16 febbraio 2018

Contropelo Ancora sul Macro?

 
La maam di tutti i falsi macri…
di Francesco Cascino

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Essendo assolutamente in linea con le ottime considerazioni di colleghi e amici che hanno scritto di questa vicenda su Exibart e sui social, in relazione al destino e agli obiettivi generali di un museo comunale, ai criteri di scelta di curatori pagati con denaro pubblico e di utilità di luoghi specifici per la sintesi del pensiero contemporaneo più alto, posso saltare ogni premessa e sottolineare due o tre cose che invece non sono state evidenziate circa la vicenda della nomina di Giorgio De Finis a Direttore del MACRO di Roma e alla sua scelta di trasformarlo in un luogo aperto a chiunque voglia dare corpo alla sua espressività senza più filtri di selezione della qualità. Lo ha chiamato MACRO Asilo. Una cosa pericolosissima per la perdita certa dell’ennesimo contesto in cui si ragiona con la città e col mondo delle eccellenze che da sempre ne nutrono l’evoluzione. Chissà dove andremo a cercarle a Roma.
Ma entriamo nel merito. 
Intanto i soldi in dotazione dal Comune non sono uno scandalo, semmai sono pochissimi: chi li attacca per questo motivo sbaglia. Un museo di Roma meriterebbe almeno la dotazione del Prado di Madrid (24 milioni di euro annui) e non l’elemosina buona solo per la campagna elettorale populista di Bergamo e dei 5Stelle. I miseri 800mila elargiti senza prima mappare il territorio italiano, come farebbe qualunque buon dirigente pubblico, per chiedere alle aziende quanta responsabilità culturale avrebbero potuto mostrare di avere finanziando il museo, sono l’ennesima dimostrazione di quanto povere siano le visioni dei followers di Grillo & Casaleggio. Bastava chiedere un semplice incontro ma ovviamente, senza un progetto vero, nessuna azienda seria si cimenta neanche in un tè nel deserto, questo lo sanno anche i disoccupati organizzati e le oche del Campidoglio. 
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MACRO, Museo d’arte contemporanea di Roma
Il tema vero semmai è quanto producono questi soldi e quanta gente salviamo dall’indigenza dilagante attraverso uno dei motori economici che più funzionano nel mondo evoluto. Certo queste considerazioni complesse le fanno i leader, non i followers. 
Inoltre, quando si sceglie un leader per guidare situazioni complesse, lo si sceglie sulla scorta dei risultati conseguiti e non sull’empatia o sulla comune frequentazione delle scuole medie con l’assessore alla cultura. Ve le ricordate le urla dei grillini contro i raccomandati di Destra e Sinistra a favore della meritocrazia? Gente che va in Parlamento con 140 voti raccattati in rete ne saprà di merito e risultati, no? 
La complessità di un museo, i suoi obiettivi extra artistici soprattutto, sono tali da dover indirizzare la scelta del leader verso personalità che abbiano superato il tema dell’arte per l’arte e abbiano finalmente capito che la sezione aurea dei dispositivi, concettuali o meno, produce sviluppo concreto, visione evolutiva e, soprattutto, occasioni di fertilità professionale, artigianale, industriale e persino amministrativa che in Albania producono 17 punti di PIL. Tutto questo a condizione che la squadra che ci lavora, che va dal leader stesso fino al territorio globale passando per il quartiere, le associazioni, i cittadini comuni, i curatori, gli artisti e le istituzioni (questa è partecipazione, non la frustrazione dell’espressività massimalista e del confronto dilettantesco che invece si può serenamente organizzare nei parchi e nelle piazze della città…), sia capace di progettare intercettando bisogni reali e costruendo risposte intelligenti di lunga durata. Si chiama visione strategica, lo fanno da sempre solo gli artisti e i curatori di alta qualità. E non chiedetemi come si misura la qualità perché allora vuol dire che non sapete cosa sia l’arte e come agisca sui neuroni. Potete studiare, in compenso, non è difficile e basta poco. 
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Big Rocket – il razzo per andare sulla luna Foto Luca Ventura
Nelle operazioni serie di arte pubblica come Opera Viva, curata da Christian Caliandro a Taranto e a Torino (titolo usato anni dopo da un blogzine di rivoluzionari – stile Veltroni eh, non Che Guevara – che però non c’entra niente con il progetto di cui parliamo) Alessandro Bulgini ha prodotto nuove occasioni di rinascita per ragazzi lasciati al proprio destino, diseredati dalla nascita ed esclusi dalla società cosiddetta bene, quella che avvelena l’anima e consente che si avveleni anche il corpo purché si guadagni per se stessi. Rinascita non vuol dire solo nuovo lavoro (perché con la reinterpretazione dei simboli collettivi si possono anche produrre nuovi oggetti per il mercato, stavolta intelligenti, come fa anche Angelo Bellobono in Abruzzo e in Marocco) ma vuol dire soprattutto nuova identità, nuova dignità, nuovo presente, nuove occasioni di riflessione su se stessi e la società, non vuol dire solo reddito, che già non è poco. Concetti astratti che solo l’arte sa formalizzare e rendere visibili, tangibili, immortali. 
