04 settembre 2018

Pattern sì, ma che sia favoloso!

 
Al Madre di Napoli, l’ampia retrospettiva di John Armleder gioca con il nostro modo di vedere. E con le regole dell’opera

di

Una retrospettiva ricchissima, funzionale al gusto eterogeneo e alla politica di apertura che caratterizza da tempo il museo napoletano. Protagonista di “360°” è John Armleder, artista prolifico e tumultuoso, che sa bene come cavalcare il talento nell’articolato panorama dell’arte contemporanea. Più che una singolare e limitata sensibilità che gli consenta scelte creative di indubbia qualità, quel che l’artista nato a Ginevra nel 1948 maneggia con astuzia è la capacità di intuire un’estetica dominante e riprodurla secondo modi che accomodano la vista, regalandole uno spettacolo di piena, totale soddisfazione. 
Armleder non è nuovo nel panorama partenopeo, torna infatti dopo la realizzazione, lo scorso ottobre, della sua opera monumentale SPLIT, visibile nella sezione di arte contemporanea del Museo e Real Bosco di Capodimonte. Questa mostra al Madre, a cura di Andrea Viliani e Silvia Salvati, è però un ritorno in proporzioni maggiori, con oltre novanta opere che, con un interesse quasi archivistico, documentano le serie più importanti prodotte dall’artista: si passa dai dipinti in pattern di vario tipo, i Dot Paintings, ai più materici Pour Paintings, dalle tele gemelle (Untitled, 1988) presentate a Prato, ai Wall Paintings realizzati ad hoc per alcune sale del museo. 
L’incontro con le opere favolose dell’artista svizzero è sempre felice, cioè scatenante un ludibrio che trascende il gusto e l’attitudine del visitatore, coinvolgendo invece un altro aspetto ben più interessante: la passività dello sguardo e il suo totale scontento. 
La policromia e le pratiche sempre diverse colmano questo gap, lo appagano nei modi più consoni al nostro tempo. L’occhio, infatti, è perennemente insoddisfatto, non cerca qualcosa in particolare, è piuttosto scostante e inattivo nel suo compito di posarsi sopra le cose. Non è quindi la ricerca della bellezza che gli sta più a cuore, non vuole qualcosa di inusuale o superlativo, non è a questo che mira la vista, non adesso e non più. I presupposti emotivi non sono soltanto mutati ma si sono quasi del tutto assottigliati, annullando il desiderio artistico, riducendolo a qualcosa di indefinito, un non-chiaro bisogno privo di vere necessità, qualcosa di niente affatto catartico né perturbante.
null

John Armleder, 360°. Veduta della mostra al Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

In questo modo, l’arte diventa davvero un’occorrenza casuale, un’aggiunta accidentale perché tale è lo sguardo che la vuole e non la vuole. Un volubile senso estetico muove questo mondo che, però, ha le proprie, precise, leggi di produzione: ciò che, attraverso l’indifferenza dello sguardo, lo colpisca ugualmente, sarà degno di nota. L’opera di Armleder è, in tal senso, un dispositivo funzionante che risponde a regole ben più disciplinate di quanto l’aspetto esuberante dei suoi puddle paintings possa suggerire. Alla complessità tecnica e materica che caratterizza l’intera opera dell’artista, a una liberalità espressiva che non prevede limiti in ciò che è definibile come “oggetto d’arte”, corrisponde però una grande conoscenza delle aspettative del pubblico. Da questo punto di vista la proposta del Madre evidenzia molti degli interessi dell’artista. Si parla di un’attività furente che comprende disegno, pittura, scultura, performance, video e installazioni ambientali, accanto a un’attenzione teorica altrettanto prolifica. 
Il percorso è quindi ricco di spunti e il carattere ludico della visita museale, obiettivo di prim’ordine, è senza dubbio assicurato. In particolare, proprio a proposito dei “dipinti murali” si articola un discorso che meriterebbe attenzione: la fruizione della parete, quando è in qualche maniera decorata, è immediata da parte dei visitatori. Esercitando una fortissima attrattiva, l’opera funziona quando eleva al massimo grado il proprio ruolo di sfondo, sia nella collocazione che nella resa e rinunciando a una parte da protagonista, diventa marginale, fungendo da elemento scenico per altre personalità con le quali non c’è dialogo né intesa. L’estetica dominante, dunque, è quella dell’abbinamento alle nostre forme di vita, al nostro occhio non partecipe dell’arte, ma di cui l’arte è, quando vogliamo, partecipe. 
null

John Armleder, 360°. Veduta della mostra al Madre · museo d’arte contemporanea Donnaregina, Napoli. Courtesy Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee, Napoli. Foto © Amedeo Benestante.

Il lascito di John Armleder al Madre è molto ispirato. Frammenti di affreschi provenienti dalla Villa di Poppea a Oplontis sono incorporati nelle proprie opere, come elementi d’uso comune, confermando, ancora una volta, una tendenza alla commistione che è una diretta conseguenza di quella logica dello sfondo prima citata: anche il manufatto antico, bello e intoccabile, non è che un’altra comparsa. 
Naturalmente questa piccola parabola, così descritta, non ha nulla della deriva. Altrove l’arte ha giocato un ruolo simile, in quella greco-romana, per esempio, che nella retrospettiva è stata chiamata in causa con le Pompeii Commissions connesse alla mostra Pompei@Madre. Materia Archeologica. Con questa operazione si dà la possibilità di utilizzare la materia archeologica pompeiana frammentaria o danneggiata nel corso dei secoli, per realizzare nuove opere d’arte che mettano in connessione le varie epoche in cui si struttura il patrimonio culturale italiano.
In questo contesto, dove lo sfondo è privilegiato proprio perché marginale, ha trovato una collocazione praticamente perfetta Passaggio della Vittoria, l’installazione site-specific permanente di Paul Thorel (Londra, 1956), con il sostegno di Mutina for Art, presentata in concomitanza con la mostra di Armleder e collocata sulle quattro pareti del passaggio tra Cortile centrale e Cortile delle Sculture. Si tratta di un grande mosaico in grès porcellanato che accompagna il visitatore da un punto all’altro del suo percorso museale, ispirato al mosaico bianco che ricopre la volta della Galleria della Vittoria a Napoli.  Un nuovo tassello alla collezione permanente del Museo Madre, per il progetto in progress “Per_formare una collezione”, ampliato, a partire dal 2016, dal progetto “Per un archivio dell’arte in Campania”.
Mettendo a fuoco queste due diverse proposte, risulta evidente che l’attività artistica è proprio fissa su di noi, si scompone per poi ricomporsi continuamente, seguendo le regole di un modo di vita autocentrato e al tempo stesso tremendamente omologato.
Elvira Buonocore

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui