21 ottobre 2017

Fiac & co/8. La Monnaie tutta al femminile, con Valie Export e Louise Bourgeois

 

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Siamo alla Monnaie de Paris, la zecca nazionale e la più antica istituzione francese ancora in attività, nei cui spazi spesso sono allestite mostre di un certo spessore – tra le ultime, una monografica su Maurizio Cattelan chiusa a gennaio 2017 – e in collaborazione con importanti istituzioni dell’arte contemporanea, come il Centre Pompidou. Per la settimana di Fiac, Camille Morineau e Lucia Pesapane, rispettivamente direttore delle collezioni e curatore della Monnaie, presentano “Women House”, una mostra tutta declinata al femminile. Assecondando il tipico piglio storiografico francese, si inizia con una timeline che mette subito le cose in chiaro, la mostra è apertamente politica e non c’è spazio per equivoci, lo si capisce dalla prima data indicata, quel 1890 in cui venne rilasciata la prima laurea di architettura in Europa. E anche polemica, visto che un’altra data segnata è il 2005, quando Annette Messager rappresentò la Francia alla 51ma Biennale d’Arte di Venezia, prima donna chiamata a ricoprire questo ruolo. Sempre la timeline riporta anche il 1972, anno in cui Judy Chicago e Miriam Schapiro organizzarono “Womanhouse”, mostra diventata manifesto di genere e dalla quale parte anche questa collettiva, che riprende le fila del discorso e offre uno spaccato il più esauriente possibile dell’arte femminista. Si parte con lavori radicali, come quelli di Valie Export e Martha Rosler, che hanno lavorato alla disgregazione dell’immagine della donna come angelo del focolare, con azioni di forte impatto. Molto spesso sono fotografie e collage che associano le membra al consumismo, come per The Birth Madonna, ritratto realizzato nel 1976 da Valie Export, in cui il suo ventre è una lavatrice che sembra partorire un panno rosso, oppure per Housewives-Kitchen Apron, in cui il corpo di Birgt Jürgenssen è ibridato a una cucina. Quello del confine tra corpo e casa, il limite tra spazio fisico e psicologico, è un tema molto sentito e ritorna tra le varie sezioni in cui è divisa la mostra, come nei plastici di Penny Slinger e nelle fotografie di contesti domestici tra incubo e gioco di Laurie Simmons. La casa non è solo rappresentata ma anche installata, costruita, come la Triplice Tenda, lavoro di Carla Accardi, del 1969-71, che fa parte della collezione del Centre Pompidou ed è tra i pezzi più significativi della mostra, oppure per l’ambiente a scatole cinesi di Ana Vieira. L’esposizione si chiude in grande stile, con un ragno del 1994 di Louise Bourgeois che occupa tutto il salone d’onore, dove solitamente inizia il percorso. 
Una mostra ben curata, schierata e di immediata lettura, che parla di emancipazione e di uguaglianza. Chissà se i grembiuli da cucina in vendita al bookshop sono unisex.

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