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Nan Goldin arriva a Milano con la sua The ballad of sexual dependency, ovvero 45 minuti in slideshow di un progetto iniziato nel 1979 e portato avanti per molti anni ancora, fino al 2008, data che ne decreta il termine. Nan Goldin, nata a Washington nel 1953, è sempre stata descritta come una bad girl, nel corso della sua lunga carriera. In fin dei conti, nelle fotografie scattate alla sua famiglia “d’animo”, ha raccontato il sesso e la droga, nulla di più di «quel mondo così vario e strano di cui è stupefacente la realtà stessa». Ostacolata dai suoi colleghi uomini proprio a causa di questa libertà, la Goldin, intervenuta alla Triennale di Milano per la presentazione della mostra, a cura di François Hébel e visitabile fino al 26 novembre, ha preferito abbassare i toni, ricordando: «io sono molto trasparente. Sono esattamente come fingo di essere». E non c’è nulla di più universale e meno trasgressivo di amori, botte e figli che nascono, di un attaccamento alla vita come necessità di esperienza. Ecco, la sensazione che questa ballata trasmette è quella del ricordo di un tempo passato, come una proiezione alla celeberrima discoteca Plastic che, nel frattempo, a trent’anni dall’ultimo ricordo che l’artista ha di Milano, ha cambiato sede. Che la ballata struggente, dolce e amara inizi, ancora una volta.
In alto: Nan Goldin, Nan and Brian in Bed, New York City, 1983. The Museum of Modern Art, New York. Acquired through the generosity of Jon L. Stryker. © 2016 Nan Goldin