18 maggio 2018

Parola a Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino

 
LA FLUIDITÀ DI SANTARCANGELO
Le due anime del celebre festival “Performance, music & party” raccontano la nuova edizione, che si presenta lunedì

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Un vertice tutto femminile quello di Santarcangelo Festival. Eva Neklyaeva è stata nominata direttrice artistica della storica manifestazione romagnola per il trienno 2017-2019. Classe 1980, bielorussa, laurea in Critica dell’arte, vive ormai da diversi anni a Helsinki dove si è specializzata in Management e dove ha diretto il festival internazionale di arti performative Baltic Circle. In quest’avventura italiana ha chiesto la collaborazione di Lisa Gilardino, curatrice di live arts.
Ci siamo incontrate alla Triennale di Milano in occasione della prima nazionale di Panorama, l’ultimo spettacolo dei Motus, compagnia associata al festival per questo triennio. Giovani, entusiaste, con un’ampia visione internazionale, Eva e Lisa stanno preparando una seconda edizione all’insegna di fluidità e apertura.
Santarcangelo è un festival che unisce arti performative e arti visive. Come si crea questa unione?
Eva Neklyaeva: «Non ci focalizziamo sul rapporto tra performance e arti visive, perché viviamo questo legame come una ricerca fluida, ed è questo che caratterizza l’arte performativa: musica, danza, teatro, arti visive ma anche il collettivo di Macao che attraverso gli “artigiani del corpo” valorizza la fisicità incentivando la cura del corpo. Come curatrice mi incuriosisce cercare le linee che uniscono e creano ponti tra i diversi linguaggi e i sentimenti umani».
Lisa Gilardino: «Ed è anche l’approccio di molti artisti con cui lavoriamo, la fluidità. Come curatrici diventiamo “attivatori” di un processo che attraversa i linguaggi dell’arte e quelli usati dagli artisti con cui collaboriamo: nel momento in cui apriamo un dialogo con gli artisti cerchiamo di capire se quel tipo di ricerca ha un senso per noi, per il nostro pubblico, a Santarcangelo Festival, oggi. Non ci interessa il linguaggio con cui questa ricerca avviene, ma l’urgenza del messaggio che contiene».
EN: «Possiamo dire che Santarcangelo è un festival che supera le discipline».
Come vi siete conosciute?
LG: «Ero tra i venti partecipanti al programma europeo Festival Lab, un training di un anno per producer e curatori di festival. All’epoca Eva era la direttrice del Baltic Circle di Helsinki, uno dei partner di questo programma: alla fine del progetto mi ha chiamato a Helsinki come curatrice in residenza e sono stata lì quasi due mesi».
EN: «Nel momento in cui mi sono resa conto che potevo essere seriamente presa in considerazione per la direzione di Santarcangelo, ho capito che avrei avuto bisogno di una persona che conoscesse sia la scena italiana e quella locale sia il panorama internazionale e che fosse aperta a nuove prospettive. Non ci sono molte persone che lavorano a livello internazionale in Italia e per me era davvero importante collaborare con una persona come Lisa molto “open” e curiosa. Era una sfida difficile che lei ha accettato subito!».
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Diorama Briony Campbell
Lisa, come ti sei ritrovata co-direttrice del festival?
LG: «Con un caffè a Santarcangelo, preceduto da una relazione di grande stima e affetto. Io non sono una persona che prende decisioni di impulso, ma quando Eva mi ha chiesto di lavorare con lei ho accettato subito: lavorare con una curatrice che stimo molto, per uno dei miei festival preferiti (e ne giro tanti, passo l’80 per cento della vita lo passo in tournée) era un sogno. Non ho pensato alla complessità della sfida. Da quel momento non abbiamo avuto neanche il tempo di respirare: abbiamo iniziato a lavorare a settembre e dovevamo consegnare il progetto a gennaio. Una pazza, meravigliosa corsa di cui sono molto felice. Ma è un confronto che costruiamo giorno per giorno. Mi ha cambiato la vita».
EN: Anche a me Santarcangelo ha cambiato molto: la mia melatonina è al top, non sono mai stata così abbronzata in vita mia».
Eva, cosa pensavi dell’Italia prima di arrivare qui?
EN: «Tutto quello che pensavo si è rivelato falso, in senso sia positivo sia negativo. Non mi aspettavo un tale fermento della scena italiana, in cui mi sono subito immersa scoprendo molti artisti emergenti che non hanno nessuna visibilità internazionale e che non avrei mai conosciuto se non fossi venuta qui a lavorare. Quindi nella prima edizione del festival ho cercato di restituire questa vivacità. Poi mi ha molto sorpreso il sistema di potere in cui si vive in Italia e il fatto che i miei colleghi spesso non si accorgano della mancanza di libertà nella quale lavorano. Infine mi ha stupito il pubblico, che pensavo fosse molto più conservatore. La prima edizione è stata centrata sui temi del corpo e delle politiche di identità, e ha dimostrato quanto gli spettatori siano curiosi, aperti e pronti a giocare».
