo nel senso di “deprivata” della presenza pubblica, quella maledetta accezione “social” che ci hanno insegnato, preludendo i tempi, le riviste di design e architettura in carta patinata e appartamenti super moderni, anticipati – su tutti – dal celebre collage di Richard Hamilton Just What Is It That Makes Today’s Homes So Different, So Appealing? del 1956.
Recentemente invitati alla Biennale di Chicago 2017, “Make New History”, i Fosbury mettono in scena a Milano, tra le altre, anche 100 cartoline intitolate Greetings from Anywhere, 100 immagini di 100 case in 100 città del Mondo su AirBnb, che raccontano di come lo spazio domestico si vada omogeneizzando su scala globale. E non è questione di fluidità, almeno stavolta. (MB)

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