20 settembre 2018

Canaletto torna a Roma

 
Ultimi giorni per riscoprire la Venezia “scientifica” del più grande vedutista italiano. Che Palazzo Braschi omaggia mostrandone anche i pellegrinaggi

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È il poeta Lord Byron negli anni in cui visse a Venezia tra il 1819 e il ‘21 che da il nome al ponte che collega Palazzo Ducale con le prigioni, il “Ponte dei Sospiri”, per gli affanni e i sospiri appunto, che esalavano i condannati vedendo per l’ultima volta Venezia, la città dei sogni. Un secolo prima che si diffondesse la passione irresistibile per il suo fascinoso paesaggio lagunare e per i maestosi monumenti, la stessa che spinse Byron a visitarla, e prima che la moda del Gran Tour prendesse piede, Antonio Canaletto l’aveva già resa immortale con l’ “invenzione” delle sue vedute. Dopo i primi pittori di vedute olandesi, scalzando la pittura contemporanea di Carlevarijs, Canaletto irrompe sulla scena con la sua pennellata grassa a olio. Alle sue “viste” piene di fascino e alle mirabili prospettive in fuga si deve moltissimo del mito immortale di Venezia soprattutto a partire dagli anni del viaggio d’istruzione dei ricchi stranieri, il Gran Tour. 
Tutto questo è ben evidenziato nella mostra di Palazzo Braschi con un programma nutrito di prestiti preziosi per la fruizione e comprensione dell’intera vicenda artistica canalettiana. L’esposizione curata da Bozena Anna Kowalzyck infatti è magistralmente configurata per far conoscere a fondo la poetica dell’artista attraverso non soltanto le celebri “cartoline” veneziane ma anche i capricci e gli schizzi dedicati a Roma o Londra, le città che iniziò a visitare dal 1719 quando l’artista, stanco, lascia la laguna dopo averne “scomunicato il teatro”. In quegli stessi anni si diffondevano in Italia teorie e scoperte scientifiche come quelle di Newton sulla luce e sulla scomposizione dei colori di cui d’ora in avanti si terrà conto anche in pittura. 
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Canaletto (1697-1768) Il Canal Grande con Santa Maria della Carità, Venezia olio su tela, cm 89,5 x 131,4 Torino, Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli © Pinacoteca del Lingotto Giovanni e Marella Agnelli, Torino

Sulla scia di questa innovativa eredità dell’Illuminismo anche artisti e committenti richiedono opere aggiornate. Anche a Venezia vengono applicate queste nuove ricerche che Canaletto traduce in una pittura più luminosa e schietta, soprattutto dopo l’anno passato a rilevare l’antico nella Capitale. L’effetto incantato di San Giorgio Maggiore dal Bacino di San Marco (opera del 1730/32, collezione privata) che scivola lentamente sull’acqua è anche la più mirabile conseguenza oltre che dell’uso della camera ottica, dello studio in situ, anche degli studi sperimentali sulla luce che Canaletto continua per tutta la sua vita tra Roma, Venezia e Londra. Il Canal Grande da Palazzo Balbi (del 1729 dall’Accademia Carrara di Bergamo) per esempio ha diverse varianti sul tema e ciò testimonia l’affannoso tentativo di aggiornarsi del pittore. Anche Il molo del Bacino di San Marco e soprattutto l’iconica e brillante Piazza San Marco verso est (1738, dal Musee Jacquemart) la cui attenzione su come ombre e luci si rifrangono sulla facciata la eleva a capolavoro assoluto, in particolar modo se (cosa che avviene qui in mostra) è messa a confronto con quella più fredda e realistica del nipote Bernardo Bellotto. 
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Canaletto (1697-1768) Il Chelsea College, la Rotonda, casa Ranelagh e il Tamigi, Londra 1751 olio su tela, cm 95,5 x 127 La Habana (Cuba), Coleccion Museo Nacional de Bellas Artes, 92-289

Questa tensione alla ricerca inoltre, oltre a costituire l’elemento peculiare delle sue vedute, sarà uno dei motivi per cui entrerà facilmente anche nelle grazie di numerosi collezionisti londinesi, tra cui Joseph Smith che gli commissionerà molti lavori. Qui in Inghilterra, dal 1746, giunto dopo una lieve battuta d’arresto alla sua carriera, anche dovuta al crescere della figura di Francesco Guardi, userà tele a trama fine, differenti dalle più consistenti veneziane. In più, le tele, verranno d’ora in poi dipinte su preparazione di base grigia molto chiara e in cui è il sentimento dei luoghi a dominare e quello del paesaggio naturale. Esemplare in questo senso è La City vista dall’arco di Westminster Bridge del 1741, opera collocata alla fine del percorso espositivo. A chiudere il cerchio della mostra e della parabola canalettiana l’opera del 1765, Prospettiva con portico che finalmente gli vale l’ammissione all’Accademia di Venezia, città amata e a cui aveva fatto presto volentieri ritorno. 
Anna de Fazio Siciliano 

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