Performance, music and party. Un bilancio dell’edizione 2017 e gli obiettivi di questo secondo anno?
LG: «Siamo molto soddisfatti della prima edizione: un progetto così meravigliosamente articolato, un’ossessione che si è scontrata con il banco di prova del reale, fondamentale per capire come articolare il passo successivo. Dopo un primo anno di rodaggio, stiamo vivendo la seconda edizione con maggiore consapevolezza. La 48esima edizione si sta rivelando ancora più corposa, voluminosa, ambiziosa, con uno sguardo ancora più aperto. Nasce da una reazione quasi fisica a un clima di grande chiusura che ci ha portato ad aprire dei dialoghi con artisti di tutto il mondo, un primo passo verso una scena realmente globale. Come in Panorama dei Motus, uno degli spettacoli che presenteremo a luglio, in cui si esercita proprio un allargamento dello sguardo sul mondo e le persone. Un obiettivo, già prioritario dalla prima edizione, è l’accessibilità del progetto al pubblico da un punto di vista comunicativo, con lavori che lo coinvolgano attraverso una chiarezza dell’informazione e della comunicazione».
EN: «È importante anche il posizionamento di Santarcangelo nella scena festivaliera globale, un palcoscenico internazionale dove si viene a vedere una scena emergente, di rottura e multidisciplinare. Da quando ho questo incarico sto facendo molto scouting, per avvicinarci a una conversazione senza confini tra artisti».
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Tamara Cubas, Multitud por Carlos Contreras
Come coinvolgete la città, i cittadini di Santarcangelo anche durante l’anno e come reagiscono al vostro festival?
EN: «Intanto con un programma di residenze tutto l’anno con 200 artisti italiani e stranieri: è fantastico vedere quanto Santarcangelo sia di ispirazione per gli artisti. L’altra sera ero in un bar a bere un bicchiere di whisky con una compagnia di Lubiana e due giovani artisti olandesi che fanno teatro partecipato con progetti multidisciplinari. L’atmosfera era fantastica, ma sai di cosa parlavano? Del primo maggio a Mutonia, dove erano andati tutti! Questo può accadere solo a Santarcangelo, dove c’è uno straordinario potenziale energetico. Ad esempio, il progetto WashUp è pensato per i ragazzi di Santarcangelo: inizialmente non avevamo idea di cosa li potesse coinvolgere e cosa potessero creare, poi il gruppo di adolescenti tra i 14 e i 20 anni che si è formato ha deciso di invitare al Lavatoio alcuni artisti a cui erano interessati a cui abbiamo abbinato alcuni artisti con cui siamo in dialogo. Alla fine il risultato è sorprendente, con incontri e aperture al pubblico partecipate da più di 200 persone a sera. Inoltre il festival coproduce e gli spettacoli ospitati spesso sono obbligati a cambiare forma per adattarsi alla scena santarcangiolese, diventando dei progetti site specific. La prossima edizione sarà un festival che potremmo definire collettivo, con 200 artisti professionisti che hanno coinvolto nelle creazioni altrettanti cittadini e cittadine del territorio».
LG: «Un esempio di ricerca che incrocia il territorio è quello dell’estone Kristina Norman, che sta realizzando una ricerca sulle badanti di origine russa che lavorano nella zona attorno a Santarcangelo, in dialogo con Isadora Angelini, regista del Teatro Patalò, compagnia locale con cui abbiamo attivato un workshop, Let’s revolution dedicato agli adolescenti locali».
Rispetto alla storia del festival, che novità sta apportando la vostra direzione artistica?
EN: «All’inizio è stato interessante e anche un po’ frustrante, perché quando pensavamo di fare qualcosa di nuovo, andavamo negli archivi del festival e scoprivamo che l’avevano già fatta nel ’77. Stiamo portando nel festival una diversa consapevolezza del “noi”: è un festival di condivisioni tra persone. Abbiamo ben presente chi siamo in quanto cittadini e quale sia la posizione politica del festival, con la forte consapevolezza che facciamo parte di una comunità globale, ma non trascuriamo l’aspetto ludico, cercando di non prenderci sempre troppo sul serio».
LG: «Tranne i tre artisti associati che collaborano con noi per tutto il triennio, Francesca Grilli, Motus e Markus Öhrn, ci sono pochissimi grandi nomi nell’edizione 2018. La scommessa è operare una rottura rimanendo accessibili alle migliaia di persone che partecipano al festival. La parola che contraddistingue sia noi due, sia il nostro lavoro è “apertura”. Apertura a pratiche che non siano prettamente artistiche, che siano contaminazioni di genere, da un sirenetto professionista che fa corsi per il pubblico al trekking sulle colline. Apertura è anche considerare le modalità di produzione artistica oggetto del processo di creazione: ad esempio abbiamo inviato il collettivo di attiviste e attivisti di MACAO (Milano) a realizzare un progetto triennale dedicato proprio alla struttura del Festival, dalla governance alle prassi gestionali».
L’anno scorso parte della critica teatrale ha sollevato una polemica sul fatto che avete tolto la parola teatro dal titolo del festival. Quest’anno la rimettete?
LG: «Quest’anno non ci sono parole. C’è un Blob ancora più esploso».
EN: «Penso sia una presa di posizione della stampa: prima di tutto nessuno ha ucciso la parola teatro: molti artisti quest’anno come l’anno scorso rappresentano a pieno titolo la scena teatrale. Più che delle polemiche sulle parole, vorrei discutere dei seri problemi della scena italiana».
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Dewey Dell, I am within
Cosa significa il Blob della vostra grafica, l’anno scorso rosa e quest’anno giallo?
EN: «L’immagine è pensata per creare la reazione “Ma che cos’è questa roba?” Non si sa cosa sia ma obbliga a cercare una spiegazione. Alcuni ci vedono un cervello, altri un intestino o un fungo. È proprio quello che vogliamo dire: quando si vede qualcosa non la si deve subito catalogare, riporre nel giusto scomparto. È troppo facile mettere tutto sotto un’etichetta: quella gender, quella etnica, quella sociale… È più difficile prendersi il tempo per vedere se si capisce ciò che non si conosce: è un argomento che non riguarda solo l’arte ma soprattutto la situazione politica. Ha anche una valenza emozionale, a qualcuno piace, a qualcun altro disgusta».
LG: «I nostri Blob sono elementi in continua evoluzione e tutte le volte che li si guarda evocano il tema della metamorfosi. L’immagine di quest’anno è meno luminosa, più scura, ambientata in un paesaggio naturale, come gli elementi della prossima edizione, caratterizzata da sfumature più dark e più a contatto con la natura. Potremmo scrivere un libro sulla relazione con chi cura la nostra grafica: Sebastian Zimmerhackl è un vero artista che sfida le nostre emozioni attraverso un dialogo intenso che ci sorprende costantemente e ci piace essere sorprese dagli artisti con cui lavoriamo».
Dopo il sirenetto dell’anno scorso, cosa si deve aspettare il pubblico dall’edizione di quest’anno?
EN: «Chiara Bersani porterà un nuovo progetto al festival e parlerà di unicorni, quindi anche se non abbiamo volutamente cercato la creatura mistica, lei arriva ugualmente! Quest’anno le vibrazioni del festival sono più scure. Se l’anno scorso abbiamo affrontato i temi del corpo e la questione politica del genere, quest’anno parliamo delle emozioni che ci girano attorno, politicamente ed economicamente strumentalizzate: viviamo in un momento di grandi timori e la paura diventa una delle nostre emozioni guida. Noi vogliamo andare contro tutto questo, riscoprendo il legame con la natura: penso a una performance sulla spiaggia al tramonto, o il progetto unknown, una serie che si costruisce puntata dopo puntata per tutta la durata del festival. Nel programma musicale ci sarà di nuovo Imbosco, il Dopofestival di Santarcangelo, che l’anno scorso ha funzionato molto bene. Tra le novità il concerto di Faka, un gruppo sudafricano che sarà a Milano stasera per un intervento speciale nella giornata contro l’omofobia organizzata dalla compagnia STRASSE (Exil#16, presso Acropolis, dalle ore 22.00). Vogliamo poi introdurre il Santacoin, una nuova moneta promossa da Macao, utilizzabile a Santarcangelo durante il festival per acquistare servizi riservati a chi usa questa valuta. Un gioco economico che coinvolge tutta la comunità e sottolinea ancora una volta la centralità della città».
Cosa può fare il pubblico per prepararsi a questa edizione?
LG: «Scarpe comode!».
EN: «Consigliamo di venire con una mente aperta e la voglia di immergersi in una esperienza totale. Poi portati una mela e una bottiglia d’acqua, possono servire. Arriva un collettivo di dj da Berlino che organizza tecno party con uno specifico dress code: essere ciò che normalmente non sei».
LG: «Consigliamo di guardare anche il nostro programma di incontri e conversazioni e non prenotare tutto subito ma lasciare un piccolo spazio per decidere all’ultimo, seguire il desiderio del momento per scegliere tra uno dei 150 appuntamenti in programma».
EN: «Quindi fluidità, apertura mentale, scarpe comode e un outfit sexy per i party».
Giulia Alonzo

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