29 agosto 2018

PERFORMANCE

 
Il Safari come atto performativo, o dove sistemare il confine tra realtà e finzione
di Marcella Vanzo

di

Welcome to Tsavo east, theatre of the wild.
Ce lo presentano così il parco safari a nord del Kenya, il più grande raggiungibile dalla costa. E qui gli animali son selvaggi sul serio, è casa loro, niente transenne. 
Sono i turisti che arrivano a frotte, stagionalmente, i picchi in agosto e tra dicembre e gennaio, ventiquattrore alla volta poi il biglietto scade. Si spostano in piccoli gruppi dentro a piccoli pulmini, matatu, dal tetto apribile, parlano o parlucchiano inglese o almeno la loro guida, mangiano, bevono e dormono in hotel davanti a una pozza in cui gli animali bevono e vengono a guardare i turisti. Quelli che non hanno visto durante il/la game drive, che funziona così: turisti impacchettati da 4 a 8 alla volta, spediti una, due, tre volte al giorno a caccia di animali feroci da cui farsi cacciar via. Non ci si può avvicinare, niente cibo, non scendi, niente lance, solo teleobiettivi. È una lotta ad armi impari.
Mezz’ora di strada per vedere le chiappe di un leone che dorme al sole sul ciglio della strada e non vuol saperne di svegliarsi. Non gli si può nemmeno tirare una sassata per vedere che succede, un piccolo ruggito per la gioia dei bambini o del fotografo incallito col braccio ormai anchilosato e il formicolio al collo, incastrato da 33 minuti dietro al teleobbiettivo della sua Nikon da 17 chili nell’attesa di un sussulto felino.
Felice di non essere sul van lui.
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E nemmeno con quelli che invece di fotografare selvaggiamente, si fotografano selvaggiamente. Selfie stick e autoritratto con gli elefanti. Autoritratto con i bufali, un po’ lontani ma ci sono, l’immagine si legge proprio bene. Con le gazzelle imperiali, gazzelle thompson, le gazzelle giraffa, le antilopi e i dik dik. [Chihuaua formato gazzelle, non quelli nostrani]
E non si sono ancora stancati i nostri autoritrattisti che poi fermano un branco di zebre – ogni striscia, notare bene, è diversa – e di facoceri! I facoceri che meritano una foto tutta per loro, senza umani dentro, perché sono davvero uguali a Pumba*
Poi gli struzzi, maschio meraviglioso e femmina marroncina, che paiono assemblati a caso: collo di cigno, corpo di gallina esplosa post nucleare e zampe che si piegano al contrario. Eppure incredibilmente eleganti. Collo e zampe blu, piume nere, ali bianche. Un vero capolavoro.
E gli elefanti, qui ce ne sono parecchi. Pachidermi paciosi, rugosi, rossi per il colore della terra, che poi si lava via nelle pozze. Guardarli uno a uno da tre metri di distanza è bellissimo.
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Dei big five: leone, elefante, bufalo, leopardo e rinoceronte, un must per tutti i safari, ce ne mancano due. Indovinate quali. 
Ci vogliono solo tre ore di macchina per raggiungere l’entrata del parco dove i turisti si fanno immortalare travestiti con cappello sul cartello, poi altre tre per raggiungere il lodge e pranzare, poi altre due o tre prima di cena poi sveglia all’alba a caccia di quelli che mancano.
Buona fortuna!
Mentre i protagonisti principali di questa grandiosa messinscena, gli animali, sbadigliano o lasciano cadere, indifferenti, l’ennesima noce di merda, famosa quella d’elefante grazie a Chris Ofili, davanti ai nostri forsennati occhi.
* Riferimenti visivi. Pumba è uno degli interpreti principali del Re Leone di Walt Disney

**Per vedere un rinoceronte da vicino – che è difficilissimo in assoluto – vi consiglio Sudan,  il video di Luca Trevisani

*** L’elefante ve lo consiglio dal vivo. Foste invece desiderosi di un’esperienza virtuale, vedetevi Letter on the blind for the use of those who see di Javier Tellez

Marcella Vanzo

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