Chi poi deve trasformare questi esempi in pratiche urbane e museali che superino le mere capacità espositive, e lo deve fare con i soldi pubblici, dovrà essere scelto con un bando pubblico tra coloro i quali abbiano prodotto questo tipo di risultati sociali: nei contesti evoluti nessuno guarda più il curriculum, si guarda invece il track record delle persone, cioè quelle tracce tangibili di creazione di valore. 
De Finis ha inventato il MAAM, una straordinaria esperienza di esproprio proletario di una vecchia fabbrica al Prenestino messa a disposizione di chiunque avesse voglia di esprimersi con l’arte. Ma avete mai visto il Prenestino rinascere? I bambini che giocano nel degrado assoluto al MAAM sono attrattivi e ci fanno sentire fortunati, mi rendo conto, ma sono felici? Forse sì, chi lo nega, ma certo le condizioni di vita sono di degrado totale. Poi loro sono felici così, forse, ma non è merito del MAAM che li mostra come fossimo al circo. Perché questa è la percezione della Roma bene quando organizza le gite in periferia. E tutti fanno finta che non sia così. Non vanno a imparare la vita da chi sopravvive tutti i giorni, vanno invece a imparare come non finire in quelle condizioni pur sapendo fare la decima parte di quello che sanno fare i poveri e gli zingari, abituati alla libertà e alla sopravvivenza…Solo che tutto quel know how, al MAAM non si vede, non viene estratto e reso pubblico proprio perché non ci sono le competenze per farlo. A quel tipo di rivoluzionario interessa la lotta di classe, la rivalsa fine a se stessa, non le pari opportunità nella diversità, che sono cosa ben diversa e, soprattutto, molto più produttiva e intelligente perché ognuno ha un ruolo e la società progredisce con le eccellenze di ognuno messe insieme armonicamente. 
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MAAM, Roma
Insomma non c’è nessuna democrazia se si scelgono leader che in realtà seguono i trend, che siano di massa o di nicchia, per salire sul podio degli strilloni. Se poi i leader sono pagati con denaro pubblico, allora sono anche tenuti a non fare i permalosi e a dialogare, PRIMA E DOPO, con gli operatori dal track record positivo e con tutti gli operatori qualificati della città. Qualcuno ha chiamato Carlo Infante che, da 40 anni, si occupa di formazione situazionista errante e conosce i quartieri di Roma come nessun altro, per esempio? No, gli avrebbe fatto troppa ombra. Non parlo perciò solo di critici e curatori di moda che non hanno nessuna cognizione di come l’arte si faccia strumento e non fine ultimo, e diventi la leva di sviluppo sociale che è sempre stata. Quelli li lascio ai followers romani e italiani che temono la caduta degli dei, gli unici che tengono in vita il sistema di raccomandati che va dalla GNAM fino alla Pelanda, soubrette inutili e dannose che trasformano l’arte in un passatempo per salotti romani inamidati sopra le rughe. Parlo di chi per strada ci vive sul serio, degli artisti, dei change makers e dei curatori che prima interrogano se stessi e la gente quando realizzano sessioni di education o interventi nelle periferie del mondo, non vanno a dipingere ridicoli lupi sui palazzi tanto per indorare gabbia e pillola. Parlo di chi, come noi di ARTEPRIMA, nel 2014 ha proposto il modello partecipativo per eccellenza come modalità di azione della Consulta, cosa che avrebbe generato un organismo autorevole invece dell’ameba autoreferenziale che è stata in mano a quattro vuoti affabulatori senza bussola per le strategie né amore per il bene comune, poi avrebbe aperto un dialogo vero con la città e, infine, avrebbe impedito questi soprusi fascisti come quello del MACRO di questi giorni, costretto a passare da luogo di analisi, selezione e accoglienza dell’intelligenza ad asilo per senzatesta… 
Perché bisogna avere esperienza di gestione dei fenomeni complessi ed essere generosi, avere empatia per il prossimo e visioni aperte sul mondo e sugli esclusi, conoscere i meccanismi di produzione del valore e averli messi in opera… Giorgio De Finis non è in malafede. Semplicemente non regge il colpo, come la maggioranza degli estremisti che col potere hanno un rapporto di amore e odio. E di menzogna verso se stessi. Per quello ha paura del confronto; sa perfettamente di non avere argomenti di fronte alla richiesta di track record positivo. 
Come ai tempi della Consulta, siamo stati messi in minoranza da una maggioranza che rappresenta a malapena il pensiero basico del suo condominio. Peccato, perché gli investitori seri parlano solo con chi ha il track record, con chi non ha paura delle Olimpiadi e neanche del confronto con i grandi problemi, per esempio con le periferie dove il tasso di intelligenza emotiva è molto più alto di quello dei famigerati, degradanti e obsoleti salotti romani ma bisogna saperne fare tesoro e condividerlo con chi nelle periferie ci vive. L’arte partecipata e inclusiva porta in emersione i talenti e le potenzialità, solo che bisogna sapere come si fa. 
La finta dieta antipolitica di Mario Monti o quella dei Masaniello, data in pasto a chi non capisce la complessità del mondo, che invece nutre esclusivamente la visione dei comici e dei grilli parlanti, da sempre genera solo falsi macri. 
Francesco Cascino 
Contemporary Art Consultant 
Presidente ARTEPRIMA nonprofit 

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