22 luglio 2017

Modernissimo, stilosissimo Armando Testa

 
Da oggi al MART di Rovereto centocinquanta tra video, pubblicità, bozzetti, video, dipinti, tra cui le opere portate avanti in parallelo all'attività professionale, dell'evergreen dei pubblicitari -e designer- che hanno fatto la storia dello stile italiano

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La scultura dell’uno e mezzo, anzi del “punt e mes”, la trovate da un po’ di tempo anche davanti alla stazione di Porta Susa a Torino. Difficile interpretarla, per chi non conosca un po’ la storia italiana della società del “boom” e dei consumi, eppure si tratta del compendio visibile di un’epoca. Forse un po’ di quel che ne è rimasto. La forma? Era stata ideata dal grande Armando Testa nel 1960, diventando il celeberrimo logo di un liquore torinese – il Punt e Mes della Carpano – icona di quegli anni. 
Ma chi era Armando Testa? Torinese di nascita, classe 1917, fu apprendista tipografo, appassionato d’arte moderna e contemporanea grazie all’amicizia con il pittore Ezio D’Errico, aviere fotografo durante la guerra e poi “piccolo grafico” che iniziò a lavorare, alla fine degli anni ’40, per importanti aziende come Martini & Rossi, Carpano appunto, Borsalino e Pirelli. 
Da qui in poi, la storia, è universale: tra gli anni ’50 e ’60 dallo studio Testa – viene da dire in un gioco di parole “dalla testa di Testa” – uscirono personaggi, immagini e campagne che hanno fatto la storia d’Italia, l’ilarità dei bambini che guardavano Carosello prima di andare a letto, la “realizzazione morale” delle mamme e delle mogli “moderne” che hanno potuto preparare con la moka il caffè Paulista reclamizzato da Caballero & Carmencita, in bianco e nero, o “vestire” i propri pargoli con i pannoloni Lines così morbidi e simpatici che l’ippopotamo blu che li indossava è diventato uno di famiglia.
Eccolo il potere occulto, diabolico e allo stesso tempo meravigliosamente ammaliante della pubblicità, studiato da Gillo Dorfles, Roland Barthes, Vance Packard e mille altri sociologi, filosofi, pensatori dell’estetica contemporanea. Ma ecco, anche, che qui la pubblicità lascia posto al genio, al design, alla forma perfetta della comunicazione, dello slogan. Aprendo la strada a quel che oggi ci appare scontato, e senza stile, che invece all’epoca scontato non lo era, ma stile ne aveva da vendere. 
Sarà per quello che ancora oggi, a distanza di cinquant’anni e passa, gli “ismi” di Testa sono contemporanei e non più solo “modernismi”, e la frase che uscì dallo studio – riportata in una mostra con l’io narrante del grande pubblicitario – dopo aver perso un cliente a causa di una proposta troppo azzardata, ovvero «Il Testa qualche volta ha delle cose azzeccate negli “ismi”, qualche volta però sarà bene guardare di più il marketing!», oggi risuona antica come tutte le frenate contro i geniali “producer” dello stile italiano. 
Quello stile che, Germano Celant, definì nel 1993 in gradi di mantenere “Un sottofondo metafisico rispetto alle esigenze commerciali”. Sarà per questo che Testa è sempre modernissimo. (MB)

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