20 settembre 2018

Le parole di Marina Abramovic: presentata “The Cleaner” a Palazzo Strozzi di Firenze

 

di

C’è voluto un cinema per accogliere, a Firenze, la conferenza stampa della mostra di Marina Abramović a Palazzo Strozzi.

Mostra che aprirà ufficialmente al pubblico venerdì 21 settembre e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2019.

Prima volta di una conferenza stampa in una location cosi grande, vista l’enorme interesse per questa artista, e prima volta di una retrospettiva completa a lei dedicata in Italia.

«Mostra su tre livelli», come ha detto nei saluti iniziali Arturo Galansino, Direttore Generale della Fondazione Palazzo Strozzi: «Uno fatto di opere, foto, istallazioni da visitare, un altro quello delle opere interattive con le quali il pubblico può partecipare ed interagire ed, infine, un terzo, quello performativo.

In mostra, infatti, si potranno trovare le performance di Marina Abramović riprodotte da un gruppo di performer appositamente selezionato per questo evento.Evento di altre prime volte, si è detto anche.

La prima volta nella sua storia che Palazzo Strozzi dedica una mostra ad una artista donna e anche la prima volta che questa occupa l’intero palazzo.

Lei, Marina Abramović, sale sul palco del cinema Odeon sorridente, pantaloni e camicia di voile neri, saluta in italiano ed appare davvero felice di trovarsi in questo luogo e per questa occasione.

Inizia a parlare della mostra e del suo rapporto con l’Italia .

Con la Toscana, soprattutto, dato che questa regione l’ha vista più volte presente con i suoi lavori in vari territori , come verrà poi ricordato nella stessa mostra con il video Marina in Tuscany.

I fotografi si accalcano e lei sorride. Emana da questa straordinaria donna, una sensazione di armonia, di completa, sicura, consapevolezza.

Solida e forte, assolutamente rappresentativa di quell’aurea personale che le è stata riconosciuta ormai dalla platea infinita non solo di addetti ai lavori che la ama in tutto il mondo.

Marina Abramović ci racconta di aver sempre amato l’Italia, la sua cultura le sue bellezze. Racconta la sua Biennale di Venezia e anche di avere fatto, come sappiamo, le sue prime performance a Milano, Napoli, Firenze e Bologna.

«La mostra di Palazzo Strozzi – ci spiega Marina Abramović – copre cinquant’anni del mio lavoro. Un lungo periodo di cui 12 li ho passati con Ulay che è anche qui oggi, ospite d’onore, e con il quale ho condiviso una storia d’amore e di lavoro. Storia che si è conclusa sulla Grande Muraglia cinese e che si è poi trasferita anche in un video diventato virale e visto da milioni di persone, quando lui si è presentato alla mia performance The Artisti s present».

«Vorrei dire anche – ha proseguito Marina – di essere onorata, dopo secoli , di essere la prima donna che ha una retrospettiva a Palazzo Strozzi ma spero di non essere la sola e spero che seguiranno anche altre artiste, sia italiane che internazionali».

La conferenza stampa prosegue ed arrivano le domande.

Ovviamente si parla di performance.

«Ho fatto performance per tutta la vita e questa strada l’ho trovata, solo dopo aver fatto pittura. La performance è una forma d’arte vivente basata sul Tempo e alla quale bisogna essere presenti per osservarla. Visto che è cosi specifica è anche molto difficile associarla ad altre forme d’arte. Negli anni ’70 è stata terra di nessuno in quanto nessuno voleva accettarla e riconoscerla come forma d’arte. A me, però, non piace arrendermi. Anzi, se qualcuno mi nega qualcosa – prosegue Marina – per me è solo l’inizio. Per cui ho sempre voluto poi lavorare sulle performance e in questi cinquanta anni l’ho resa una forma d’arte pienamente riconosciuta e credo che questo sia il mio speciale e più grande contributo ad essa e all’Arte».

