11 giugno 2018

Parla Maria Thereza Alves

 
Una serie di avvicinamenti con gli artisti, per entrare nello spirito della Biennale che apre venerdì a Palermo

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“Il Giardino Planetario” di Manifesta 12 è alle porte e anche stavolta abbiamo deciso di dedicare spazio ai suoi protagonisti. Da oggi, e per tutta la settimana, vi racconteremo una pillola di progetto di un artista. Per le interviste complete, e per un più vasto numero di partecipanti, vi rimandiamo invece al nostro numero 101 che uscirà proprio in occasione dell’opening della Biennale itinerante, venerdì 15 giugno e al quale potete anche abbonarvi sul nostro sito. 
Iniziamo oggi con l’artista e attivista brasiliana Maria Thereza Alves.
Puoi raccontarci com’è nato il tuo progetto per Manifesta 2018 e come si colloca nella tua ricerca?
«Durante il tragitto dall’aeroporto alla città sono passata vicino a una fabbrica di ceramica chiusa. Al mercato dell’antiquariato ho visto alcuni commercianti che vendevano ceramiche antiche decorate con pappagalli, splendide, senza essere un prodotto locale. Al Giardino Botanico ho visto dei simpatici pappagalli verdi che mangiavano datteri e frutta dalle piante esotiche. Al Museo delle maioliche ho notato un pannello con una ghirlanda di foglie e quattro diversi volatili agli angoli, una decorazione che a Palermo viene chiamata “Uccelli del Paradiso” considerata un segno di buon auspicio e di benvenuto. Su via Vittorio Emanuele ho notato una pubblicità di “tipico street food siciliano”: sullo sfondo c’era un paesaggio pieno di fichi d’india, che non sono né comuni fichi né originari dell’India, ma piante di cactus originarie del Messico. A Palazzo Butera, fioriscono non solo bouganville che provengono da Brasile e Messico, ma anche bellissime jacaranda, direttamente dal sud ovest del Brasile, la mia zona di provenienza. Ho incontrato anche i botanici dell’Orto, Manlio Speciale e Giuseppe Barbera, autore del libro Fico d’India che tratta di come la flora esotica ha influito sul paesaggio siciliano. A Palermo, la mia ricerca mi ha ovviamente condotto anche al barocco. Durante la colonizzazione il barocco europeo è stato impiantato in America Latina. Il sincretismo continua a essere celebrato in alcuni contesti coloniali americani come se fosse qualcosa scelto liberamente dai “colonizzati” invece che come prove di tentativi di sopravvivenza al costo della distruzione di alcuni aspetti di una cultura segnata da violenze e genocidi. E così A Proposal for Syncretism (this time without genocide), il mio lavoro per Manifesta, fa riferimento alla cultura culinaria e ai paesaggi della Sicilia, dove i fichi d’india, le agavi messicane, i pomodori e le patate delle Ande, gli alberi di jacaranda e di ceiba speciosa del Brasile, creano un nuovo sincretismo che è stato adottato dai siciliani, oramai da tempo, come simbolo contemporaneo di benvenuto nella regione. E ci sono i pappagalli brasiliani, intelligenti abbastanza da fuggire dalla cattività a cui sono stati costretti per crimini che non hanno mai commesso».

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