05 novembre 2018

Torino on Fair/ Dopo la fiera

 
Finito il week end dell’arte contemporanea, resta la città. Passeggiata random, tra pillole del passato alla scoperta del presente. Per vivere Torino non solo un fine settimana l’anno

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Quando parte Artissima non c’è storia, Torino diventa il bengodi dell’arte contemporanea. Ma nella vita di tutti i giorni la capitale del Piemonte mostra una indole molto più complessa, col suo charme di città immersa tra passato e presente, dove diventa molto facile lasciarsi incantare da un’atmosfera tutta sua, sospesa tra rigore sabaudo e modernità proiettata verso il futuro. Quasi fosse la città ideale, la giusta via di mezzo tra una Milano hi-tech e da sempre icona della contemporaneità, ed una Roma molto più romanticamente votata alla contemplazione del bello in ogni dove. Una città duttile nell’assorbire tutte quelle modificazioni che l’hanno resa il capoluogo di oggi. Contando proprio su questa sua duttilità vogliamo trascinarvi in un percorso breve quanto irregolare, scavando alle radici di un dna inconfondibile e che è scritto in alcuni dei suoi luoghi fondamentali, ma magari non turisticamente baricentrali, come ad esempio l’osannato Museo Egizio. A zonzo nel week end dell’arte contemporanea, ma con lo strano proposito di mettere l’arte contemporanea tra le parole tabù di questo discorso.
Altri tempi, quando tra un sorso di bicerin ed un cucchiaio di bonèt nella mecca del collezionismo fieristico l’asso piglia tutto era Casa Savoia. La Galleria Sabauda è prova di un’azione culturale che precede ogni operazione artistica in senso stretto, quando l’arte – visiva senza possibilità di appello – da privilegio di pochi godeva la sua escalation verso il bene comune. Nata quasi trent’anni prima dell’unità italiana, e cresciuta dopo di essa, oggi è una raccolta-racconto europeista imprescindibile per i cultori dell’arte dal tardo Medioevo agli inizi del Ventesimo Secolo; un ri-allestimento degli ultimi anni, pulito, disteso ed ovviamente inclusivo di un’alta rappresentanza di ambasciatori della pittura d’area piemontese. Tra questi degno di nota è Gaudenzio Ferrari, orgoglio italiano in via di riscoperta (si è da poco chiusa la mostra che l’ha visto protagonista a Varallo), eroe del Cinquecento tra rinascimento e manierismo coi suoi colori vividi, perfettamente studiati per avvolgere anatomie morbide e sguardi pacati che sono molto più che una cifra stilistica. Campanilismo autarchico-piemontese e spazio a talenti d’importazione, con una collezione di artisti fiammighi ed olandesi quattro-seicenteschi di tutto rispetto. In mezzo a questi ce n’è uno passato a servizio dei Savoia, e che ha lasciato la sua firma prorompente nell’ingombrante presenza del Principe Tommaso di Savoia Carignano a cavallo. Un’artista che di nobiltà del nord-ovest italiano e di ritratti equestri se ne intendeva bene, monsieur Antoon Van Dyck. 
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Grattacielo Lancia
Torino, città dall’anima sabauda in cui c’è uno spazio aperto ricco di storia (e di storie) più di quanto si sia portati a pensare. Il Parco del Valentino non è solo uno spazio verde all’interno dell’area metropolitana, o la sede dell’omonimo castello, una delle tante residenze di Casa Savoia ed oggi elegantissima sede della facoltà di Architettura. È un parco tematico prima dell’invenzione dei parchi tematici, con quel borgo medioevale che riflettendosi su Po risalta davanti agli occhi come un miraggio. Guizzo di un Ottocento in fine di secolo che, oltre ad essere area museale, oggi racconta l’amore anacronistico per Medioevo nutrito dal pensiero architettonico dell’epoca, tanto per intenderci più o meno quando a Roma si restaurava in stile la facciata di Santa Maria in Cosmedin e a Genova la piccola chiesa di San Donato. Tra quest’ultima e il Borgo Medievale c’è una parentela più forte che un semplice collegamento socio-stilistico, con Alfredo D’Andrade responsabile del rifacimento della prima e coordinatore di progetto per il secondo. 
Meta naturale soprattutto per gli amanti di jogging, pedalate in bicicletta ed impavidi “teppisti” da risciò, il Parco è in questi ultimi quattro anni sede del Salone dell’Auto di Torino; non è proprio quello storico, che i meno imberbi ricorderanno con affetto e definitivamente chiuso con l’arrivo del nuovo millennio, ma la sua versione alleggerita, una riesumazione recente che è meglio di niente in una città che sull’industria automobilistica ha costruito una fama, locale e nazionale. Perché dici Torino e materializzati i gianduiotti ti viene l’acronimo a quattro ruote più famoso d’Italia, FIAT; ci pensi ancora un po’ e ti ricordi anche di Lancia, azienda che in questa città – precisamente nel “quartier generale” di Borgo San Paolo – ancora è presente col suo storico grattacielo anni cinquanta progettato da Nino Rosani supportato dallo studio di Giò Ponti, e con evidenti riferimenti al più noto “Pirellone” meneghino. 
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Museo dell’auto
Nonostante il suo valore intrinseco ed estrinseco la struttura ha passato brutti quarti d’ora, e poiché dopo anni di abbandono ha ritrovato il suo smalto un’occhiata se la merita. E dove poteva sorgere se non a Torino il Museo dell’Automobile, un luogo che di fatto surclassa l’idea d’essere dedicato esclusivamente ai cultori del profumo di benzina, per raccontare un’altra città, un’altra storia, un passato recente che ha osservato e subito il passaggio dalla monarchia alla repubblica, di due guerre mondiali, del Ventennio Fascista. Istituito nel 1932 ed oggetto di un corposo restyling architettonico terminato nel 2011, il Museo collega i valori di un’italianità motoristica non legata esclusivamente al cognome Agnelli – nel Novecento il capoluogo piemontese ha visto sorgere circa settanta marchi automobilistici – con la caratteristica di offrire un percorso internazionale, che ha la benevolenza di proporre l’auto non come status symbol per invasati, o perlomeno non solo, ma come oggetto trascendente quanto incernierato alla contemporaneità del proprio tempo. L’auto è un contenitore tematico, una quadratura tra valori tecnici e sociali, soggetto sociale nello sviluppo della motorizzazione di massa e di campagne pubblicitarie sempre più incisive. Un universo in cui i designer hanno collaborato assieme alle case costruttrici nello sviluppo di miti fatti di perizia tecnica ed emotività, come le Alfa Romeo più spinte, le Ferrari da corsa o la Delta evoluzione reginetta dei rally, emblema degli anni Ottanta. Miti d’altri tempi per storie sempre attuali, da scoprire o riscoprire. Noi vi abbiamo solo dato qualche piccolo suggerimento, ora tocca a voi! E avrete un anno intero.
Andrea Rossetti

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