26 settembre 2018

Visioni perturbanti

 
Esistono ancora gli artisti outsider? Ritratto di Tommaso Buldini da Bologna, e di una serie di fantasmi e ispirazioni non comuni. Finite anche a Basilea, e ora a New York

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Tommaso Buldini, graphic designer e pittore bolognese classe 1979, è un artista talentuoso e un personaggio da scoprire. Dal 2016 traduce in forma e colore scenari infernali di memoria dantesca. Composizioni dense e caotiche in cui si traspone tutto il lavorio del subconscio, l’accavallarsi di pensieri, emozioni e ataviche paure. Il pennello si muove sulla tela guidato da un flusso di coscienza. Buldini esorcizza, mediante la pittura, i suoi fantasmi. E lo fa con maestria e precisione, armonizzando le loro voci come un direttore d’orchestra che a poco a poco riporta all’ordine il caos magmatico iniziale. 
Che ruolo ha avuto ed ha la tua città – Bologna – nel tuo percorso artistico?
«Bologna è una città che, pur essendo a misura d’uomo, offre molti stimoli. Per me è stata fonte d’ispirazione per quello che riguarda l’underground. Ricordo – ad esempio – Mondo Bizzarro, una delle prime gallerie ad aver trattato il tema del lowbrow. Nascere e crescere a Bologna, inoltre, mi ha permesso di conoscere persone e artisti interessanti come Tristan Vancini dei BBS, Blu e Ericailcane».
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Tommaso Buldini, Wide
Quando e perché hai iniziato a dedicarti alla pittura?
«Il passaggio dalla grafica alla pittura è avvenuto dopo un percorso di psicoanalisi abbastanza lungo e, se vogliamo, anche doloroso. É stata una sorta di esercizio per capirmi, un’esigenza. Ho sempre avuto un mondo interiore abbastanza turbolento. Sono appassionato di film horror da quando ero piccolo e le maschere dei film degli anni ’80, come Freddy Krueger o Leatherface, hanno segnato la mia infanzia. Dietro di loro si nascondevano le mie angosce e attraverso l’analisi ho imparato a far emergere e ad esprime queste parti del mio subconscio. Quindi, almeno inizialmente, il mio percorso artistico è stato una sorta di esercizio per trasporre su una superficie piana, ancora intonsa, un qualcosa che in realtà era già parte di me. Lo testimoniano i personaggi perturbanti delle mie tele, così come il tema della solitudine che spesso traspare dai miei lavori.  Inoltre, dopo essere stato pubblicato da Hey Magazine (rivista di arte moderna e cultura pop), la pittura ha guadagnato sempre più spazio nelle mie giornate rispetto al lavoro di graphic designer. Ho sognato di collaborare con loro dai tempi del mio primo soggiorno a Parigi, quindi, vedere le mie opere sfogliando le pagine del magazine mi ha fatto pensare che questa potesse essere la mia nuova strada».
Che rapporto hai con le Gallerie e con le Fiere?
«Fondamentalmente dipingo da due anni, ma con maggior costanza da uno. È avvenuto tutto molto velocemente. Ho fatto la mia prima mostra pittorica a febbraio di quest’anno e a giugno mi sono ritrovato a Scope Basel (Basilea). Per me è un ambiente ancora da scoprire, un mondo che non conosco, ma di cui immagino diverse cose e dei cui aspetti negativi sono abbastanza consapevole. Nonostante ciò, essendo un’avventura nuova, la vivo con molto entusiasmo. Essere presente in fiera è stato stimolante perché mi ha permesso di vedere le differenti reazioni del pubblico al mio lavoro: dal disgusto, all’apprezzamento e all’interesse. La mia esperienza precedente con le gallerie è stata quella con Demoniaco, cortometraggio di pittura animata, grazie al quale sono arrivato in finale a due concorsi. Pur non vincendo le selezioni, ho avuto la possibilità di esporre in una galleria di Milano e in una in Slovenia. Ciò mi ha dato la possibilità di avere un primo contatto con il circuito artistico».
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Tommaso Buldini, Cavalli
Quale mezzo espressivo preferisci?
«Ho una grande passione per l’animazione, ma preferisco la pittura per il maggiore senso di libertà che offre il potersi esprimere sulla tela».
Quali sono le influenze rintracciabili nella genesi dei tuoi lavori?
«La mia fonte di ispirazione principale è Giovanni Battista Podestà. Ho visto una mostra dei suoi lavori da Halle Saint Pierre, a Parigi. Era un’esposizione dedicata all’arte dei manicomi italiani. Ricordo ancora le immagini di casa sua dove ogni centimetro quadrato dei mobili era dipinto. Una cosa sconvolgete. Lui, presumibilmente, si rifaceva a Bosch e, a chi mi dice che la mia arte assomiglia a quella all’artista olandese, dico che in realtà deriva da Podestà. Un’altra influenza, questa volta cinematografica, è il film Gummo di Harmony Korine che in qualche modo mi ha cambiato la vita. È difficile da descrivere, può non piacere, ma è un film che ti trasforma. Dopo questo film sono passato dalle incisioni e dalle chine alla pittura, dal bianco e nero al colore. Inoltre, nei miei lavori ci sono tracce dei disegni che facevo alle elementari, ricchi di personaggi; per così dire: mi sono “autoispirato”! Per il resto deriva tutto dal subconscio. Fondamentalmente non so neanche io cosa sto facendo prima di farlo; mi piace ‘gettare’ delle macchie di colore sulla tela e lì vedo quello che si svilupperà gradualmente. È un processo che si auto alimenta. Le mie composizioni pittoriche sono piene di personaggi e situazioni anche indipendenti, come se ci fossero tanti piccoli quadri nel quadro».
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Tommaso Buldini, Tavola
Che ruolo hanno le Donne nella tua vita?
«Ci sono tre Donne fondamentali nella mia vita: Giulia – mia moglie – che mi ha educato e aperto ai sentimenti, Letizia – la fidanzata di quando avevo 20 anni – che mi ha iniziato all’arte, e mia madre Caterina che, da quando avevo 4 anni, mi ha portato al cinema a vedere di tutto!».
È vero che sei stato anche insegnante?
«Sì, è vero, ho insegnato grafica ai Salesiani per 5 anni! è stato divertente, una sorta di riscatto dei miei anni di scuola da studente… un po’ traumatici. Come insegnante ho cercato di essere un punto di riferimento per i miei ragazzi. Coltivo ancora un rapporto di amicizia con due ex alunni, che oramai hanno 21/22 anni, con i quali ho instaurato un bel dialogo. Sono orgoglioso di averli aiutati a scoprire il proprio talento: è gratificante trovare dei piccoli ‘sé stessi’ più giovani e poter essere per loro quella figura di cui avrei avuto bisogno anche io alla loro età».
Qualche anticipazione dei tuoi progetti futuri?
«Tra pochi giorni partirò per New York per incontrare Albert Dìaz che mi ha proposto una collaborazione durante il nostro primo incontro a Scope Basel. Poi, in autunno, sarò in mostra a Parigi sia alla Arts Factory con Hey che al YIA (Young Interntional Artist)».
Maria Chiara Wang

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