24 agosto 2018

Gioco di Forze

 
Il “modernissimo” Gary Kuehn è in scena a Bergamo, per la prima volta in Italia dopo quasi cinquant’anni. E per la prima prova di direzione di Lorenzo Giusti

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È una storia affascinante quella di Gary Kuehn, che torna in Italia per la prima volta dal 1969, anno in cui fu Christian Stein, a Torino, a dedicargli una mostra personale. 
Stavolta è invece la GAMeC di Bergamo, sotto la nuova direzione di Lorenzo Giusti, ad offrire al pubblico la possibilità di avvicinarsi all’opera dello scultore statunitense (New Jersey, 1939), che iniziò a modellare i suoi materiali nei cantieri dove lavorava quando era giovanissimo.
A Bergamo sono raccolte oltre settanta opere che coprono un arco temporale che parte dagli anni ’60 e arriva ad una nuova produzione realizzata appositamente per questa occasione.
La mostra, intitolata “Il diletto del praticante”, che fa riferimento proprio al nome di una piccola “maquette” di Kuehn realizzata nel 1966, è ospitata non solo negli spazi della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea, ma anche alla Sala delle Capriate, all’interno di Palazzo della Ragione. 
Qui sono splendidamente raccolti i primi lavori scultorei della carriera di Kuehn, creando un dialogo di stratificazioni con l’architettura medioevale, gli affreschi del Bramante, L’ultima Cena di Allori, e la struttura luminosa di CN10Architetti.
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Gary Kuehn 2018 Photo: Giulio Boem
Il risultato è stupefacente anche per questo dialogo: nelle sculture di Keuhn si ritrovano geometrie unite a forme metaforicamente liquide, come la fibra di vetro che l’artista usava in quegli anni, che si adagia come una pelle addosso a supporti più duri, o sembra farsi “liquida” nell’ambiente. E poi paglia e materassi incastonati tra bulloni che fissano superfici, e zanche per creare spessori laddove i materiali, originariamente, erano uniti, e che vengono riempiti da altre materie, altri colori. Ibridati e “stressati” fin quasi a raggiungere il limite estremo consentito dalla loro natura.
Sospesa tra forma e antiforma, la pratica di Kuehn è stata tangente tanto all’Arte Povera italiana quanto al Minimalismo statunitense, sviluppandosi in maniera autonoma e mantenendo in comune con le due correnti la matrice compositiva, ma mai aderendo completamente ai Manifesti. 
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Gary Kuehn 2018 Photo: Giulio Boem
Compreso nel nucleo di artisti presentati nella celeberrima “When attitudes become form” organizzata da Harald Szeemann alla Kunsthalle di Berna, nel 1969, e tra i protagonisti del primo Skulptur Projekte a Münster nel 1977, Gary Kuehn sembra operare un vero e proprio gioco di forze tra materiali, rovesciando la percezione della tridimensionalità: passa armonicamente dalle torsioni di barre di acciaio degli anni ’80 (Function, 1987, o The Hitch, 1986), ai disegni più recenti che conservano – nemmeno a dirlo – un aspetto scultoreo. 
Per citare un’altra mostra epocale a cui Kuehn prese parte, “Eccentric Abstraction” che Lucy Lippard realizzò nel 1966 a New York, con Louise Bourgeois, Eva Hesse, Bruce Nauman e Keith Sonnier tra gli altri, in questa retrospettiva italiana appare lampante come l’artista sia riuscito – durante tutto l’arco della sua carriera – a praticare un approccio metafisico all’ingombranza di pesi e volumi, alleggerendo forme. Un percorso che scolpisce mutando angoli e strizzando volumi e che appare, dopo cinquant’anni di carriera, a dir poco modernissimo. 
Matteo Bergamini

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