03 aprile 2018

Trump in cella, nel suo albergo

 

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Il collettivo Indecline, in questo week end di Pasqua, ha messo in scena la loro più audace prova di arte acrobatica, costruendo una cella di prigionia per il presidente degli Stati Uniti Donald Trump all’interno di una suite del suo Trump International Hotel and Tower, a New York. La cella conteneva un imitatore di Trump ammanettato e diversi ratti vivi, ed era pieno di involucri di cibo di McDonald’s, una copia in brossura del libro Trump The Art of the Deal del 1987 e una foto di Vladimir Putin a torso nudo, coperto con una nota d’amore e rossetto. 
Il gruppo, che ha firmato anche una serie di cinque statue di Trump nudo apparse in cinque città americane nel 2016 e un finto cimitero installato sul terreno del Trump National Golf Club a Bedminster, nel New Jersey, spiega che il lavoro è stato ispirato dal “probabile destino di Trump”.
Il gruppo ha costruito la maggior parte dell’installazione, chiamata The People’s Prison, finanziato in parte attraverso la vendita di una delle loro sculture, in un magazzino di Brooklyn, e trasportato nell’hotel di Manhattan in valigie. 
Un video che documenta l’azione mostra il personale dell’hotel che aiuta a portare i bagagli nella stanza, dove membri mascherati di Indecline svuotano il salotto di mobili, tappezzano le pareti per farle sembrare cemento e installano la gabbia. Il gruppo ha invitato un piccolissimo gruppo di giornalisti venerdì sera, prima di smantellare il lavoro e di uscire dall’hotel sabato, dopo 24 ore.
Seduto sotto un lampadario di cristallo all’interno della cella e indossando un cappello rosso con il celebre claim “Make America Great Again”, l’attore che impersonava Trump dichiarava anche, fino allo spasimo, i celebri tweet del Presidente: “Non perdo mai”; “Non sono mai stato colluso con la Russia” e anche “È bello che i giornalisti siano donne – ci piace”. Dietro in finto Trump, una foto incorniciata con un testo rosso che diceva: “I ratti mangeranno qualunque cosa, persino il loro re dei topi”.
Appese alle pareti che circondavano la cella c’erano una serie di bandiere americane dipinte da altri artisti come Ann Lewis, Molly Crabapple e Gabe Larson, con ritratti di personaggi attivisti tra cui Malcolm X, Edward Snowden e Angela Davis: i “maggiori rivoluzionari americani, combattenti contro la tirannia e persone come Trump”, dice un portavoce del collettivo. Quel che sfugge è il senso di fare un lavoro “polemico” in una stanza d’albergo ad appannaggio di poche persone, e pagando addirittura il conto. A Trump. Che si farà una bella risata. 

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