Racconta che, per lei, la performance più difficile è stata proprio The Artist is present perchè «È durata tre mesi e, nel frattempo, è diventata vita».

Abramović, inoltre, è stata la prima, ad ideare le “re-performance”.

Dopo gli anni ‘70,infatti, c’è stato un momento in cui, racconta l’artista, in cui la performance ha ispirato musica, cinema e moda, e grande era la sua rabbia nel vedere che a chi aveva ideato questo “medium”  nessuno riconosceva questa creazione .

Vedere che nessuno dava credito agli autori, riconoscendone i diritti ma anche, in molti casi, riproducendone le creazioni in maniera arbitraria e scorretta.

«Ho cosi sentito il dovere di mettere ordine in questo caos perchè tengo moltissimo alla storia ed al futuro di questa straordinaria forma d’arte. Quindi sono stata la prima a proporre la richiesta di diritti agli autori se viventi o, eventualmente, agli eredi. Si devono pagare diritti, studiare il materiale e prepararsi molto bene perchè anche la qualità della re-performance dipende dal carisma e dal talento del performer».

Durante “The cleaner ” verranno riproposte performance ormai storiche della Abramovic realizzate sotto la guida del suo staff guidato da Lyndey Peisinger, collaboratrice con cui ha ormai da tempo creato un vero e proprio sistema di insegnamento che prepara gli artisti –performer sia dal punto di vista  mentale che fisico.

«Quando vedo le re-performance io sono felice – prosegue Marina Abramovic – perchè vedo che il mio lavoro prosegue anche al di fuori di me».

E annuncia anche la sua prossima azione, nel 2020 alla Royal Academy ma non aggiunge nient’altro dato che è scaramantica e non vuole porti sfortuna.

Insomma, ascoltare dal vivo Marina Abramovic fa comprendere il perchè della potenza e del successo del suo messaggio. Fa capire perché questa donna ed artista riesca a toccare corde cosi profonde, emozionando milioni di persone in maniera cosi viscerale e totale.

Toccando timori, paure, sentimenti antichi pur nella sua assoluta e totale contemporaneità.

Toccando il baluardo insormontabile del confine fra lecito e non, fra anima intoccabile e corpo totalmente strumento di qualunque possibile o impensabile sollecitazione.

Capisci che Marina Abramović non ha paura. Di niente.

«È importante non aver paura. Se parliamo di donne e questione di genere poi – prosegue l’Artista – devo dirvi che molto appassionata al problema perché in Italia osservo come si educano certi figli maschi e come le donne assumano un ruolo di fragilità che è un falso. Un falso perchè noi siamo forti. Non credo proprio poi, prosegue sul filo di una domanda in merito, «che nell’arte esista il genere. Esiste l’arte buona e quella cattiva, semplicemente».

La conferenza stampa si avvia alla conclusione, Marina continua sorridente ad alternare qualche battuta in italiano ed è palese che la cosa le piaccia, concedendosi con gioia e con grande, elegante, semplicità.

Arriva così il passaggio sul messaggio che ogni artista deve saper trovare. La ” rigth way” come la chiama, per narrare in modo chiaro, cristallino la propria arte, «Perchè solo se il pubblico viene toccato emotivamente, trasformato, vuol dire che si è fatto un buon lavoro. L’arte deve essere parte della Vita, deve essere di tutti».

Il Direttore Galansino chiude la mattinata con l’ultima domanda, quella più attuale, sulla Barcolana ed il manifesto boicottato a Trieste dalla Lega con la scritta: “We are all on in the same boat”.

Lei prende il microfono e dice alla platea, semplicemente: «Vi vorrei lasciare con questa immagine.

Noi, esseri umani, siamo tutti insieme su questo piccolo pianeta blu. Sospeso nell’immensità dello spazio.

We are all in the same boat».

Nient’altro da aggiungere. We are all in the same boat. (Milene Mucci)

1 commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui