07 maggio 2018

I passi di Berlino

 
Diario di un artista in occasione dell’ultimo “art week end” della Capitale tedesca. Dove le scelte non sono scontate ma le app un po’ sbagliate, quelle sì…

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Partendo dal giorno nel quale arrivavo a Berlino, il 25 aprile scorso, ho compiuto 66mila e 500 passi: naturalmente non li ho contati veramente, lo so per via della app che li registra nel telefono.
Sono i passi fatti su e giù per i locali della bella sede di telecomGermania dove si teneva Paper Position, fiera che aveva per tema la carta: opere su carta, opere di carta, opere con la carta, alla quale partecipavo anche io, manco a dirlo, con le “Parole” una serie particolare di lavori…su carta.
Sono soprattutto i passi fatti in lungo e in largo per Berlino nel corso della scorsa weekend gallery. Mettiamoci anche quelli che mi hanno dato intimamente più gusto, un gusto strano e dolciastro, di caramelle rubate da bambino, d’impresa da piccolo capolavoro segreto, fatto di musica techno, cocktail mai tai (e sono quasi astemio!), casse dritte, macchine del fumo e ballo smodato nella mecca mondiale dei club: il Berghain. 
Irripetibile tremore alle ginocchia, causa selezione insindacabile e radicale all’entrata, operata indistintamente da basilischi/sfingi/buttafuori. Arrivavo in questa enorme ex acciaieria, come risultato della fuga da una festa post-vernissage nelle gallerie sulla Potsdamer strasse. Il club che ospitava la scena dell’arte emergente, era pieno di bella gente, giovani artisti, studenti, facce sorridenti, ma assolutamente infestato da musica happy-pop-reggaeton, perciò dopo un’ora di Shakira, Despacito, danza kuduro e maracaibate affini, con le lacrime agli occhi dal fumo e dal pianto, ho dirottato un taxi verso il suddetto paradiso dell’elettronica e tanti saluti alle dopo inaugurazioni…in dissolvenza.
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Mariana Castillo Deball Petate, Petate, Turquesa, Icosahedron 2018 Photo: Nick Ash

E ancora app…io ho sbagliato tutto con le app: un amico artista che lavora per una gran bella galleria e che vive da 3 anni nella Capitale tedesca, racconta che ha passato un anno con tinder in fiamme…ora ha ripreso a produrre opere e si sta riavvicinando alla sua ricerca, ma assicura che quello è stato per lui un periodo a dir poco felice. Io invece ho la app delle biciclette pubbliche, quelle che pedali pedali e giri sempre a vuoto, pesantissime, con le ruote piene, che vengono superate da ogni tipo sfrecciante di trasporto su ruota gommata, ovviamente guidato anche dal più ciondolante biondo berlinese. A parere dell’infelice applicazione di biciclette il mio complessivo spostamento ciclistico ha coperto una distanza di 21 chilometri.
6 i biglietti del trasporto pubblico.
13 è il numero dei biglietti da visita che ho collezionato, 2 le mappe cartacee, 9 le postcard, 16 comunicati stampa e infine 3 pieghevoli. Una raccolta come mai avevo fatto prima: non vado in giro collezionando questa mole di informazione stampa di solito, ma all’inizio della mia breve visita avevo seriamente pensato, di redigere una sorta di focus day by day per Exibart. Ovviamente il tempo, gli spostamenti, gli impegni in fiera e un sano rapporto vitale con il mistero di una città straniera, ha fatto deragliare questo assurdo proposito, perciò delle 12 gallerie osservate penso proprio che dovrò limitarmi a parlare soltanto di 3 mostre e seppur io brandisca tuttora i comunicati come scongiuri contro la malasorte, mi lascerò guidare più che dal toner su carta, dalla memoria e dalle impressioni che queste esposizioni mi hanno suscitato.
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B. Wurtz, The First Twenty Years, exhibition view, Galerija Gregor Podnar, Berlin, 2018. Photo: Marcus Schneider

La sede della Galerie König che ospita la mostra di Claudia Comte è una ex chiesa modernista, dalla struttura possente e brutalista con pareti altissime, grandi spazi su diversi piani che ospitano al piano terra, una collezione (ahimè chiusa in quel momento, o di visione privata) e nell’ambiente superiore la potente istallazione di 20 grossi tronchi, alti diversi metri che si stagliano verso il contro soffitto o contro navata sospeso. La luce schermata dirada proveniente dal tetto in vetro. Mi sembrava come una foresta spoglia, come degli alberi di navi orfane di scafi. Le basi dei tronchi apparivano bruciate, ma solo per un leggero strato che rivelava in superficie i disegni naturali tondeggianti, formati dalla crescita verticale del tronco. Lo sguardo si alzava verso le sommità delle travi, e queste scartavetrate e grezze, di colore chiaro, entravano in netta contrapposizione con le basi annerite e caliginose. Pareva d’esser davanti a grossi pilastri d’avorio la cui estremità a terra però, era stata tinta nel petrolio; il contrasto dell’istallazione con il cemento tutto circostante era decisamente forte, aveva l’aspetto di qualcosa di vivo contro la sensazione graffiante, abrasiva e lunare delle pareti. In ogni tronco ad altezze diverse si apriva nel corpo di queste colonne in legno, un volume vuoto che ne interrompeva la progressione in altezza, e creava un vano che ospita per ogni struttura, un oggetto, o scultura, o forma di diversa natura e diverso materiale realizzativo: vi era un’ ascia in marmo bianco, posizionata a un’ altezza di almeno tre metri, piantata nel ceppo come uno strumento lavorativo impossibile e inutilizzabile; su altri di questi pilastri si succedevano delle forme in bronzo, in legno, in pietra. Non erano il mezzo per espedienti, erano sculture all’interno di sculture, alcune dai profili morbidi e mute come opere di Hans Arp, geometriche come una sfera nera, o anche oggetti di forme pure e spigolose, altre note, evidenti, naturali, per esempio un grosso osso, o una conchiglia, un fungo.
Questa foresta fiammeggia della volontà dell’artista di tradurre l’esperienza della natura e quella dell’artificio della civiltà. L’ occhio è costretto a viaggiare sul ritmo percettivo di altezze differenti: ci si deve concentrare su un singolo fenomeno o forma scultorea, oppure occorre accogliere tutta l’istallazione nella sua totalità. Complice l’ambiente ospite e la verticalità della scena, si recupera nello spettatore un grande senso d’ascesi, ma anche di precario equilibrio. Personalmente credo che sia una mostra al limite dell’esattezza, in quanto impera di fondo un senso architettonico muscolare; un piccolo sbilanciamento armonico dei fattori compositivi avrebbe conseguito la cacofonia d’insieme, rivelando un horror vacui barocco e la sua spettacolarizzazione artificiosa.
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Carl Andre Cedar Rotor 2002 32 units of Western red cedar 30 x 30 x 90
A un lato e all’altro della sala, due schermi video poggiati a terra, trasmettono immagini di ambienti naturali privi di presenza umana: il fiume di un letto su un paesaggio montano d’alta quota, una forma polimerica amorfa su fondo nero; ecco i 2 capi del cavo riflessivo che Claudia Comte dipana riflettendo sul concetto di natura e di pervasività dell’uomo, dei suoi prodotti e dello sviluppo feroce della sua civiltà.
Mi ero ripromesso di parlare di tre mostre, ma mi rendo conto che posso solo accennare a quelle gallerie che mi sono state utili per creare inizialmente un polo da cui partire alla scoperta della Berlin weekend gallery, e che poi ha trovato il suo vertice nella mostra descritta qui sopra.
Uno scampolo di attenzione particolare va alla galleria Mazzoli, appena trasferita nella sua nuova sede di Eberswalder strasse, una collettiva a più artisti sul tema del suono e dell’equilibrio ritmico, decisamente ben riuscita, raffinata e corale. Un’altra bellissima mostra con artisti giovani, dalle pratiche eterogenee tra loro e dalla forte matrice inventiva è sicuramente PSM-gallery.
Da Barbara Wien ho potuto osservare Mariana Castillo Deball e la sua grande capacità di astrarre da un archetipo tutta una serie di eventi estetici per assumere forme dissimili tra loro, che colmavano ogni locale negli spazi della galleria. In questa carrellata non potevo scordare la galleria Gregor Podnar che mi ha accolto e salvato da una forte grandinata grazie a una preview esclusiva in una mostra ricca di esperienze lungo la vita dell’artista B.Wurtz (speciale). Vale la pena citare Esther Schipper, con la mostra rappresentativa della ricerca lunga 5 decadi dell’autore AA Bronson, in uno stabile straordinario. Konrad Fischer Galerie con il superbo solo show di Stanley Brouwn e una collettiva con opere super di Penone, Merz, Long, Carl Andre…
Volo a pelo d’asfalto…dissolvenza lenta. Fine.
Graziano Folata
 

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