17 settembre 2017

Elmgreen & Dragset giocano con la censura. Alla Biennale di Istanbul la politica c’è ma non si vede

 

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La Biennale di Istanbul ha appena aperto le porte, eppure, raccogliendo impressioni e commenti, sembra esserci una grande assente, la politica. Niente episodi clamorosi, nessuna voce troppo alta e, in effetti, c’era da aspettarselo, lo scrivemmo già qui, visto che Elmgreen & Dragset, i curatori di questa quindicesima edizione, hanno scelto di affrontare la questione giocando di fino, rimanendo nella metafora, con quel pizzico di ironia dissacrante che caratterizza le loro operazioni. Il good neighbour, il buon vicino, tema scelto dal duo, è un sottile gioco di allusioni e sono i curatori a fornirne la chiave di lettura: «Una reazione troppo diretta dell’arte, spesso non ottiene grandi risultati in campo politico. Può anche trattarsi di buona arte ma spesso è pessima politica. L’arte deve comportarsi in modo diverso, rispetto ai media, non può usare lo stesso linguaggio semplificato e populista». L’invito è rivolto a immaginare nuovi approcci, evitando prese di posizione magniloquenti, facilmente etichettabili. La Biennale è quasi interamente finanziata dall’omonima fondazione privata e solo il 6% dei fondi provengono dal Ministero del Turismo e della Cultura ma in Turchia, oggi, la censura è forte e ha ampi margini d’azione. Eppure la cura Elmgreen & Dragset ha dato i suoi frutti, perché non si è verificata alcuna ingerenza, hanno rivelato i curatori. Opere evidentemente politiche sono state presentate, come il grande murale di Latifa Echakhch, che ricorda le proteste di Gezi Park del 2013, oppure il video del curdo Erkan Ozgen, che racconta la storia di un ragazzo siriano. E l’argomento della diversità di genere, nervo scoperto della società turca, è apertamente celebrato nello statement della Biennale e nel programma pubblico. E se siamo qui a raccontarlo, dovrà significare qualcosa. 
«Ovviamente tutti noi ci siamo autocensurati» ha ammesso Gözde Ilkin, che però non vuol dire ridursi al silenzio, considerando che «ciò che succede in Turchia è qui, solo che non appare in maniera così ovvia», ha specificato. Le opere che ha presentato sono quadri di tessuti coloratissimi, rammendati a comporre scene di famiglia. La vicenda è intricata, da un lato l’azione della censura, che con ogni probabilità sarebbe intervenuta a condizionare il programma della manifestazione, dall’altro la necessità di sperimentare nuovi linguaggi di resistenza, trovare altri modi di espressione in grado di annullare l’effetto degli strumenti di controllo. Una esigenza che forse è sentita anche al di fuori della Turchia, nel democratico sistema occidentale. (MFS)

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